martedì 27 settembre 2011

Il mio, personalissimo, downshifting

Quest'estate, in pieno trip da ricerca di risposte esistenziali, mi è capitato tra le mani anche un libro sul downshifting, e da bulimica del libro quale sono, l'ho ingurgitato.
Cos'è il downshifting. E' un approccio alla vita che si fonda sul principio che consumiamo molto più di quello che ci serve e questo ci rende schiavi. Schiavi del nostro lavoro in primis, dal momento che iniziamo a dipenderne non per sopravvivere ma per mantenere quel falso tenore di vita volto a compensare le insoddisfazioni derivanti da un lavoro che non soddisfa, che ruba tempo per la famiglia, le passioni etc.
In base a questo principio è teorizzabile un approccio alternativo che consiste nel rivedere a tavolino i propri consumi e bisogni, quantificarli e in base a questi rivedere anche la propria posizione lavorativa, dal part time al licenziamento.
Il tizio in questione aveva abbandonato del tutto una carriera in azienda e si era messo a scrivere, a partecipare a convegni e a promulgare la filosofia del downshifiting in tutto il mondo. Si era trasferito dalla sua casa di città in una casetta di legno del bosco, dove poteva avere un controllo dei consumi quali riscaldamento, illuminazione etc, completamente autonomi e in parte realizzati grazie ad energie naturali. Si era comprato una barca che noleggiava con lui come skipper, di tanto in tanto arrotondava con qualche lavoretto extra di tipo manuale: riparava cose.
Comprava vestiti ai mercatini, frutta e verdura al mercato dopo un attenta selezione del prezzo, l'insalata rigorosamente a mazzi perché quella in busta è un furto, e conosceva a memoria gli scaffali estremi dei supermercati: quello a terra e quello in alto. Lì, dice, si trovano le stesse cose degli scaffali centrali ad un terzo del prezzo. E potrei andare avanti citando innumerevoli esempi tratti da questo manuale di sopravvivenza del giovane downshifter, ma per quello che voglio dire, basta così.
Tutto giusto, è vero che l'insalata in busta costa quattro volte l'altra, è vero che negli scaffali ad altezza occhi ci sono cose più care e non necessariamente più di qualità, sono vere un sacco di cose, solo che messe tutte insieme così, perseguite con fare salesiano per ritagliare un euro qua e uno là, a me fa tanta tristezza, così tanta che quasi quasi preferisco lavorare come una schiava e poi uscire dall'ufficio e comprarmi un paio di scarpe da 300 euro.
Non posso però negare che nel dowunshifitng c'era qualcosa che mi intrigava, che mi attraeva magneticamente. Ebbene, quel qualcosa è un semplice cambio di punto di vista. Un'inversione dei ruoli: non sei tu, lavoro, che decidi chi sono e come vivo, in base a quanto posso spendere, sono io che decido come voglio vivere, quindi quanto vorrò spendere e quindi quanto ti darò.
Questo è quello che mi ha portato ad elaborare la mia versione di dowunshifitng emotivo.
Da lunedì riprendo a lavorare. Torno in Direzione Generale, nello specifico in una società del gruppo, su una posizione commerciale; quello che piaceva a me in breve.
Cosa è cambiato?
Ricordiamoci che a monte di tutto questo c'era una che si nutriva di pane e carriera e forse sarà più facile capire. Un direttore giovane, donna e che sparava numeri su numeri centrando obiettivi commerciali come fosse il tiro a segno di un luna park. Una che ci pensava la sera a casa a come vendere, a chi vendere, a cosa proporre e come. Una che si portava al mare in spiaggia le comunicazioni interne che non aveva tempo di leggere in ufficio perché era sommersa da appuntamenti con i clienti. Una che lavorava sei giorni a settimana e la domenica pomeriggio già rimetteva in moto il cervello per il lunedì. Sempre la stessa, che si toglieva ogni genere si sfizio, dal massaggio all'acquisto più inutile, per colmare qualcosa dentro.
E mi fermo qui perché sento un rigurgito alla bocca dello stomaco.
Lunedì torno al lavoro, dicevo.
Ho scelto un posto dove non gestisco persone, dove non sono responsabile di strutture. Dove non gestirò più il denaro di nessuno. Continuerò a fare quello che mi piace e che so fare: vendere, supportare le strutture del territorio, pensare strategie commerciali, inventarmi idee accattivanti e, speriamo, vincenti.
Ho scelto un settore che non riguarda più investimenti o gestione del risparmio in genere, ma oggettistica. L'ho scelto perché è un mondo colorato e mi sembra un'ottima motivazione. Sì perché voglio che le mie giornate siano colorate, divertenti, etiche. E ho scelto un posto in cui ricomincio a lavorare cinque giorni a settimana, quattro e mezzo per la precisione con orari assolutamente flessibili. Quando mi hanno detto se avevo qualche domanda da fare ho chiesto se potevo arrivare con comodo la mattina. Ho scelto un posto in cui quando me ne vado mi chiudo tutto alle spalle e non mi porto niente nella mia vita privata, la protagonista assoluta.
Lo stipendio rimane invariato, meno ovviamente la parte variabile legata al raggiungimento degli obiettivi commerciali, ma, potete credermi, gliel'ho lasciata senza il minimo rimpianto. Ci ho guadagnato io su tutta la linea. In cambio mi sono presa un sorriso che non mi abbandona da settimane.
Eccolo il mio downshifting emotivo. Continuo a vivere in città, continuo ad usare la macchina, lo scooter, a fare la spesa dove capita. Ho eliminato quel vuoto dentro, quello che ti rende necessario compensare, perché non ho niente più da compensare.
Ho tutto quello di cui ho bisogno, non mi serve davvero nient'altro.
Non mi servono più soldi, non mi servono più riconoscimenti. Quello che cercavo in quelle cose non era lì, è nelle persone che mi sono accanto adesso, è nella vita che sto conducendo da due mesi, è nel tempo rotondo e pieno che mi avvolge senza più sfuggirmi.
Questo il passo di oggi, domani vedremo.

