mercoledì 28 dicembre 2011

E quindi...ciao

No, non me lo chiederò fingendo un reale interrogativo sul perchè le considerazioni sistemiche avvengano sempre a fine anno. E’ già tanto che non parto con carrellate di buoni propositi per il nuovo anno tipo smettere di fumare o mettermi a dieta.
Ma proprio passarla liscia, come se fosse un giorno come un altro, come se questo fosse stato un anno come un altro, quello no.
Che non lo sia stato è dimostrato dal fatto che non lo mando a cagare come ho fatto con gli ultimi scorsi. Ormai è un sentire comune, finisce l’anno e che vada affareinculo lui e tutto quello che ci ha fatto patire, perchè adesso sì che è finito e possiamo accogliere sorridenti l’entrata trionfante dell’anno dell’ariete, della tigre, dello yin o del peperone verde. L’anno in cui Urano entra in trigono con Giove e questo non succedeva da 87 anni, presagio di stravolgimenti e grandi successi finanziari. Sì, ogni anno cerchiamo segnali e presagi di qualcosa che cambierà in positivo, perchè l’anno che si conclude è stato specificamente una merda.
Cosa nuova quindi, sentirsi spaventata dall’arrivo del momento dell’addio con questo 2011 che, come un’onda lunga, mi ha sollevata, sospinta  e trascinata in salvo su una spiaggia deserta, per poi ritrarsi, lasciandomi sola davanti ad un mondo nuovo, un nuovo mondo.
Ci siamo, potevi togliermi la vita, me l’hai restituita.
Potrei dire mille cose ora, potrei ripercorrere le tappe di questi 12 mesi che hanno valso 37 anni, che hanno dato senso a tutto, a tutto, hanno rimesso a posto cose che un posto sembravano non averlo. Un anno fatto di momenti cristallizzati nel mio cuore e nei miei ricordi, che non dimenticherò mai. Porte finalmente chiuse, oltrepassate senza più voltarmi indietro, già così lontana ad inseguire il mio cuore.
Lo rivivrei altre mille volte questo anno incredibile, con tutte le persone che ci sono state, che mi sono stare vicine, che sono rimaste, o che sono tornate solo per farsi dire addio.
Non ho mai sentito tanto amore vicino a me, non ho mai riso tanto, non ho mai avuto tanta paura, non avevo mai avuto paura di morire prima.
Ho troppe parole in testa adesso, troppe emozioni nel cuore e l’unica cosa che vorrei è stringere forte tutti i miei amici, tutte le persone che ogni giorno partecipano alla mia vita, da distanze diverse e ognuna a suo modo, vorrei stringermi a loro, chiudere forte gli occhi e fare un respiro profondo, ciao 2011, davvero non ti dimenticherò.

martedì 6 dicembre 2011

La parola FINE

L’agente Ferrante non credeva alle sue orecchie. La frazione, l’indirizzo e il civico, gli stessi. Lo stesso luogo che dieci anni prima era stato il teatro degli orrori che aveva sconvolto il paese. L’talia era rimasta incredula davanti alla violenza prima, all’orrore dopo, quando la mano che aveva interrotto con quarantotto coltellate la vita di una giovane donna e del suo bambino si era rivelata essere quella dell’altra figlia, allora soltanto sedicenne.
Anche in quell’occasione era toccato a lui raccogliere la chiamata. Un tentativo di rapina ad opera di extracomunitari, rumeni, chi se ne sarebbe stupito? Non sarebbe stato certo il primo episodio, la gente è esasperata da un clima di paura e violenza che ha bruscamente interrotto una vita all’insegna della civiltà e della pace. Questa era gente che lasciava la porta di casa aperta per capirci, con le chiavi appese nella serratura, senza spranghe alle finestre, senza allarmi tecnologici. E lei questo lo sapeva bene quando ha raccontato in lacrime la sua storia ai vicini prima e alla polizia dopo. Ferrante se la ricorda, un viso pulito, ingenuo, la classica ragazza della famiglia bene del nord, con le mani pulite.
Ma era stato proprio il sangue che macchiava quelle manine curate a farla finire in carcere per dieci anni.
Se ne è parlato a lungo; in tanti si sono continuati a domandare come fosse stato possibile, come fosse potuta accadere una cosa tanto orrenda, assurda, inconcepibile, come se fossimo davvero ancora capaci di stupirci per questi orrori.
Si è parlato a lungo anche di lui, il padre.
Quell’uomo in un solo istante si è visto portare via moglie e figlioletto piccolo. E da chi? Dalla figlia maggiore.
L’agente Ferrante si è chiesto mille volte come si sarebbe sentito se fosse capitato a lui, lui che ama teneramente la moglie dopo tanti anni e che darebbe la vita per i suoi tre figli.
Cosa avrebbe provato se uno di loro avesse fatto qualcosa di simile? Come si sarebbe sentito? Cosa avrebbe fatto? Se lo sarebbe chiesto ancora mille volte l’agente Ferrante ma non sarebbe comunque arrivato mai a comprendere il comportamento di quel padre, il vero enigma di tutta quella triste storia.
Lui che è rimasto accanto a quella figlia in ogni circostanza alla quale fosse ammessa la sua presenza.
Lui che, durante il processo, non ha rilasciato una dichiarazione.
Lui per una volta alla settimana ha fatto visita alla figlia in carcere, rimanendole vicino e sostenendola negli studi.
E sempre lui, aveva riverniciato le pareti di quella casa degli orrori, dove si sono fermati i sogni, le speranze, dove sono andati in fumo i sacrifici e i progetti di una coppia che ha visto nascere una famiglia. Nessuno avrebbe potuto mai immaginare che quella piantina a cui hai dato ogni giorno acqua e cure si sarebbe rivelata una pianta carnivora.
Quella famiglia era implosa in una sera di ribellione e sangue. Sconosciute le ragioni, inutile cercarle dove ragioni non esistono, la violenza si nutre a volte solo di se stessa.
Lui però era rimasto lì, fedele a quell’idea di casa, dove era nato tutto e dove si erano consumati anche tanti momenti felici.
E’ rimasto lì per dieci anni.
Ieri lei è uscita, fine pena, dieci anni dopo.
Una donna, bella, adulta, lunghi capelli scuri ma ancora quello sguardo pulito, come se fosse stato tutto lavato via.
Ad accoglierla, con la sua grande macchina da uomo benestante del nord, lui, papà.
La portava a casa ieri sera, dopo dieci anni, la riportava là, in quella casa che lui ha riverniciato e rimesso a posto, per accogliere quel che resta di una famiglia distrutta: il suo omicida.
E così ieri l’agente Ferrante, come un po’ tutti poi, è rimasto un po’ attonito davanti alla tv che riproponeva quelle immagini di una famigliola che si ricomponeva, come quando, dopo una marachella, ti vengono a riprendere da qualche parte mamma e papà per riportarti a casa. Solo che mamma non c’è, e non c’è nemmeno il fratellino che ti considerava la sua migliore amica. C’è quella casa, integra, ancora in piedi, dove un padre  che nessuno ha saputo interpretare per anni ti ha aspettata alternando giorno e notte per dieci anni senza che nessuno capisse cosa pensasse.
Fino a stamattina.
Questa chiamata annuncia qualcosa di brutto.
L’agente Ferrante vorrebbe ignorarla e tirar dritto, andare a presidiare la scuola per assicurarsi che i ragazzi entrino alle lezioni senza incidenti ma, ancora una volta, è lui a trovarsi più vicino.
Quando arriva davanti alla villetta il gruppetto dei vicini di casa ha impressa sul viso la stessa espressione che deve avere lui, un angoscia senza sorprese.
Forse nessuno avrebbe voluto pensarci prima, per quanto adesso appaia tutto così chiaro, logico, consequenziale.
Il corpo della ragazza, riverso nel suo letto, nella cameretta con le pareti rosa pastello, perfettamente ordinata, con i fiori freschi davanti alla finestra, e un cadavere in un bagno di sangue sul letto. Un colpo in testa.
Lui seduto alla scrivania del suo studio, come nei film di spionaggio, stessa sorte. Sulla scrivania, posizionato a debita distanza affinchè non venisse impregnato di sangue (ma in dieci anni hai avuto tempo di pensare a tutto) un biglietto: una famiglia sta insieme.
La spiegazione di tanto mistero, il lento scorrere del tempo, un finale da grande regista, l’attrice principale, al massimo della naturalezza.
La parola fine.
La famiglia comprende.
La famiglia sostiene.
La famiglia protegge.
La famiglia giudica.
La famiglia perdona.
In quella notte di orrore e rivelazione, negli occhi limpidi della figlia, aveva riconosciuto se stesso e il male che annida e metastatizza, divenendo genetico.
Aveva protetto la sua creatura dalla società, per riportarla a casa prima che venisse smascherata e condannata per ciò che realmente è.
A casa, in famiglia. Papà ti ama, papà si prenderà cura di te.

martedì 29 novembre 2011

Come un uomo testardo

La vita è proprio così.
Come quell’uomo testardo, prepotente ed egoista contro cui ti sei scagliata come una pentola in pressione che esplode, che hai cercato di convincere delle tue ragioni rimanendo sorda alle sue.
E’ proprio così, che una carezza ti regala anni d sole nel cuore anche quando il sole non c’è più da anni.
Ti ascolta a volte, o almeno sembra farlo, ma poi fa come gli pare, che diversamente non sa fare.
Ti lascia a bocca aperta, per la gioia, per il piacere immenso, che nessun altro al mondo saprebbe mai amarti così. E poi ti tramortisce di dolore, perchè non amerai nessun altro al mondo così.
Accade una volta sola, dura per sempre, quell’unico sempre che hai. Combatti per troppo tempo, cercando di cambiare quello che è già perfetto così.
Spesso ti accorgi tardi che l’unico amore è quello che si arrende, all’uomo e alla vita, con la fiducia cieca di chi si abbandona, perchè ovunque andrà, è quello il treno su cui salire.
E se sblocchi il tuo cuore, ti accorgi che appagante è vedere il tuo amore vivere pienamente e con meritata gioia, anche senza di te. Come un figlio che cresce e cammina con le sue gambe, se ne va con gli occhi rivolti al sole, verso i suoi sogni.
La vita fa così.