domenica 25 settembre 2011

STOOOOOOPPPPPP!!!!!!!!!!!!!!!!!!

E' evidente che sia così. Per quanto ci giri intorno non posso far finta che ormai questo blog che non è un blog sia in realtà diventato un blog e quindi, mi annoi.
Non che abbia nulla contro i blog, tant'è che ne ho aperto uno, seppur con velleità alternative, ma il punto è proprio questo: mi sono sbragata. Mi è sfuggito di mano il fine ultimo e l'ho ridotto ad un vomitatoio. Uno di quei contenitori di tutto in cui riversi le tue eruzioni interne, su cui ti sfoghi, ti incazzi, su cui contempli le meraviglie inaspettate della vita, due palle. Infatti ha iniziato ad annoiarmi.
Riavvolgiamo il nastro.
REWIND.
Era iniziato tutto da una rapina, dallo scambio tra la mia vita e 80.000 euro e dall'impegno a renderla degna dei giorni da vivere concessi da qualcosa che chiameremo caso.
Sono stati due mesi di rivoluzione interna che non si sapeva bene dove mi avrebbero portato ma che avevano ben chiaro il punto di partenza su cui non avrebbero mai ripiegato: la vita per la carriera. Addio, tutto finito tra noi.
E adesso?
In effetti per un po' non ho potuto parlare di questo perché oggettivamente non avevo informazioni e questo mi metteva in una situazione di sospeso nella quale non mi sento mai a mio agio, motivo per cui ho evitato l'argomento.
Adesso quelle informazioni ci sono.
La rivoluzione si è quindi conclusa. Devo solo valutare cosa e in che misura scrivere qui. E cosa invece riservare per il libro che sto scrivendo. Sì, il libro, ricordate? Era anche per questo che esiste questo non-blog.
Quindi, per ora dico solo che se la definizione di rivoluzione è: evento che sovverte totalmente l'ordine precostituito, dopo il quale niente è più come prima, beh, se accettiamo questa definizione allora sì, questa rivoluzione c'è stata, si è conclusa e una nuova era si è aperta.
Adesso ci penso un po', perché se da un lato continuerò a scrivere di cose e persone che mi circondano (mica vorrò togliermi ogni divertimento eh) dall'altra devo e voglio riprendere il filo di un discorso importante, troppo importante per non essere portato a conclusione in maniera coerente e sincera.
E' la vita di ognuno di noi, e se non si sta attenti il rischio è di vederla naufragare come questo blog, dolcemente magari, o presi da questioni importanti, ma decisamente fuori fuoco.
Mi rifocalizzo, avremo di che parlare, la rivoluzione continua nell'organizzazione di una vita con nuove prospettive e valori diversi a guidare, la pancia come bussola, il cuore come motore. La testa? capitano in seconda.
Avanti tutta quindi e brunetta fottiti!