Se sai ascoltare, la vita ti parla attraverso i tuoi giorni e le persone che li attraversano, e ti svela il suo segreto.

sabato 26 novembre 2011

Sipario chiuso, applausi, l’alba fuori dal cuore.

Fatti conoscere da lei, (...) affinchè si renda conto che per lei non esiste una vita diversa da quella che le ha assegnato il  destino, che tu sei l’avventura e che per lei non esiste nessuna possibilità di vivere insieme a te, perchè tu sei la notte, la burrasca e la peste che sorvolano i paesaggi e la vita, ma poi arriva il mattino, sorge il sole e la gente disinfetta le case, passa la calce sui muri e strofina i pavimenti.     
Ecco perchè ti ho detto che devi creare un capolavoro!                    .
Voglio che nel giro di poche ore tu le sveli il segreto della tua persona, e voglio che entro domani mattina questo segreto diventi solo un ricordo che non molesta e non fa soffrire. Sii buono con lei ma sii anche crudele e spietato come in effetti sei, consolala e feriscila come faresti se avessi molto tempo a tua disposizione, fà maturare nell’arco di una notte tutto ciò che può maturare fra due esseri umani e concludi tutto ciò che un giorno sarebbe comunque destinato a concludersi.
E poi rimandala da me...perchè io la amo.

Sandor Marai, Le recita di Bolzano

sabato 19 novembre 2011

Sirene

Di nuovo si muove,
la nave ondeggia, accendo i motori.
Mi lego salda all'albero maestro per non cedere alla malìa delle sirene.
Ascolto racconti melodiosi di nuove prospettive, di possibilità che aspettano solo il mio coraggio per essere esplorare.
Accetto desideri inconfessabli, rinnegati dalla paura di soffrire.
Li lascio affiorare sulla mia pelle come perle di sudore, ma prima che scivolino via mi tuffo in mare e nuoto sott'acqua dove tutto è lontano, ovattato, attutito.
Non sono ancora pronta. Ma lo sarò presto.

venerdì 18 novembre 2011

Noi&AncoraNoi


Non so se sia un caso che siamo solo donne, o se sia corretto dire che è questo che ci contraddistingue.
Certo è che mi piace avere queste donne vicino. Ci siamo incontrate nella formazione, sebbene oggi tutte abbiamo preso le distanze da un certo modo di fare formazione che quasi quasi ne ha sporcato anche il nome. Una fatica bestiale, quando decidi di ricostruire sulle macerie di qualcosa che è stato distrutto dall’interesse, dall’opportunismo, dalla presunzione di chi ha gettato via il cuore e si è messo sugli occhi solo il portafogli. Un lavoro che se decidi di farlo è perché lo ami, perché non ti vendi, ma lotti perché le persone aggiungano valore alla propria vita contro le dinamiche schiaviste di una società improntata solo sull’apparenza, che ti regala riconoscimento in cambio soltanto, che sarà mai,della tua linfa vitale.
Come fai a ricostruire sulle ceneri del tradimento più grande?
Come ti poni davanti alle persone sapendo dello squarcio che hai dietro alla schiena, un coltello piantato che ancora ti smorza il respiro, come?
Sicuramente chi ci vede in aula in questi giorni non se lo chiede.
Difficile intravedere dietro il sorriso di Alessia la fatica nel sostenere il peso di una responsabilità così grande, lei che ha rimesso in gioco tutto, a cominciare da casa sua.
Quasi impossibile sentire l’urlo di Patrizia nel momento in cui ha dovuto distruggere un castello intero, mattone dopo mattone, per difendere il suo diritto a investire sulla sua vita.
E chi potrebbe mai desumere dalla voce dolce di Michela la sua tenacia, la sua forza, il coraggio nel restarci sempre a fianco, nel risolvere problemi anche nei momenti peggiori, prima ancora di quasi tutte noi.
Difficile scorgere dietro i miei occhi l’amarezza per bocconi amari inghiottiti senza un reale perché, che non fosse opportunismo giocato sull’inesperienza e l’entusiasmo dei primi anni.
E Maria Luisa Ed Elisa, persone schiette e determinate a portare avanti valori che non potevano che essere condivisi e in linea con la strada che hanno scelto di percorrere con noi.
Ecco, queste siamo noi. Siamo tutte donne, non so se sia un caso questo. Certamente non è casuale quello che ci porta qui oggi, oltre ad un’amicizia pluriennale.
Siamo quelle che non verranno a dirti cosa fare della tua vita. Non ti daremo formule magiche, perché non ne abbiamo, noi ci giochiamo la vita ogni giorno, rimettiamo sempre tutto sul tavolo, rilanciamo e rilanciamo.
Affrontiamo giornate dure, in cui dobbiamo conciliare opportunità e problemi, in cui improvvisiamo riunioni intorno al tavolino di un bar per riuscire a vederci nel caos delle nostri ritmi quotidiani. Vite diverse, posti diversi, ma io le guardo le mie amiche e ogni volta trovo persone diverse dal passato, segno  di una strada che cammina, macina chilometri e non ci perde.
Non abbiamo risposte, ma abbiamo imparato a porci domande e a cercarle le risposte, senza farci spaventare da verità nascoste.
Su questo ci puoi contare, ogni volta che ci cerchi, che ci trovi perché sai che puoi trovarci e dove, tu sai bene che se esiste una strada, una risposta, una soluzione, noi non ci stancheremo di cercarla.
Siamo instancabili, non è possibile scoraggiarci, siamo preparate e non smetteremo di studiare, non ci fermiamo davanti ad un no, ne abbiamo presi così tanti che abbiamo imparato a scorgerne le opportunità nascoste, ma soprattutto, abbiamo voglia di andare avanti, perché  non arriverà mai il giorno in cui ci sentiremo sull’Olimpo della formazione, dove non serve più farsi domande, leggere, provare. Dove le cose si fermano e i cuori iniziano ad invecchiare.
Questo lo sai anche tu, volevamo solo dirti che avevi ragione quando lo hai intuito, che è proprio così, non ti sei sbagliato.

mercoledì 16 novembre 2011

sapori

Come farei a ragionare senza i sensi? Io che inchiodo ogni ricordo nei contorni definiti di un’immagine, nella profondità violenta di un profumo, nel calore di una voce, la ruvidità di una carezza svogliata.
Troppe persone hanno attraversato la mia vita ultimamente. Nessuna si è fermata. Colpa? Volontà? Forse sapori.
Poteva essere tutto perfetto, una cornice favorevole e adatta, un copione già scritto, ma quel vino aspro annunciava una nota in contrasto con l’armonia che cerco.
Un silenzio che non passa inascoltato: il mio cuore che non batte forte, non si emoziona, tuttalpiù si affatica alla ricerca di un piacere meccanico e fine a se stesso: dai, ti chiamo io in settimana.
Mi dico che è questo adesso, è così. Che va anche bene perchè mi risparmio rogne e tormenti, che ne ho avuto abbastanza nell’ultimo anno e una leggera spensieratezza adesso è la medicina migliore.
Ma questa non sono io. Io, così, mi annoio. Mille volte meglio la mia casa, il mio cane, un libro o un film. E ciao.
Vorrei restare avvolta all’infinito nell’abbraccio caldo e morbido delle serate con i miei amici, il loro vedermi come sono, amarmi in modo facile e spontaneo, la gioia delle mie risate e la leggerezza della strada sotto le ruote del mio scooter quando torno a casa pensando che questa è un’altra giornata degna di essere stata vissuta.
Sapori dolci che accompagnano visi distesi, voci dirette, profonde, sincere che non ti puoi sbagliare perchè ti prendono il cuore fra le mani e lo custodiscono proteggendolo da chi te lo vorrebbe mettere sotto chiave.
Le cose sanno di buono quando sei nel posto giusto per vivere il momento esatto.
Il vino non è aspro, un sapore non esagera, la gente non urla, nè parla troppo piano, un abbraccio non ti stringe troppo, ma nemmeno ti lascia andare. L’amore non lo devi cercare, ma nemmeno sei costretto a raccattare nulla da terra.
Stai qui, Federica, resta qui. Il centro esatto di questa fine di giornata, nel rosso rubino del vino nel tuo bicchiere, un sapore che non può tradirti, perchè quello che ti scegli, non può che essere il sapore perfetto.

giovedì 10 novembre 2011

Che c'è da ridere?

Su Repubblica fanno vedere la foto e il video di un enorme tapiro depositato di fronte a Palazzo Grazioli. Tutto intorno, una folla di curiosi sghignazzanti per la vistosa ed inequivocabile presa per il culo perpetrata ai danni del governo Berlusconi che sta finalmente affondando.
Finalmente…è davvero pensabile un finalmente di questo tipo? Era questo, che volevamo? Un paese affondato con una ferita oltre i 500 punti di Spread, davanti alla quale tutti inorridiamo, per soffocare subito dopo risatine davanti a quelli di Striscia la Notizia che, come sciacalli dopo un uragano, cavalcano l’onda del populismo strappando facili consensi ad una cittadinanza stordita e in ginocchio.
Lasciamo che sia questo a rappresentarci?
Lui ci ha fatto così tanto male, ferendo mortalmente la nostra dignità?
E un debito che regala a chi si propone di sanarlo un interesse posizionato sul 7% non ci dice niente?
Quale titolo oggi corrisponde un interesse così alto? Forse un titolo azionario, in corrispondenza del rischio che si assume chi lo sottoscrive. Rischio che l’azienda di cui entrano a far parte possa crollare, o semplicemente non produrre fatturato. E noi, modelli broker, ci lanciamo euforici, isterici nel gioco di borse convinti di rischiare l’affarone del secolo.
E l’azienda che finanziamo con le nostre tasse? L’azienda di cui già partecipiamo degli utili, o inutili, viste le condizioni in cui versa oggi, dico, di questa azienda non vogliamo sentirci partecipi?
Cazzo, l’Italia vi sta dicendo che il suo debito vale il 7% di interesse annuo a chiunque voglia credere che questo tunnel abbia una luce che ne indichi l’uscita. Chi deve crederci se non noi?
La BCE? I grandi industriali che intravedono l’affare sapendo che il default dell’Italia è , in realtà, l’evento meno probabile allo stato attuale delle cose?
Quello spread, quell’interesse che i media ci propinano come termometro della malattia dell’Italia, è in realtà il più grosso affare che il nostro paese ci sta offrendo per riscattarci, per riprenderci l’Italia, con gli interessi.
Si chiama BTP.
Si prenota nell’ufficio postale più vicino a voi, e alla fine vi farà ridere molto più del maxi tapiro davanti Palazzo Grazioli.