giovedì 22 settembre 2011

C'è tempo...e tempo

Il tempo ritorna ad essere una delle questioni che mi interessano di più. Questo perché in quest'estate è stata la variabile più significativa di ogni passo compiuto.
Da quando di tempo non ne hai per te, e l'idea di averne diventa il sogno proibito a cui non ti concedi nemmeno di pensare. A quando accade qualcosa che improvvisamente ti regala qualche giorno, a quando decidi, con una consapevolezza relativa al tuo diritto a stare bene per un po', di prendertene altro. A quando intravedi in quel nuovo scorrere delle ore nuove possibilità, un nuovo approccio alla tua vita dove le cose importanti possono essere riviste, ridimensionate, ricollocate. Il tempo per te. Il tuo tempo. E allora compi quell'ulteriore passo del quale, per la prima volta, hai calcolato e accettato le conseguenze. Un tempo per distruggere. In tutte queste fasi l'adrenalina è stata il carburante quotidiano: adrenalina messa in moto dall'entusiasmo, dalla preoccupazione, dalla felicità, dalla paura e dall'ansia, dal coraggio e dalla sfida vinta.
Finchè vivi questo ti sembra impossibile che possa non essere più così. Anche se lo sai che il carburante poi finirà, e che dovrai camminare a piedi dopo, con le tue gambe.
Ecco, ci siamo.
Un tempo nuovo questo dell'attesa. Caratterizzato dalla pazienza e dal distacco emotivo. Emozioni di cui non parlo, di cui non scrivo, idee che tengo per me finchè si muovono così veloci, di cui mi interessa solo evidenziare e sottolineare l'ennesimo collegamento con il tempo. Questo è un tempo che prova, ma che rafforza, che mi mette a confronto con me stessa e con le cose che ho fatto rientrare poco a poco nella mia vita. Affetti, divertimenti, impegni, prospettive lavorative. Ma con ordine e possibilmente senza miscugli, che ho bisogno di gestirle separatamente, per quanto possibile, ho bisogno di evitare caos.
Rientrano inevitabilmente anche emozioni negative come la delusione, tanto più grande e dolorosa quanto più inaspettata, ma ogni cosa sembra avere una maniglia, un punto da cui può essere afferrata senza scivolarmi dalle mani.
Questo tempo è più lungo, è pieno di vuoti e di pause, in cui le emozioni hanno più spazio per muoversi e farsi sentire, accidenti a volte vorresti che tacessero ma è giusto così.
Volevo solo dire che mi prendo anche questo, che anche questa è una fase ed è importante, va ricordata insieme alle altre che fanno parte dello stesso viaggio.
Vale la pena vivere ogni cosa, ecco forse questo è il senso di quello che ho in testa oggi, ogni cosa ha motivo di essere, anche se adesso magari mi sfugge.

martedì 20 settembre 2011

Meglio un uovo?

In media stat virtus. Ribadisco che secernere citazioni in latino garantisce quasi sempre un posto di rilievo al tavolo di una discussione, e questo soprattutto ad uso e consumo del mio prossimo capo. La lista dei miei capi si allunga, spero che il soggetto in questione si renda conto che potrebbe diventare un altro capo contento e la finisca co sta manfrina che ormai mi sta solo snervando. Ho bisogno di un capo, ormai non regge più. So di non essere più convincente, per fortuna.
Ma non posso negare che in questi giorni la mia energia abbia subito una fase discendente rispetto allo scorso mese, quando ero pronta a scalare la vetta più alta. E' normale assestamento, mi sono detta. Preoccuparsi significherebbe rientrare in un loop di ansie inutili e dannose. E così non mi sono preoccupata più di tanto, un po' dispiaciuta magari, che sentirsi a mille crea dipendenza.
Qualcosa però mi diceva che dovevo solo aspettare, che ancora una volta ci sarebbe stato un click, uno dei miei per capirci. Quelli che, ormai lo so, la vita ti presenta esattamente, precisamente, esclusivamente, a quel cavolo di momento giusto prima o dopo il quale niente avrebbe lo stesso senso.
E così è.
Piccole cose, come sempre, niente di plateale. Solo la consapevolezza di essere su un cammino di piccoli passi quotidiani, studiati e consapevoli, che non creano scalpore, non alzano polvere, non attirano troppa attenzione ma piano piano ti portano molto lontano.
E' stato il cuore a condurre il gioco in questi giorni, poca testa, cuore difficile da ascoltare quando, come mi sono sentita dire almeno dieci volte in una settimana, si sente il rumore dei miei pensieri.
E così sono rimasta sorpresa, per qualcosa di inaspettato, di bello, che non ho trovato dove credevo che fosse.
E poi ho trovato conferma del fatto che a fare la guerra non vince nessuno, che dietro ogni fucile puntato c'è un essere umano e vale sempre la pena cercare un dialogo, che basta ascoltare a volte.
Ho capito cosa voglio davvero portare nel mio lavoro, ed entro un anno sarò pronta.
Infine, stamattina una telefonata adrenalinica mi ha tirato giù dal letto contagiandomi con il suo entusiasmo, lui che si è anche scusato per averlo fatto, e non sa quanto invece mi abbia fatto bene. Grazie Simone.
Tutto questo su uno sfondo di grane e problemi di ordine pratico che, come sempre, si sovrappongono rendendo tutto complicato. Solo che sono rimasti sullo sfondo, affrontati e in via di soluzione, uno alla volta, che c'è una soluzione per tutto.
Ricordarsi sempre cosa è davvero importante, cosa vuoi da te stesso e cosa sei disposto a dare, questo dà senso ad una giornata, anche alla più normale.
Ci sono momenti, come ieri sera, in cui ti diverti, ti diverti così tanto che ti sembra di essere tornato bambino, e non ti capaciti di come possa essere così dopo una giornata difficile a risolvere problemi. Giornate che si chiudono poi con un'ulteriore, inaspettata gioia, perché, che ci crediate o no, le frittate si possono ricomporre.
Meglio un uovo, decisamente.