mercoledì 9 novembre 2011

Una giornata non uggiosa

La strada è buia; anche stasera ho fatto più tardi del previsto al lavoro. Succede sempre che perda il senso del tempo quando sono immersa in qualcosa che mi prende, che mi impegna. Rimane tutto al di fuori, compreso l’azzurro del cielo di oggi che, senza che me ne accorgessi, ha lasciato silenzioso il posto al nero della notte. Una luna piena sfocata da  una coltre di foschia, il buio di Via di Vigna Murata, le luci improvvise degli stop di auto e moto al semaforo dell’Ardeatina.
Giulia, gli occhiali sul naso, ti sfiora la mente.
Nelle auto vedo visi stanchi, qualcuno è al telefono, la maggior parte si limita a fissare il traffico. Ci sono due vigili fermi al semaforo che sembrano solo voler complicare un traffico già indisciplinato.
Giulia ci sa fare, Giulia è intelligente, Giulia è qualcosa di più.
Questa è la prima sera che non devo guidare tutta storta per vedere oltre le mille perline di pioggia sul parabrezza dello scooter, stasera la strada mi tiene, non scivola sotto le ruote, mi godo il ritorno a casa.
Alla fine ce l’ho fatta, sono riuscita a chiudere il progetto, ogni cosa al suo posto è lunedì partiamo. Stamattina la mia posta elettronica sembrava un campo di battaglia, una mitragliata di mail una più polemica dell’altra, problemi su problemi, modi diversi di affrontare questioni di lana caprina, un vecchio sapore di muffa che mi torna in bocca.
Ma è andata, ce l’ho fatta. E sono contenta, inutile negarlo. Mi piace vincere, mi piace farlo solo con le mie forze, ancora di più quando sono le parole la mia forza.
Giulia ti accarezza, accarezza la tua mente, Giulia lotta anche per te.
Stasera ho voglia di tornarmene a casa, fa freddo e questo movimento di auto su una strada rattoppata e lucida mi fa sentire il bisogno di camminare scalza sul pavimento di casa mia, di versarmi un bicchiere di quel meraviglioso novello mentre mi preparo qualcosa per cena.
Il semaforo scatta il verde, le auto si muovono, la canzone di Venditti lascia il posto a 50mila è io comincio a cantare a voce alta, sorridendo al pensiero di chi mi sente passando.
Pochi pensieri, isolati e frastagliati, ma sullo stesso sfondo compatto: sono contenta di essere qui, contenta di tutto questo, di ogni prezioso, irripetibile e imprescindibile dettaglio.
Semplicemente, oggi potevo non esserci.

lunedì 7 novembre 2011

Un po' così...

Il rapporto perfetto

Ma sì che ti amo, certo che ti amo, come potrei non amarti.
Cheppalle però, non possiamo parlare di altro? Non possiamo litigare per il telecomando come ogni coppia che si rispetti e cristo, perchè non mi lasci piantare uno di quei musi broncetti tutti vocette e mugugni che si risolvono poi in inevitabili “sì, sì oh sì! e adesso fammi i grattini..” perchè dico, mica vorrei rinchiuderti nel tuo momento refrattario e lasciarmi qui nel mio momento cosmico estatico asfittico stitico ah se ti amo.
Ma ti amerei certamente di più se solo tu, se solo tu non avessi quell’aria così paziente con me, come se fossi una bambina da sopportare, educare, tollerare. Insomma cosa vuoi?
Sei così buono con me tu, lo so che non sai dirmi di no, oh no! non dire niente, non è necessario. La verità è che ti senti in competizione con me ma non devi, davvero.
Sono una donna libera, indipendente, autonoma, eh sì, sei un uomo fortunato tu, ma non fare tutti quei rumori con la bocca cristodiundio cosa stai mangiando un pluriball? Devo insegnarti a stare a tavola, se non ti amassi come ti amo.
Cosa? Cosa dici? Aspetta bevi. Cosa vuoi adesso, giocare? Sei cresciuto tesoro non te ne eri accorto? E’ arrivato Jerry Scotti, compra una vocale e gira la ruota, sì, dai.
V-A-F-F-A-N-C-U-L-O.
Sei proprio un bambino, tu.

sabato 5 novembre 2011

I will

Io scrivo, scrivo e che mi frega se tu pensi che non ha un fine, che non è commerciale, che non porta iscritti a un corso, non trasmette contenuti non dimostra quanto sono fico.
Quello è il tuo scrivere, non il mio.
Se poi da qualche parte è depositato uno scritto, avente valore legale e che mi dimostri che scrivere ha senso solo se produce fatturato o “mi piace” ad una pagina o ancora se mi aumenta le mail di stalking da parte di fan impazzite davanti ad una distesa sconclusionata di parole che io definisco ipnotiche allora (prendo fiato), di grazia, gradirei leggerlo.
Poi però sarei davvero molto triste.
Un paio di giorni fa ho letto quelle righe su un foglio spiegazzato.
I will.
Non riesco a togliermelo dalla mente.
Non poteva parlare di chiunque, parlava di sè. Così distante, parlava anche di me.
I will.
Perchè non puoi non farlo, quando ti accorgi che il guardiano in armatura delle tue emozioni si addormenta solo quando gli racconti una favola, non puoi non farlo, devi scrivere. Addormentarlo, dissolvere la nebbia ed emergere.
Un saluto veloce, troppa gente, solo la tua voce un po’ bassa, quasi soffiata per arrivare giusto al mio orecchio nella folla, non oltre.
Un urto, un libro, piacere Federica, persone e sguardi incrociati distrattamente. Carino qui, bella giornata di sole, ottobre, voglia di camminare, torniamo in Trastevere a piedi sì, avviamoci, ciao a presto! Eccoti qui, sei qui, adesso ti vedo, sempre più familiare.
Vieni verso di me, adesso sì, che vieni verso di me, e ti sento vicino quanto la tua mano che mi attraversa i capelli.
Aggiungiamo propositi alla lista di ciò che faremo quando ci vedremo da soli, un imminente mai.
Vorrei essere sempre quella di un momento così, camminare sulla scia di me. Ci credo davvero che potrei essere sempre leggera, libera, anche bella senza rincorse inutili verso contorni definiti da altri. E vorrei mille di quelle carezze, la mano su un fianco che mi avvicina, la voce che mi gira intorno al collo e tutto perfetto così, col sole fuori e la pancia piena.
I will.
Lo farò, vi prego non tentate di persuadermi ancora che la dietrologia aggiunge spessore, con l’illusione di un apparente dietro...ahahahah! Cosa può aver dietro un davanti di cartapesta?
E il valore del tempo dove lo lasciamo? Ci vuole tempo per costruire le cose, non pezzi di carta, non frasette autocelebrative pubblicate su un sito. Il tempo sì, lento, paziente, veritiero, comprensivo ed elegante, solo dirà chi sei. Ma tu non sei chi sei, tu sei cosa fai, ecco perchè quando sto con te mi annoio.
Lo farò, anche solo per farti dispetto, per sentire i tuoi commenti presuntuosi e vuoti, colmi di pregiudizi.
Quella mano ancora nei miei capelli, i miei capelli ancora da accarezzare, così corti ormai.
La mano che mi avvicina, io mi avvicino, un imminente mai. Come incontrarsi senza poi salutarsi,mai. Questa è verità, sì, qui c’è il tempo e il suo valore reale, cose non bruciate in fretta, ma centellinate e godute.
Dorme, il guardiano dorme, le emozioni salgono su su, mi riportano tutto: il calore, l’anello, il sapore di fragole, il sole fuori e le mie gambe nude sotto il vestito, le calze nella borsa.

venerdì 28 ottobre 2011

Istinto&Tempo

Sapevo di non sbagliarmi, ma non immaginavo quanto. Sì lo so che è parecchio che non pubblico niente, ma ancora una volta seguire un istinto si è rivelato vincente.
C’è sempre un motivo se uno è portato a fare qualcosa. Facciamoci pace. Basta con questa storia che dobbiamo imporci, darci una disciplina, forzarci a continuare una cosa che si è iniziata solo per il fatto che si è iniziata. Io mi permetterei un letterario “sticazzi” a questo punto. Tanto c’è tutta la vita là fuori per mostrarsi come i perfetti soldatini dell’opportuno e dell’apprezzato, qui se ne può fare serenamente a meno.
E ascoltare.
Che c’era in quel silenzio?
Una prova che richiedeva tempo, un po’ di distrazione, nonchè una leggera assuefazione.
Ce l’eravamo detto no che la libertà non si ferma alla scelta, alla decisione di essere liberi ma che poi va tradotta in pelle, vene e arterie, sennò il sangue non circola e se stagna è un casino.
Io però, che predico bene e razzolo male, ho stagnato. Che bello ricominciare ad avere una vita serena, senza responsabilità schiaccianti e orari da convento. Che bello fare tardi la sera e la mattina arrivare in ufficio quando mi va, con calma e non prima dell’italianissimo caffè al bar col giornale fra le mani e i commenti con gli affezionatissimi dei fratelli Cicogna come me.
Giornate tranquille, piuttosto divertenti, colleghi simpatici e matti come cavalli, capaci di rendere una giornata in ufficio una puntata di Camera Cafè...che vuoi di più, te lo sei meritato bella mia, goditelo.
Sembra tutto così lontano adesso, in fondo che ci è voluto? Niente, o quasi. Una rapina certo ma in fondo a chi fa questo lavoro capita e poi è stato un lungo periodo di vacanza, divertente, allegro, ma sì. Niente di trascendentale, i contorni sfumano, tutto si appiattisce.
“I malati ricordano, i guariti dimenticano”, diceva Jim Morrison.
Io sono guarita.
Ma quando ero malata ho fatto in modo di non dimenticare.
Ho scritto.
E ieri ho riletto, tutto.
Ho avuto così la prova che era giusto tracciare ogni singolo passo di quel percorso tutt’altro che facile, fatto di momenti immensi, a volte impercettibili, a volte risonanti come un temporale, in cui ho spostato tutti i miei punti di riferimento per ridefinire me sulla mia strada.
L’avrei dimenticato.
L’avrei seppellito con questo benessere e se qualcuno mi avesse chiesto come ho fatto a cambiare tutto così, o come mi sono sentita avrei fatto spallucce dicendo che in fondo non è cambiato niente, che non ricordo grosse differenze con prima, che forse non stavo poi nemmeno tanto male.
E invece no.
Ho scritto, è tutto qui, sul mio mac, ordinatamente conservato e pronto all’uso.
Perchè va usato, è un dovere morale farlo, perchè un istante dopo aver letto, quello che ho guardato fuori dalla finestra è apparso più luminoso, più colorato, più profumato, più dolce e gustoso che mai.
Ancora una volta, e per sempre, fino alla fine dei miei giorni, è la strada che conta, a prescindere da dove ti porta.
Potrei essere altrove, potrei vivere mille vite, con mille persone e in mille luoghi diversi, ma so che sarei capace delle stesse cose.
E so che questa cosa che mi si rigira nella pancia e sale fino al cuore, mi distende i lineamenti del viso e scaturisce in un sorriso, non è affatto una dettaglio di secondo ordine.
Eccomi qua, tornata, o mai andata via.