venerdì 16 settembre 2011

pensieri bianchi

Da dove vogliamo cominciare?
L'estate finisce, il caldo continua, dentro è tutto pulito. Finalmente. E' un po' come quando traslochi da una casa in cui hai vissuto a lungo, dove hai comprato mobili, tappeti, piatti, vestiti, quadri libri tutto. Tutto accumulato negli anni fino ad attutire il rumore della tua presenza là dentro. Cade una forchetta sul tappeto: tump. Finito.
Ti muovi scalzo per casa e il tuo passo non fa rumore, ti senti rimbalzare tra i cuscini del divano, il letto, persino le pareti di casa sono calde quando ci vivi.
E non puoi accorgertene, come fai…è impercettibile. E' inesorabile. A forza di mettere cose, per quanto confortevoli, graziose, utili anche, lo spazio si riduce. Ti ritrovi a muoverti scivolando come un gatto fra le cose. Sei improvvisamente tu che ti muovi tra le cose, cercando di non inciampare, di non urtare di non, ops scusa! Ecco, cercando di non: proprio questo.
Ospite nella tua casa.
Come ti ci senti? Ti piace? Hai ancora voglia di tornarci la sera? Dormi ancora bene nel tuo letto?
Respiri? E se ti accorgi che non ce la fai, che i polmoni non si espandono, che la casa, la tua casa, ti inghiotte, che fai?
Traslochi, semplice.
Eh no, semplice per un cazzo. Io prima distruggo tutto se non ti dispiace, e poi me ne vado.
Distruggo tutto perché è roba mia, perché credevo servisse ad un fine e ora mi accorgo che non avevo capito, che mi ero sbagliata, che non serviva a quello, serviva oggi a farmi capire che significa distruggere tutto quello che hai.
Scusami, dovevo farlo, solo così potevo amarti un'ultima volta. Però sei bella sai, così, distrutta, a pezzi. Devo dire che non mi sei mai piaciuta tanto.
Sto per andarmene, e ti guardo ancora, ancora un'ultima volta, dopo aver raccolto ed eliminato le macerie e tu sei di nuovo luminosa, con le pareti bianche, vuote.
Tu sei tutta vuota e pulita, e così mi fai venire voglia di restare ancora un po', a sentire il suono della mia voce che finalmente rimbomba, a sentire il rumore dei miei passi sul pavimento, a riempirmi gli occhi di luce e i polmoni d'aria fresca che entra dalle finestre, spalancate, senza tende. A sentire Federica che torna ad abitare qui.
Ma sì, forse non è necessario andare lontano per stare bene, una volta che sei a posto dentro, non servono altri chilometri da macinare.
Adesso però me ne sto ancora un po' così, nel niente.
Tra non molto dovrò pensare a cosa portare dentro, con me. Poche cose, essenziali e preziose. Devo pensarci bene, perché non voglio più distruggere quello che mi circonda. Lo considero un privilegio, un privilegio di lusso che ho pagato in contanti e senza sconto.
Ci penso, sì ci penso bene, lo faccio con la pancia e non più solo con la testa.
Non ho fretta, davvero non ce l'ho.
Sono successe tante cose in questi mesi e il bianco è la cosa più bella che mi sento nella testa adesso.

venerdì 9 settembre 2011

un giorno lungo

Quanti ne hai vissuti di momenti così. Giorni come questo, lunghi a passare, dolorosi, lancinanti. E ormai lo sai che non puoi farci niente, se non lasciarli passare, che qualcosa dentro si sta muovendo, vuole parlarti. Sensazioni che vorresti scacciare, che cerchi di trasformare con le parole di conforto di chi ti vuole bene. Parole inutili, perché tu lo sai come stanno le cose, e hai imparato a fidarti di quello che senti, che alla fine non ti ha mai tradito.
E allora che vuoi fare? Lo sai no che tanto vai avanti lo stesso, ormai l'hai imparato sulla tua pelle. Anche quando sembrava impossibile, alla fine ce l'hai fatta. Ce la si fa sempre. Sempre. E' la strada che pesa, soprattutto dopo tutto questo tempo, in cui di strada ne hai fatta tanta, e non è stato un cammino facile, affatto. Hai dovuto mettere in gioco tutte le tue risorse, non ti sei risparmiata perché hai voluto imprimere un cambiamento forte, che davvero non ne potevi più di tutto quello che ti stava avvelenando la vita. E adesso sei stanca, lo so. Per una volta vorresti che arrivasse l'inaspettato, quella sorpresa bella della vita che ti alleggerisce le spalle, te le circonda con un braccio come fa un vecchio amico e ti dice andiamo dai, facciamoci due passi insieme che mi va di stare un po' con te.
Sono cambiate tante cose, e sono stati cambiamenti positivi. Ma c'è ancora qualcosa, una cosa, che sa di stantio, che ti riporta là dove non vuoi più tornare.
E tu lo sai che la devi affrontare, quest'ultima cosa. Che per quanto possa migliorare non cambierà mai, avrà sempre i contorni di una misura che ti va stretta ormai.
Che vuoi fare? Quanto vuoi aspettare ancora?
Ti dici che per ogni cosa c'è il momento giusto e intanto sei ancora tu a pagare, con la sofferenza, con le mille sfumature che assume.
Questa stanchezza forse è il messaggio più autentico che ti dai.
E' il segno di una bomba che ti sta esplodendo dentro, macerie su macerie.
Altro che casette di cristallo, c'è Hiroshima il giorno dopo dentro di te e nessuno può vederlo. Solo tu, che ogni giorno ricostruisci un pezzo, con la fiducia e l'ottimismo di un sopravvissuto. Un miracolato che vede nei resti di una vita distrutta quello che nessuno può vedere: la speranza.
Oggi è un giorno difficile, non lo puoi spiegare, non ne vale la pena.
Un giorno lungo, una pressa sullo stomaco a digiuno.
Ma sta finendo, perché tutto finisce. Ecco ricordatelo, tutto finisce. Anche quello che vorresti non finisse mai, o che credevi non sarebbe mai finito, finisce. Tutto muore se non viene alimentato come necessita, e tu non puoi fare tutto da sola.
Questo non è detto che debba essere un male, come avrebbe detto Vezio.
Finisce qualcosa, si trasforma in un'altra. Diversa magari, ma con una sua bellezza, a cui bisogna solo abituarsi, a cui si può voler bene.
Lascia andare quindi, lascia la presa, non hai comunque più niente in mano.