martedì 27 settembre 2011

Il mio, personalissimo, downshifting

Quest'estate, in pieno trip da ricerca di risposte esistenziali, mi è capitato tra le mani anche un libro sul downshifting, e da bulimica del libro quale sono, l'ho ingurgitato.
Cos'è il downshifting. E' un approccio alla vita che si fonda sul principio che consumiamo molto più di quello che ci serve e questo ci rende schiavi. Schiavi del nostro lavoro in primis, dal momento che iniziamo a dipenderne non per sopravvivere ma per mantenere quel falso tenore di vita volto a compensare le insoddisfazioni derivanti da un lavoro che non soddisfa, che ruba tempo per la famiglia, le passioni etc.
In base a questo principio è teorizzabile un approccio alternativo che consiste nel rivedere a tavolino i propri consumi e bisogni, quantificarli e in base a questi rivedere anche la propria posizione lavorativa, dal part time al licenziamento.
Il tizio in questione aveva abbandonato del tutto una carriera in azienda e si era messo a scrivere, a partecipare a convegni e a promulgare la filosofia del downshifiting in tutto il mondo. Si era trasferito dalla sua casa di città in una casetta di legno del bosco, dove poteva avere un controllo dei consumi quali riscaldamento, illuminazione etc, completamente autonomi e in parte realizzati grazie ad energie naturali. Si era comprato una barca che noleggiava con lui come skipper, di tanto in tanto arrotondava con qualche lavoretto extra di tipo manuale: riparava cose.
Comprava vestiti ai mercatini, frutta e verdura al mercato dopo un attenta selezione del prezzo, l'insalata rigorosamente a mazzi perché quella in busta è un furto, e conosceva a memoria gli scaffali estremi dei supermercati: quello a terra e quello in alto. Lì, dice, si trovano le stesse cose degli scaffali centrali ad un terzo del prezzo. E potrei andare avanti citando innumerevoli esempi tratti da questo manuale di sopravvivenza del giovane downshifter, ma per quello che voglio dire, basta così.
Tutto giusto, è vero che l'insalata in busta costa quattro volte l'altra, è vero che negli scaffali ad altezza occhi ci sono cose più care e non necessariamente più di qualità, sono vere un sacco di cose, solo che messe tutte insieme così, perseguite con fare salesiano per ritagliare un euro qua e uno là, a me fa tanta tristezza, così tanta che quasi quasi preferisco lavorare come una schiava e poi uscire dall'ufficio e comprarmi un paio di scarpe da 300 euro.
Non posso però negare che nel dowunshifitng c'era qualcosa che mi intrigava, che mi attraeva magneticamente. Ebbene, quel qualcosa è un semplice cambio di punto di vista. Un'inversione dei ruoli: non sei tu, lavoro, che decidi chi sono e come vivo, in base a quanto posso spendere, sono io che decido come voglio vivere, quindi quanto vorrò spendere e quindi quanto ti darò.
Questo è quello che mi ha portato ad elaborare la mia versione di dowunshifitng emotivo.
Da lunedì riprendo a lavorare. Torno in Direzione Generale, nello specifico in una società del gruppo, su una posizione commerciale; quello che piaceva a me in breve.
Cosa è cambiato?
Ricordiamoci che a monte di tutto questo c'era una che si nutriva di pane e carriera e forse sarà più facile capire. Un direttore giovane, donna e che sparava numeri su numeri centrando obiettivi commerciali come fosse il tiro a segno di un luna park. Una che ci pensava la sera a casa a come vendere, a chi vendere, a cosa proporre e come. Una che si portava al mare in spiaggia le comunicazioni interne che non aveva tempo di leggere in ufficio perché era sommersa da appuntamenti con i clienti. Una che lavorava sei giorni a settimana e la domenica pomeriggio già rimetteva in moto il cervello per il lunedì. Sempre la stessa, che si toglieva ogni genere si sfizio, dal massaggio all'acquisto più inutile, per colmare qualcosa dentro.
E mi fermo qui perché sento un rigurgito alla bocca dello stomaco.
Lunedì torno al lavoro, dicevo.
Ho scelto un posto dove non gestisco persone, dove non sono responsabile di strutture. Dove non gestirò più il denaro di nessuno. Continuerò a fare quello che mi piace e che so fare: vendere, supportare le strutture del territorio, pensare strategie commerciali, inventarmi idee accattivanti e, speriamo, vincenti.
Ho scelto un settore che non riguarda più investimenti o gestione del risparmio in genere, ma oggettistica. L'ho scelto perché è un mondo colorato e mi sembra un'ottima motivazione. Sì perché voglio che le mie giornate siano colorate, divertenti, etiche. E ho scelto un posto in cui ricomincio a lavorare cinque giorni a settimana, quattro e mezzo per la precisione con orari assolutamente flessibili. Quando mi hanno detto se avevo qualche domanda da fare ho chiesto se potevo arrivare con comodo la mattina. Ho scelto un posto in cui quando me ne vado mi chiudo tutto alle spalle e non mi porto niente nella mia vita privata, la protagonista assoluta.
Lo stipendio rimane invariato, meno ovviamente la parte variabile legata al raggiungimento degli obiettivi commerciali, ma, potete credermi, gliel'ho lasciata senza il minimo rimpianto. Ci ho guadagnato io su tutta la linea. In cambio mi sono presa un sorriso che non mi abbandona da settimane.
Eccolo il mio downshifting emotivo. Continuo a vivere in città, continuo ad usare la macchina, lo scooter, a fare la spesa dove capita. Ho eliminato quel vuoto dentro, quello che ti rende necessario compensare, perché non ho niente più da compensare.
Ho tutto quello di cui ho bisogno, non mi serve davvero nient'altro.
Non mi servono più soldi, non mi servono più riconoscimenti. Quello che cercavo in quelle cose non era lì, è nelle persone che mi sono accanto adesso, è nella vita che sto conducendo da due mesi, è nel tempo rotondo e pieno che mi avvolge senza più sfuggirmi.
Questo il passo di oggi, domani vedremo.

domenica 25 settembre 2011

STOOOOOOPPPPPP!!!!!!!!!!!!!!!!!!

E' evidente che sia così. Per quanto ci giri intorno non posso far finta che ormai questo blog che non è un blog sia in realtà diventato un blog e quindi, mi annoi.
Non che abbia nulla contro i blog, tant'è che ne ho aperto uno, seppur con velleità alternative, ma il punto è proprio questo: mi sono sbragata. Mi è sfuggito di mano il fine ultimo e l'ho ridotto ad un vomitatoio. Uno di quei contenitori di tutto in cui riversi le tue eruzioni interne, su cui ti sfoghi, ti incazzi, su cui contempli le meraviglie inaspettate della vita, due palle. Infatti ha iniziato ad annoiarmi.
Riavvolgiamo il nastro.
REWIND.
Era iniziato tutto da una rapina, dallo scambio tra la mia vita e 80.000 euro e dall'impegno a renderla degna dei giorni da vivere concessi da qualcosa che chiameremo caso.
Sono stati due mesi di rivoluzione interna che non si sapeva bene dove mi avrebbero portato ma che avevano ben chiaro il punto di partenza su cui non avrebbero mai ripiegato: la vita per la carriera. Addio, tutto finito tra noi.
E adesso?
In effetti per un po' non ho potuto parlare di questo perché oggettivamente non avevo informazioni e questo mi metteva in una situazione di sospeso nella quale non mi sento mai a mio agio, motivo per cui ho evitato l'argomento.
Adesso quelle informazioni ci sono.
La rivoluzione si è quindi conclusa. Devo solo valutare cosa e in che misura scrivere qui. E cosa invece riservare per il libro che sto scrivendo. Sì, il libro, ricordate? Era anche per questo che esiste questo non-blog.
Quindi, per ora dico solo che se la definizione di rivoluzione è: evento che sovverte totalmente l'ordine precostituito, dopo il quale niente è più come prima, beh, se accettiamo questa definizione allora sì, questa rivoluzione c'è stata, si è conclusa e una nuova era si è aperta.
Adesso ci penso un po', perché se da un lato continuerò a scrivere di cose e persone che mi circondano (mica vorrò togliermi ogni divertimento eh) dall'altra devo e voglio riprendere il filo di un discorso importante, troppo importante per non essere portato a conclusione in maniera coerente e sincera.
E' la vita di ognuno di noi, e se non si sta attenti il rischio è di vederla naufragare come questo blog, dolcemente magari, o presi da questioni importanti, ma decisamente fuori fuoco.
Mi rifocalizzo, avremo di che parlare, la rivoluzione continua nell'organizzazione di una vita con nuove prospettive e valori diversi a guidare, la pancia come bussola, il cuore come motore. La testa? capitano in seconda.
Avanti tutta quindi e brunetta fottiti!

giovedì 22 settembre 2011

C'è tempo...e tempo

Il tempo ritorna ad essere una delle questioni che mi interessano di più. Questo perché in quest'estate è stata la variabile più significativa di ogni passo compiuto.
Da quando di tempo non ne hai per te, e l'idea di averne diventa il sogno proibito a cui non ti concedi nemmeno di pensare. A quando accade qualcosa che improvvisamente ti regala qualche giorno, a quando decidi, con una consapevolezza relativa al tuo diritto a stare bene per un po', di prendertene altro. A quando intravedi in quel nuovo scorrere delle ore nuove possibilità, un nuovo approccio alla tua vita dove le cose importanti possono essere riviste, ridimensionate, ricollocate. Il tempo per te. Il tuo tempo. E allora compi quell'ulteriore passo del quale, per la prima volta, hai calcolato e accettato le conseguenze. Un tempo per distruggere. In tutte queste fasi l'adrenalina è stata il carburante quotidiano: adrenalina messa in moto dall'entusiasmo, dalla preoccupazione, dalla felicità, dalla paura e dall'ansia, dal coraggio e dalla sfida vinta.
Finchè vivi questo ti sembra impossibile che possa non essere più così. Anche se lo sai che il carburante poi finirà, e che dovrai camminare a piedi dopo, con le tue gambe.
Ecco, ci siamo.
Un tempo nuovo questo dell'attesa. Caratterizzato dalla pazienza e dal distacco emotivo. Emozioni di cui non parlo, di cui non scrivo, idee che tengo per me finchè si muovono così veloci, di cui mi interessa solo evidenziare e sottolineare l'ennesimo collegamento con il tempo. Questo è un tempo che prova, ma che rafforza, che mi mette a confronto con me stessa e con le cose che ho fatto rientrare poco a poco nella mia vita. Affetti, divertimenti, impegni, prospettive lavorative. Ma con ordine e possibilmente senza miscugli, che ho bisogno di gestirle separatamente, per quanto possibile, ho bisogno di evitare caos.
Rientrano inevitabilmente anche emozioni negative come la delusione, tanto più grande e dolorosa quanto più inaspettata, ma ogni cosa sembra avere una maniglia, un punto da cui può essere afferrata senza scivolarmi dalle mani.
Questo tempo è più lungo, è pieno di vuoti e di pause, in cui le emozioni hanno più spazio per muoversi e farsi sentire, accidenti a volte vorresti che tacessero ma è giusto così.
Volevo solo dire che mi prendo anche questo, che anche questa è una fase ed è importante, va ricordata insieme alle altre che fanno parte dello stesso viaggio.
Vale la pena vivere ogni cosa, ecco forse questo è il senso di quello che ho in testa oggi, ogni cosa ha motivo di essere, anche se adesso magari mi sfugge.

martedì 20 settembre 2011

Meglio un uovo?

In media stat virtus. Ribadisco che secernere citazioni in latino garantisce quasi sempre un posto di rilievo al tavolo di una discussione, e questo soprattutto ad uso e consumo del mio prossimo capo. La lista dei miei capi si allunga, spero che il soggetto in questione si renda conto che potrebbe diventare un altro capo contento e la finisca co sta manfrina che ormai mi sta solo snervando. Ho bisogno di un capo, ormai non regge più. So di non essere più convincente, per fortuna.
Ma non posso negare che in questi giorni la mia energia abbia subito una fase discendente rispetto allo scorso mese, quando ero pronta a scalare la vetta più alta. E' normale assestamento, mi sono detta. Preoccuparsi significherebbe rientrare in un loop di ansie inutili e dannose. E così non mi sono preoccupata più di tanto, un po' dispiaciuta magari, che sentirsi a mille crea dipendenza.
Qualcosa però mi diceva che dovevo solo aspettare, che ancora una volta ci sarebbe stato un click, uno dei miei per capirci. Quelli che, ormai lo so, la vita ti presenta esattamente, precisamente, esclusivamente, a quel cavolo di momento giusto prima o dopo il quale niente avrebbe lo stesso senso.
E così è.
Piccole cose, come sempre, niente di plateale. Solo la consapevolezza di essere su un cammino di piccoli passi quotidiani, studiati e consapevoli, che non creano scalpore, non alzano polvere, non attirano troppa attenzione ma piano piano ti portano molto lontano.
E' stato il cuore a condurre il gioco in questi giorni, poca testa, cuore difficile da ascoltare quando, come mi sono sentita dire almeno dieci volte in una settimana, si sente il rumore dei miei pensieri.
E così sono rimasta sorpresa, per qualcosa di inaspettato, di bello, che non ho trovato dove credevo che fosse.
E poi ho trovato conferma del fatto che a fare la guerra non vince nessuno, che dietro ogni fucile puntato c'è un essere umano e vale sempre la pena cercare un dialogo, che basta ascoltare a volte.
Ho capito cosa voglio davvero portare nel mio lavoro, ed entro un anno sarò pronta.
Infine, stamattina una telefonata adrenalinica mi ha tirato giù dal letto contagiandomi con il suo entusiasmo, lui che si è anche scusato per averlo fatto, e non sa quanto invece mi abbia fatto bene. Grazie Simone.
Tutto questo su uno sfondo di grane e problemi di ordine pratico che, come sempre, si sovrappongono rendendo tutto complicato. Solo che sono rimasti sullo sfondo, affrontati e in via di soluzione, uno alla volta, che c'è una soluzione per tutto.
Ricordarsi sempre cosa è davvero importante, cosa vuoi da te stesso e cosa sei disposto a dare, questo dà senso ad una giornata, anche alla più normale.
Ci sono momenti, come ieri sera, in cui ti diverti, ti diverti così tanto che ti sembra di essere tornato bambino, e non ti capaciti di come possa essere così dopo una giornata difficile a risolvere problemi. Giornate che si chiudono poi con un'ulteriore, inaspettata gioia, perché, che ci crediate o no, le frittate si possono ricomporre.
Meglio un uovo, decisamente.

venerdì 16 settembre 2011

pensieri bianchi

Da dove vogliamo cominciare?
L'estate finisce, il caldo continua, dentro è tutto pulito. Finalmente. E' un po' come quando traslochi da una casa in cui hai vissuto a lungo, dove hai comprato mobili, tappeti, piatti, vestiti, quadri libri tutto. Tutto accumulato negli anni fino ad attutire il rumore della tua presenza là dentro. Cade una forchetta sul tappeto: tump. Finito.
Ti muovi scalzo per casa e il tuo passo non fa rumore, ti senti rimbalzare tra i cuscini del divano, il letto, persino le pareti di casa sono calde quando ci vivi.
E non puoi accorgertene, come fai…è impercettibile. E' inesorabile. A forza di mettere cose, per quanto confortevoli, graziose, utili anche, lo spazio si riduce. Ti ritrovi a muoverti scivolando come un gatto fra le cose. Sei improvvisamente tu che ti muovi tra le cose, cercando di non inciampare, di non urtare di non, ops scusa! Ecco, cercando di non: proprio questo.
Ospite nella tua casa.
Come ti ci senti? Ti piace? Hai ancora voglia di tornarci la sera? Dormi ancora bene nel tuo letto?
Respiri? E se ti accorgi che non ce la fai, che i polmoni non si espandono, che la casa, la tua casa, ti inghiotte, che fai?
Traslochi, semplice.
Eh no, semplice per un cazzo. Io prima distruggo tutto se non ti dispiace, e poi me ne vado.
Distruggo tutto perché è roba mia, perché credevo servisse ad un fine e ora mi accorgo che non avevo capito, che mi ero sbagliata, che non serviva a quello, serviva oggi a farmi capire che significa distruggere tutto quello che hai.
Scusami, dovevo farlo, solo così potevo amarti un'ultima volta. Però sei bella sai, così, distrutta, a pezzi. Devo dire che non mi sei mai piaciuta tanto.
Sto per andarmene, e ti guardo ancora, ancora un'ultima volta, dopo aver raccolto ed eliminato le macerie e tu sei di nuovo luminosa, con le pareti bianche, vuote.
Tu sei tutta vuota e pulita, e così mi fai venire voglia di restare ancora un po', a sentire il suono della mia voce che finalmente rimbomba, a sentire il rumore dei miei passi sul pavimento, a riempirmi gli occhi di luce e i polmoni d'aria fresca che entra dalle finestre, spalancate, senza tende. A sentire Federica che torna ad abitare qui.
Ma sì, forse non è necessario andare lontano per stare bene, una volta che sei a posto dentro, non servono altri chilometri da macinare.
Adesso però me ne sto ancora un po' così, nel niente.
Tra non molto dovrò pensare a cosa portare dentro, con me. Poche cose, essenziali e preziose. Devo pensarci bene, perché non voglio più distruggere quello che mi circonda. Lo considero un privilegio, un privilegio di lusso che ho pagato in contanti e senza sconto.
Ci penso, sì ci penso bene, lo faccio con la pancia e non più solo con la testa.
Non ho fretta, davvero non ce l'ho.
Sono successe tante cose in questi mesi e il bianco è la cosa più bella che mi sento nella testa adesso.