giovedì 8 settembre 2011

Capelli bianchi

Ci sono cose difficili da scrivere. Cose troppo grandi per essere provate da un cuore solo, un cuore di figlia.
Ieri li guardavo: uno così piccolo, l'altro con i capelli tutti bianchi ormai.
Una volta non era così. Erano neri quei capelli, neri come il suo carattere così autoritario e repressivo. No. No è la parola che ho sentito più spesso uscire dalla sua bocca. Lo consideravo un tiranno. E sono stata sul punto di odiarlo quell'anno in cui ha deciso di fare il padre, a modo suo.
Credevo di non uscirne più. Immaginavo ogni genere di fuga e in ognuna lui mi riprendeva, sempre.
Quel giorno la porta invece me l'ha aperta lui. E non mi ha mai più inseguito. Io però ho sempre avuto voglia di tornare, perché non si fugge da chi ti spiega, e poi ti regala, la libertà. Non puoi non voler tornare da chi ti inietta che la sola impalcatura capace di reggere il peso di una libertà così grande, che non faccia male al prossimo, è la fiducia. E la fiducia devi meritartela. Solo così non la perderai.
Ieri li guardavo, tutti e due. Il mio passato e il mio futuro, uniti dal mio sangue.
E ho sentito di nuovo quella paura, che da un po' ogni tanto mi punge proprio al centro del cuore, come una spina.
Lui mi ha permesso di andare quel giorno, non mi ha trattenuta, è rimasto sulla porta con la voce strozzata mordendosi la lingua probabilmente. Ha voluto che seguissi la mia strada.
Io non sarò così brava. Io ho paura di quei capelli bianchi, vorrei che fossero ancora tutti neri, neri come il suo carattere, sì, impositivo, tirannico, repressivo, va bene. Ma neri, come gli anni giovani di quei capelli neri.
Questa vita è troppo corta e veloce per tutte le cose che potremmo dirci, e non ci diciamo, le affidiamo ad uno sguardo, ad un mezzo gesto. Rimangono sospese nell'aria e puoi solo respirarle.
Circonvoluzioni della vita.
Ognuno di noi in fondo lo sa, sono sicura che lo sa, qual'è quella cosa che non sarà mai in grado di affrontare.

sabato 3 settembre 2011

via, lontano da me

La stanza completamente al buio. Io sdraiata sul letto, immobile, quasi senza respirare per non far sentire la mia presenza. I suoi passi su e giù per la camera, come una tigre in gabbia, al buio. Sento il suo respiro vicino, mi irrigidisco. Forse sa che sono qui, forse no. Rimango immobile sperando che se ne vada ma quei passi sono troppo nervosi, veloci, vicini, e so che presto farà qualcosa.
E quel momento arriva, si ferma e in un attimo è proprio sul mio collo, lo bacia, con una precisione chirurgica che mi fa capire che ha sempre saputo che ero lì.
Apro gli occhi afferro il cuscino e lo lancio via da me come se fosse lui.
Non saprò mai chi c'era in quest'incubo, so solo che non mi è piaciuto, e che la sensazione di schifo mi è rimasta addosso tutta la notte.
Traduco: vicinanza non richiesta, confidenza non concessa, tentativi per appropriarsene come fosse un diritto.
Questa cosa la conosco. sì. L'ho già combattuta.
Provo a scaraventare tutto qui, sul foglio bianco, sperando che così esca da me e mi lasci in pace.