venerdì 9 settembre 2011

un giorno lungo

Quanti ne hai vissuti di momenti così. Giorni come questo, lunghi a passare, dolorosi, lancinanti. E ormai lo sai che non puoi farci niente, se non lasciarli passare, che qualcosa dentro si sta muovendo, vuole parlarti. Sensazioni che vorresti scacciare, che cerchi di trasformare con le parole di conforto di chi ti vuole bene. Parole inutili, perché tu lo sai come stanno le cose, e hai imparato a fidarti di quello che senti, che alla fine non ti ha mai tradito.
E allora che vuoi fare? Lo sai no che tanto vai avanti lo stesso, ormai l'hai imparato sulla tua pelle. Anche quando sembrava impossibile, alla fine ce l'hai fatta. Ce la si fa sempre. Sempre. E' la strada che pesa, soprattutto dopo tutto questo tempo, in cui di strada ne hai fatta tanta, e non è stato un cammino facile, affatto. Hai dovuto mettere in gioco tutte le tue risorse, non ti sei risparmiata perché hai voluto imprimere un cambiamento forte, che davvero non ne potevi più di tutto quello che ti stava avvelenando la vita. E adesso sei stanca, lo so. Per una volta vorresti che arrivasse l'inaspettato, quella sorpresa bella della vita che ti alleggerisce le spalle, te le circonda con un braccio come fa un vecchio amico e ti dice andiamo dai, facciamoci due passi insieme che mi va di stare un po' con te.
Sono cambiate tante cose, e sono stati cambiamenti positivi. Ma c'è ancora qualcosa, una cosa, che sa di stantio, che ti riporta là dove non vuoi più tornare.
E tu lo sai che la devi affrontare, quest'ultima cosa. Che per quanto possa migliorare non cambierà mai, avrà sempre i contorni di una misura che ti va stretta ormai.
Che vuoi fare? Quanto vuoi aspettare ancora?
Ti dici che per ogni cosa c'è il momento giusto e intanto sei ancora tu a pagare, con la sofferenza, con le mille sfumature che assume.
Questa stanchezza forse è il messaggio più autentico che ti dai.
E' il segno di una bomba che ti sta esplodendo dentro, macerie su macerie.
Altro che casette di cristallo, c'è Hiroshima il giorno dopo dentro di te e nessuno può vederlo. Solo tu, che ogni giorno ricostruisci un pezzo, con la fiducia e l'ottimismo di un sopravvissuto. Un miracolato che vede nei resti di una vita distrutta quello che nessuno può vedere: la speranza.
Oggi è un giorno difficile, non lo puoi spiegare, non ne vale la pena.
Un giorno lungo, una pressa sullo stomaco a digiuno.
Ma sta finendo, perché tutto finisce. Ecco ricordatelo, tutto finisce. Anche quello che vorresti non finisse mai, o che credevi non sarebbe mai finito, finisce. Tutto muore se non viene alimentato come necessita, e tu non puoi fare tutto da sola.
Questo non è detto che debba essere un male, come avrebbe detto Vezio.
Finisce qualcosa, si trasforma in un'altra. Diversa magari, ma con una sua bellezza, a cui bisogna solo abituarsi, a cui si può voler bene.
Lascia andare quindi, lascia la presa, non hai comunque più niente in mano.

giovedì 8 settembre 2011

Capelli bianchi

Ci sono cose difficili da scrivere. Cose troppo grandi per essere provate da un cuore solo, un cuore di figlia.
Ieri li guardavo: uno così piccolo, l'altro con i capelli tutti bianchi ormai.
Una volta non era così. Erano neri quei capelli, neri come il suo carattere così autoritario e repressivo. No. No è la parola che ho sentito più spesso uscire dalla sua bocca. Lo consideravo un tiranno. E sono stata sul punto di odiarlo quell'anno in cui ha deciso di fare il padre, a modo suo.
Credevo di non uscirne più. Immaginavo ogni genere di fuga e in ognuna lui mi riprendeva, sempre.
Quel giorno la porta invece me l'ha aperta lui. E non mi ha mai più inseguito. Io però ho sempre avuto voglia di tornare, perché non si fugge da chi ti spiega, e poi ti regala, la libertà. Non puoi non voler tornare da chi ti inietta che la sola impalcatura capace di reggere il peso di una libertà così grande, che non faccia male al prossimo, è la fiducia. E la fiducia devi meritartela. Solo così non la perderai.
Ieri li guardavo, tutti e due. Il mio passato e il mio futuro, uniti dal mio sangue.
E ho sentito di nuovo quella paura, che da un po' ogni tanto mi punge proprio al centro del cuore, come una spina.
Lui mi ha permesso di andare quel giorno, non mi ha trattenuta, è rimasto sulla porta con la voce strozzata mordendosi la lingua probabilmente. Ha voluto che seguissi la mia strada.
Io non sarò così brava. Io ho paura di quei capelli bianchi, vorrei che fossero ancora tutti neri, neri come il suo carattere, sì, impositivo, tirannico, repressivo, va bene. Ma neri, come gli anni giovani di quei capelli neri.
Questa vita è troppo corta e veloce per tutte le cose che potremmo dirci, e non ci diciamo, le affidiamo ad uno sguardo, ad un mezzo gesto. Rimangono sospese nell'aria e puoi solo respirarle.
Circonvoluzioni della vita.
Ognuno di noi in fondo lo sa, sono sicura che lo sa, qual'è quella cosa che non sarà mai in grado di affrontare.

sabato 3 settembre 2011

via, lontano da me

La stanza completamente al buio. Io sdraiata sul letto, immobile, quasi senza respirare per non far sentire la mia presenza. I suoi passi su e giù per la camera, come una tigre in gabbia, al buio. Sento il suo respiro vicino, mi irrigidisco. Forse sa che sono qui, forse no. Rimango immobile sperando che se ne vada ma quei passi sono troppo nervosi, veloci, vicini, e so che presto farà qualcosa.
E quel momento arriva, si ferma e in un attimo è proprio sul mio collo, lo bacia, con una precisione chirurgica che mi fa capire che ha sempre saputo che ero lì.
Apro gli occhi afferro il cuscino e lo lancio via da me come se fosse lui.
Non saprò mai chi c'era in quest'incubo, so solo che non mi è piaciuto, e che la sensazione di schifo mi è rimasta addosso tutta la notte.
Traduco: vicinanza non richiesta, confidenza non concessa, tentativi per appropriarsene come fosse un diritto.
Questa cosa la conosco. sì. L'ho già combattuta.
Provo a scaraventare tutto qui, sul foglio bianco, sperando che così esca da me e mi lasci in pace.

giovedì 1 settembre 2011

Devo solo trovare il film giusto

All'inizio di tutto, quando ho deciso di scrivere ogni passo di questo cammino, mi aveva mosso la considerazione che, di solito, qualcuno fa una grande cosa, e poi ne scrive. Il principio che la storia viene scritta dai vincitori. Descrizioni dorate di percorsi di successo in cui qualcuno procede a grandi falcate verso un obiettivo, senza mai inciampare, senza mai un piede in fallo, o anche solo senza sentirsi un po' stanco, bisognoso di un momento per fermarsi a riprendere fiato.
E così chi legge queste storie "a posteriori" si sente irrimediabilmente distante, escluso " a priori" dalla possibilità di compiere qualcosa di simile.
Adesso direi anche che uno finisce per sentirsi un po' sfigato ma poi Maria mi cazzia e stasera non è aria. Quindi non lo dico.
Dico però che la verità sta nel mezzo. La verità sta tra il successo di una storia e il fatto che sia poi effettivamente alla portata di tutti.
Il successo può arrivare, magari arriva, ma prima arrivano altre cose: ci sono consigli non richiesti, consigli richiesti che si rivelano sbagliati, chiacchierate illuminanti, sguardi di intesa, cadute, paura, qualche cazzata in mezzo che ti fa venire voglia di lasciar perdere tutto, stanchezza a volte, coraggio, entusiasmo. Ecco c'è tutto questo.  E tutto questo è quello che bene o male ognuno di noi vive ogni giorno, si chiama vita. Convogliare questo magma di cose, comunque vissute,  verso un obiettivo che rappresenti la felicità è quello che rende u successo alla portata o meno di qualcuno. Alla fine si torna sempre a parlare di consapevolezza.
Lo sai dove stai andando? Riesci a dare un senso al tuo fastidio? Alle tue paure? Sai cosa ci guadagni a rinunciare a qualcosa? O sei soltanto preso dalla lamentela per la perdita? Ecco, la risposta a queste domande ti può allontanare o avvicinare a quel tipo che ha scritto una storia di successo dall'alto del suo podio.
Ecco perché mi ero prefissata di scrivere tutto, prima ancora di sapere se ce l'avrei fatta, perché questo mi avvicina a chiunque legga e provi a domandarsi se è davvero possibile provarci.
Spesso è da una caduta che si impara a camminare meglio. E da come cammini ti rendi conto che il viaggio è importante almeno quanto la meta.
Le cadute servono. Chi ha vinto è caduto, magari mille volte, ma una volta raggiunto il traguardo le cadute se le è dimenticate, travolto dalla gioia del successo ne ha trasformato la percezione del raggiungimento. Per forza che poi sembra un'impresa impossibile, E invece non lo è: è possibilissimo. Solo che sarà una montagna russa, a volte alle stelle, altre volte col sedere per terra e gli occhi rossi, altre volte ancora camminando spediti.
Ecco perché ho voluto scrivere tutto.
Ecco perché stasera lo scrivo che non è stata una gran giornata per me, perché sono stata travolta da pensieri ed emozioni che mi hanno sballottato il cuore e mi hanno anche strappato un paio di lacrimacce amare. E allora? Pace. Ci sta.
La cosa positiva è che ho imparato a vivermeli con una certa serenità questi momenti, perché hanno motivo di esistere e sarebbe stupido reprimerli buttandomi in una mischia di gente magari, perché poi passano, perché in fondo, me li sono voluti. Sono parti di me che hanno la stessa dignità di esistere dei momenti felici.
Quindi porto fuori il cane e mi fumo una sigaretta, finisco di scrivere questo post un po' melanconico, e mi cerco un filmetto che mi regali un paio d'ore di svago, magari anche una risata delle mie, di cuore.
E buonanotte.

mercoledì 31 agosto 2011

Caffè e un biscotto, Darietto e simpatici colloqui

Era un po' che non lo facevo. Era un tipico risveglio trasteverino quello col caffè e un biscotto integrale davanti al mac a scrivere. Quante mattine, con la faccia ancora insonnolita, proprio come adesso, e una giornata intera che si staglia davanti piena di spazio per metterci cose, persone, idee, paure, problemi e soluzioni. Ho passato una delle estati più significative della mia vita così.
L'unica cosa che davvero mi è mancata da morire, nonostante il turbinio di cose, è stata Darietto, il mio cane. Darietto che adesso è qui, sul tappeto ai miei piedi, mi poggia le zampette sulla gamba, mi chiede un biscotto, che i croccantini a colazione gli fanno un po' schifo. Signori si nasce.
Per quasi due mesi Darietto non è stato con me, è rimasto dai miei, in campagna. L'hanno tenuto loro perché hanno capito che non ero in grado di prendermene cura nel modo in cui lui è abituato, con presenza e attenzioni amorevoli e costanti. Ma in quel momento io di presenza e attenzioni non riuscivo ad averne nemmeno per me, completamente frastornata, in balia del ciclone che ha stravolto il mio mondo.
Adesso però è qui con me, di nuovo, da due settimane circa, e lo adoro. Questo canetto è gioia pura, mette in moto la felicità. Anche adesso che siamo tornati a Ciampino, (postaccio orrendo) che tutto si è concluso, anche l'atto finale ha avuto luogo e bisogna ridare senso alle cose.
Settembre sarà questo. Dopo aver distrutto ogni cosa, demolita pezzo per pezzo, adesso ricostruisco, senza fretta, perché devo pensarci bene stavolta, voglio crearmi un posto dove sentirmi a casa. Non importa quanto tempo ci vorrà, voglio sentirmi a casa.
Ma dove eravamo rimasti?
Mi sono dimessa da direttore, ho lasciato l'ufficio e bye bye baby.
In questi giorni sto sostenendo dei colloqui, il primo ieri. Quando ti metti davanti ad un selezionatore dopo essertene andato da un altro posto la cosa che parla di più di te non è il curriculum, o quello che si dice riguardo la tua bravura, no. Parla il fatto che hai lasciato un progetto, un ruolo di responsabilità. Vogliono sapere perché, e non si accontentano di frasi generiche, scavano, vogliono la verità. E tu devi essere bravo a propinargliene una credibile, senza cedimenti, senza paura, una negoziazione sottile in cui il messaggio che deve arrivare dietro le tue educate parole di spiegazione è: ti conviene credermi, dammi retta.
Alla fine è andata così. Tre quarti di colloquio a studiarci, fra domande e risposte, e domande e altre domande per studiare la risposta e alla fine la risposta, quella definitiva, quella convincente. Quella che apre nuove porte.
Staremo a vedere. Fanno il loro lavoro, non posso biasimarli. Posso solo lasciarli fare perché non sanno che non sono loro lo scoglio più grande, che non sono per me i mostri che vorrebbero che vedessi. Ma loro non possono sapere la relazione fra le cose che ho in testa io, nè che questo passaggio è la coda di un'avventura in cui i veri draghi erano molto più grandi, avevano una bocca gigantesca piena di denti acuminati e sputavano fiamme dalla gola. Loro non sanno che per me rappresentano solo una necessaria, e nemmeno troppo fastidiosa trafila per formalizzare e concludere qualcosa di molto, molto più grande.

martedì 30 agosto 2011

Messaggio ai posteri

http://www.youtube.com/watch?v=sbUFNluggsY&feature=share

 Quando stai studiando un qualunque argomento, o considerando una filosofia, chiedi a te stesso soltanto: "quali sono i fatti? Qual'è la verità che sostengono?" Non lasciarti mai sviare dalla verità che vorresti credere, nè da ciò che produrrebbe vantaggi sociali se venisse creduto.


lunedì 29 agosto 2011

dettagli


Entropia

Certe volte la vita si concede delle piccole crudeltà gratuite. Crudeli proprio perchè gratuite. Le lascio scorrere per un puro principio di entropia. Che altrimenti ci sarebbe da incazzarsi di brutto.
E' che non ho voglia di dilungarmi ma ricordatevelo: entropia.
E' la chiave di tutto. Non serve opporsi, si fa solo una fatica bestia e in più si complicano le cose.
Entropia, sta stronza.
Meno male che a quest'ora ci sono le notifiche di Groupon ad allietare la nottata.




sabato 27 agosto 2011

EROTICO: creatività totale

Sì lo so che sei stanca. Ho capito tutto, non c’è bisogno che mi spieghi ancora, te lo sei detto mille volte. Non ti ci ritrovi in questo modo, non fa per te.
Certo che è squallido, secondo il tuo punto di vista, ovvio. Si tratta della tua sensibilità. E’ vero che è difficile da capire, soprattutto se non lo vivi in prima persona, come no.
Ma non fartene un cruccio per questo, mica è una disgrazia eh...eccheccavolo.
Siete solo diverse.
Lei è così, adesso ha scelto di vivere così.
Se non ti sta bene puoi anche non andarci lì da lei, o no? Dove sta scritto che la devi frequentare se quello che fa ti sembra così assurdo.
Da nessuna parte, appunto.
Hai bisogno di andare lì perchè a casa tua non c’è l’ADSL e devi lavorare? Allora adattati, non ci pensare a quello che avviene su quel letto, pensa a lavorare.
Se sedertici ti fa venire i brividi, allora siediti sul divano.
E’ un divano letto perchè vive in un monolocale? Usa una sedia.
Che poi, dai, mica adesso vorrai convincermi che non ci hai mai pensato anche tu?
Io dico che, almeno una volta, alla fine dei suoi racconti, ti sei chiesta come sarebbe se lo facessi pure tu.
Scommetto che ti sei immaginata in una situazione simile, o forse te ne sei costruita una ad hoc, che  la fantasia non ti manca a te, e ti sei lasciata andare. Ti sei anche bagnata.
Dai non arrossire adesso lo sai che a me puoi dirlo, ti sei bagnata. Vero? O magari sei corsa a casa a toccarti, che sei diventata brava adesso, hai capito come ti piace, conosci i punti, ti muovi bene, proprio bene.
Ricordi? All’inizio ti vergognavi, ti sembrava di fare una cosa sporca, non ti piaceva vederti così, cancellavi tutto alla svelta con fastidio, portandoti via anche la scia di quel piacere rubato.
Non come adesso, adesso è diverso. Sei così bella quando rimani distesa abbandonata sul letto, con gli occhi aperti a fissare il vuoto, il respiro affannoso, leggermente sudata, i capelli appiccicati alla fronte e quel sorriso lì, appena accennato sul viso completamente disteso, ancora immerso nelle tue storie. Rubate. Quelle ancora rubate, sì.
Ti piace appropriarti di storie che nessuno conoscerà mai. E’ questa l’essenza della tua sensualità. E’ per questo tuo mistero inaccessibile che le persone si perdono nel tuo sguardo; uomini e donne indistintamente, alla ricerca di una qualche verità, di una risposta. Una chiave per decifrare i tuoi desideri.
Questa è l’unica strada che conosci.
Lei invece le storie le vive e le racconta. E’ questo che ti infastidisce? Che sia tutto così esplicito? Che non ci sia neanche un dettaglio lasciato all’immaginazione, alla fantasia, che sia tutto sovraesposto, nitido, definito. Ti fa paura questo lo so, perchè a te le linee di contorno hanno sempre fatto paura, tu che fuggi dalle definizioni, che ti rintani nei mezzi toni, nella semioscurità, che cerchi la penombra. Tu che però non rinunci a vedere. Anche se spesso, troppo spesso ormai, guardi con gli occhi della tua fantasia.
Come ieri.
Cosa hai pensato quando l’hai visto e lui ti ha agganciato con il suo sguardo scuro, cosa?
Non ti ha lasciato scampo, non c’è stata una scusa, nessun terreno su cui poggiare il piede nel consueto passo indietro. Ti ha inchiodata con le spalle al muro, e ti è piaciuto.
Avresti potuto appellarti a tutte le tue ragioni e filosofie. Non l’hai fatto.
E non l’hai fatto neanche quando si è avvicinato, così vicino, troppo vicino, a pochi centimetri dalle tue labbra, per parlarti e dirti che non ti aveva mai vista a nessuna della sue mostre, che ormai bene o male le facce sono sempre quelle, artisti, critici, curatori, galleristi, amici. Ma questa amica di amici non l’aveva mai vista, se ne sarebbe ricordato.
Com’è stato sentire il cuore che ti schizzava in gola? Hai avuto paura che se ne accorgesse, che scoprisse il tuo rossore in quelle luci soffuse, che vedesse la tua pelle alzarsi e abbassarsi pulsata dal tuo cuore impazzito. Senza che avessi il tempo di costruirti una corazza di disinvoltura, di puntargli gli occhi in faccia, che tu non hai paura.
No. Hai solo potuto avvertire il calore del suo fiato vicino alla tua faccia e ti è piaciuto, tanto. Lo sguardo è andato giù, si è abbassato docilmente come quello di un animale che ammette la resa e mostra la gola, pronto a farsela azzannare. Hai posato i tuoi occhi sul suo di collo, così forte con la pelle olivastra, scura. Avevi sentito che era appena tornato da Santiago, lui, pittore cileno dal nome romantico e intenso, proprio come la sua bocca, con quelle labbra carnose, così sensuali.
Intorno, la sala gremita di persone, avvolti in un chiacchiericcio che solo in quel momento hai percepito come elemento di disturbo. Era stato come una nuvola colorata quando sei arrivata, ti aveva avvolto allegro come uno sciame di farfalle e ti eri fatta trasportare, di quadro in quadro, salutando qualcuno di tanto in tanto, scambiando cenni di intesa con lei che chiacchierava con quel tipo, sbirciando il tavolo del buffet per vedere se le cavallette avevano lasciato qualcosa. E così gli sei praticamente finita tra le braccia. Se avessi inciampato finendo su uno dei suoi quadri ti saresti sentita meno in fallo.
Ma adesso è tardi per pensarci. Adesso che le sue mani si sono infilate sotto la tua camicetta e ti stanno sfiorando il seno, lo stanno stringendo. Adesso che scendono sui fianchi prendendoti in una morsa, contro di lui, dove una prominenza dura ti avverte che ti sei appena trasformata nella sua preda.
Le sue labbra, quelle labbra così belle sono calde, umide, la saliva ha un buon sapore e tu le mordi, le lecchi e le succhi proprio come un animale affamato.
E’ così, sei affamata di quello da cui fuggi ogni giorno.
Lo prendi e lo stringi forte a te, immagini di sentirlo dentro, pregusti il movimento appassionato di quel cileno caliente e già ti manca il respiro all’idea ed è allora che accade quello che non ti aspettavi. Lui si inginocchia, sì, si inginocchia proprio davanti a te, come uno schiavo implorante. Ti solleva la gonna, dolcemente, accarezzandoti le gambe con le sue mani venose di pittore. Senti la sua bocca sulle tue gambe, baci caldi, la lingua che esplora sempre più su e le dita che la accompagnano fino a sfilare gli slip, una gamba, poi l’altra.
Ed è allora che tutto si è confuso, si è perso cullato dal movimento della sua lingua dentro, e fuori, e dentro. Dalle dita che l’accompagnavano, la guidavano, le facevano spazio.
Adesso esplode, hai pensato, adesso mi esplode il cuore in testa. Un’eruzione di piacere trattenuta a stento dalla sua mano sulla tua bocca, i vostri occhi affrontati come i leoni di San Marco che vedi incisi sulla colonna della galleria, in alto. Le sue labbra ancora bagnate di te.
Le gambe e le braccia vuote, la testa vuota, il cuore impazzito, in quel luogo estraneo.
Lo vedi allontanarsi e tutto vacilla intorno a te.
Torni fra la gente, lo sciame di farfalle ha lasciato il posto ad un nugolo composto di persone che sembrano sapere, raggiungi lei che appena ti vede ti travolge di parole, perchè stasera dovrai tornare da sola che lei ha preso un impegno, e sorride ammiccante, sì, proprio lui, quel tipo lì, carino eh? Poi ti racconto tutto.
Poi ti racconterà tutto. E tu continuerai a non capire, a chiederti che senso abbia quel feroce concedersi. Che ognuno deve riprendere il proprio ruolo.
Ti giri e lui è proprio di fronte a te, ti porge un bicchiere di vino, rosso naturalmente.
Come ti chiami? Non ti ho mai vista da queste parti, sei amica di qualcuno?
Ha delle belle labbra, una bella pelle olivastra, deve essere sudamericano, si sente anche dall’accento spagnoleggiante. Sei tu l’artista? E’ tua la mostra vero? Sì, sono i miei quadri questi, benvenuta. Se ti va te li mostro, così ti spiego un po’ di che si tratta.
Il piacere in una storia rubata, sei ancora bagnata, lo guardi, occhi neri e intensi e un’intimità già profanata dalla tua fantasia, la tua storia rubata, ma questa volta, vedrai che finirai col restituirgliela.

       

mercoledì 24 agosto 2011

Il rumore della felicità

 
Un fiocco di neve che volteggia nell'aria, compie le sue piroette con grazia  e precisione, oscilla dolcemente, nell'esitazione di un istante fermato per sempre, e poi si appoggia lieve sull'asfalto. Silenzioso, quasi inosservato. Perfetto.
Io non credevo che questa felicità fosse così.
Avevo immaginato che sarei corsa gridando dritta dritta in mare tutta vestita.
Pensavo che mi sarei ubriacata, avrei riso, detto a tutti quanto ero felice per avercela fatta, per aver sconfitto i mostri, fino all'ultimo, per aver compiuto questa impresa.
E invece no.
C'è un luogo di calma assoluta dentro di me, al centro del caos di 37 anni di vita. Un luogo di immobilità e silenzio dove il cuore pulsa calmo, senza sussulti, dove tutti i rumori sono ovattati, da dove le voci dall'esterno arrivano lontane, i visi esasperati delle persone intorno a me non mi  riguardano.
Li guardo, li ascolto: è una serata di fine agosto e siamo tutti al mare. Sono simpatici gli amici di Maria, vecchi compagni di scuola che hanno accolto anche me come una di loro. Sono davvero simpatici, di quella simpatia genuina che ti strappa vere risate di cuore.
Nessuno sa cosa ho fatto oggi. Una ragazza ha provato a chiedermi cosa faccio nella vita, sono già un paio di volte che me lo chiede ma io eludo la domanda, adesso mi sembra impossibile rispondere. Sì perché dovrei dirle che io nella vita inseguo la felicità, vado a caccia di stelle e affronto i draghi per catturare quelle più splendenti. Stasera le risponderei così e capisco che non sia il caso.
Resto seduta sulla panca di legno del tavolo sulla spiaggia. Di fronte a me ridono, ad alta voce, si raccontano cose, riportano fatti e parole, i toni mi sembrano leggermente sopra le righe a volte. Forse è il vino, forse il caldo, forse solo le maglie delle catene che stringono e ti portano ad agitarti per respirare. Forse questo è solo un momento in cui cercano di non pensare al risveglio di domani, in cui cercano di lasciare da parte i problemi di lavoro o di relazione che comunque invadono i loro discorsi, senza volerlo.
Li guardo, mi bevo il mio di vino, così fresco, e sono felice di essere presente a me stessa, felice dello spazio che occupo, del silenzio discreto con cui esplodo di gioia. Io che li guardo e mi riconosco nei loro discorsi, nelle loro facce, che ricordo quante volte ho avuto bisogno di essere al centro di qualcosa per non dovermi specchiare nella mia insoddisfazione. Io stasera me ne sto all'angolo, perché ho scoperto questa cosa meravigliosa che quando sei davvero felice non lo gridi, non lo sbandieri, non serve e forse non è nemmeno utile che è una cosa solo tua, da gustarti lentamente insieme a questo vino. Ti accorgi che al mondo esiste un posto giusto, perfetto, tagliato su misura in cui puoi stare comoda e raccolta senza urtare nessuno, dove nessuno urta te. Dove puoi accavallare le gambe, portarti il bicchiere alle labbra, fare una battuta che provoca uno scoppio di risa nella gente, sorseggiare il tuo vino e goderti lo spettacolo davanti a te. E nessuno verrà a dirti che lo spettacolo è finito, o che c'è un biglietto da pagare, no.
E' una serata bellissima, sono serena.
Qualcuno fa volare una specie di piccola mongolfiera di carta di riso che non so chi ha regalato a chi e perché. Mi siedo sulla sabbia con Darietto vicino e la guardiamo gonfiarsi e sollevarsi in aria. Qualcuno grida: "Esprimete un desiderio presto!" La vedo sollevarsi, prendere il volo e diventare sempre più piccola, fino a diventare un puntino luminoso che sembra una stella, poi scompare.
Io il mio pensiero l'ho sussurrato piano. Le stelle lo conoscono già, è un commosso grazie, dal profondo del mio cuore.

lunedì 22 agosto 2011

Il punto della situazione


I giorni sono passati, di cose ne sono accadute tante e di parole ne scorrono a fiumi.
Forse non guasta un piccolo punto della situazione.
Punto della situazione è una di quelle terminologie che odio (insieme ad arsura, valore aggiunto e bomboniera riferito ad un'abitazione) perché mi ricordano inutili e lunghe riunioni in ufficio a parlare di niente, ma necessarie a giustificare persone e tempo impiegati in azienda.
Cercherò quindi di rendere questo punto della situazione qualcosa di utile.
Mi soffermerei innanzitutto sul perché esiste questo, che vorrei ricordare, non è un blog, ma un contenitore di idee che solo apparentemente possono non avere senso, in realtà ce l'hanno, eccome.
Alcuni post fanno parte di quello che sarà un libro, sono stralci lanciati nel web per condividere un viaggio e sentire se regala a tutti lo stesso sapore.
Servono anche per farvi conoscere qualcosa di più di Federica e del suo viaggio.
Il viaggio del cambiamento più difficile ed eccitante della vita. Quello che per anni hai solo potuto immaginare nei tuoi sogni più azzardati, quelli che ti lasciano un languore proprio alla bocca dello stomaco, perché sai che non potranno mai entrare nella sfera del realizzabile.
Un cambiamento che se da una parte penso che vorrebbe la maggior parte delle persone, dall'altra non credevo che fossero così in tanti ad aver messo in atto.
Sto parlando di un semplicissimo cambio di lavoro. Anzi no, mi correggo. Parlo di un cambio di modo di lavorare, di concepire il lavoro, il suo rapporto con il tempo e la vita.
Un processo lancinante quando vivi imprigionato in quella gabbia dorata che è un contratto full time a tempo indeterminato, che solo oggi mi rendo conto essere pari ad un ergastolo; fine pena: mai.
Lo insegui per una vita, pensa te.
La società, i media, i politici (quelli che si spacciano come tali) i genitori, tutti ti convincono che se non ce l'hai sei un emarginato, una zavorra sociale.
E così tu sei lì che implori aziende di incarcerarti e buttare via la chiave, che per pane e acqua tu sei pronto a starci tutta la vita a fare qualunque cosa, non importa se hai studiato anni per realizzare una passione, fa niente, facciamo tutto, siamo pronti.
O almeno così crediamo.
A me è successo questo, ma fortunatamente poi è successo anche altro.
Spesso ci vuole un evento esterno  e aleatorio per rimettere tutto in gioco.
Ci vuole l'evento e tu che lo acchiappi al volo e ne cavalchi l'onda, che prima o poi tanto devi buttarti se vuoi metterti in salvo.
Il  mio è stata la rapina del 16 giugno.
Sono riuscita a ricavarmi il tempo di cui avevo bisogno per fare chiarezza nella mia vita e gettare le basi del mio futuro. Per condividere un progetto con le persone che vorrei ne facessero parte e aprirmi una strada verso il mio orizzonte di sempre.
A breve l'ultimo passo: la mia misura di downshifting, la richiesta di un part-time verticale per poter compiere un altro passo in sicurezza, salvaguardando il valore del mio tempo che non voglio più prostituire e mantenendo insieme la mia indipendenza.
L'ultimo passo non sarà semplice. Devono realizzarsi due cambiamenti: uno nella posizione lavorativa (se non faccio più il Direttore cosa mi metteranno a fare?) e uno nella forma del contratto di lavoro (da full a part time, con modalità e durata da concordare). Il tutto avverrà con estrema probabilità in un clima di forte ostilità nei miei confronti, perché è chiaro che il tuo padrone non vede di buon grado che tu, gallina dalle uova d'oro, smetta di covare.
Una volta che il passo lo fai e poi ti guardi indietro, è proprio come dicono, ti sembra tutto lontano, quasi non riesci a credere di averci messo tanto, di aver fatto tanta fatica a decidere, di aver provato tutti quei sensi di colpa, tutta quella paura, quell'ansia, di non aver dormito la notte…eppure è stato proprio così, e sono contenta di averlo scritto perché altrimenti l'avrei dimenticato e invece va ricordato, perché sia patrimonio di tutti, di chiunque voglia darsi l'opportunità di credere che essere felici sia possibile.
Domani il grande passo, domani mattina. Sono nervosa, stanca, ma per fortuna ho un pacchetto pieno di sigarette e la mia voluta solitudine di questa sera.
Fine del punto della situazione.
Prossimi passi: avanti tutta.
Umore: buono.
Vento: per ora in poppa, prepararsi alla bolina, ma siamo armati fino ai denti.
Saluti a tutti