giovedì 1 settembre 2011

Devo solo trovare il film giusto

All'inizio di tutto, quando ho deciso di scrivere ogni passo di questo cammino, mi aveva mosso la considerazione che, di solito, qualcuno fa una grande cosa, e poi ne scrive. Il principio che la storia viene scritta dai vincitori. Descrizioni dorate di percorsi di successo in cui qualcuno procede a grandi falcate verso un obiettivo, senza mai inciampare, senza mai un piede in fallo, o anche solo senza sentirsi un po' stanco, bisognoso di un momento per fermarsi a riprendere fiato.
E così chi legge queste storie "a posteriori" si sente irrimediabilmente distante, escluso " a priori" dalla possibilità di compiere qualcosa di simile.
Adesso direi anche che uno finisce per sentirsi un po' sfigato ma poi Maria mi cazzia e stasera non è aria. Quindi non lo dico.
Dico però che la verità sta nel mezzo. La verità sta tra il successo di una storia e il fatto che sia poi effettivamente alla portata di tutti.
Il successo può arrivare, magari arriva, ma prima arrivano altre cose: ci sono consigli non richiesti, consigli richiesti che si rivelano sbagliati, chiacchierate illuminanti, sguardi di intesa, cadute, paura, qualche cazzata in mezzo che ti fa venire voglia di lasciar perdere tutto, stanchezza a volte, coraggio, entusiasmo. Ecco c'è tutto questo.  E tutto questo è quello che bene o male ognuno di noi vive ogni giorno, si chiama vita. Convogliare questo magma di cose, comunque vissute,  verso un obiettivo che rappresenti la felicità è quello che rende u successo alla portata o meno di qualcuno. Alla fine si torna sempre a parlare di consapevolezza.
Lo sai dove stai andando? Riesci a dare un senso al tuo fastidio? Alle tue paure? Sai cosa ci guadagni a rinunciare a qualcosa? O sei soltanto preso dalla lamentela per la perdita? Ecco, la risposta a queste domande ti può allontanare o avvicinare a quel tipo che ha scritto una storia di successo dall'alto del suo podio.
Ecco perché mi ero prefissata di scrivere tutto, prima ancora di sapere se ce l'avrei fatta, perché questo mi avvicina a chiunque legga e provi a domandarsi se è davvero possibile provarci.
Spesso è da una caduta che si impara a camminare meglio. E da come cammini ti rendi conto che il viaggio è importante almeno quanto la meta.
Le cadute servono. Chi ha vinto è caduto, magari mille volte, ma una volta raggiunto il traguardo le cadute se le è dimenticate, travolto dalla gioia del successo ne ha trasformato la percezione del raggiungimento. Per forza che poi sembra un'impresa impossibile, E invece non lo è: è possibilissimo. Solo che sarà una montagna russa, a volte alle stelle, altre volte col sedere per terra e gli occhi rossi, altre volte ancora camminando spediti.
Ecco perché ho voluto scrivere tutto.
Ecco perché stasera lo scrivo che non è stata una gran giornata per me, perché sono stata travolta da pensieri ed emozioni che mi hanno sballottato il cuore e mi hanno anche strappato un paio di lacrimacce amare. E allora? Pace. Ci sta.
La cosa positiva è che ho imparato a vivermeli con una certa serenità questi momenti, perché hanno motivo di esistere e sarebbe stupido reprimerli buttandomi in una mischia di gente magari, perché poi passano, perché in fondo, me li sono voluti. Sono parti di me che hanno la stessa dignità di esistere dei momenti felici.
Quindi porto fuori il cane e mi fumo una sigaretta, finisco di scrivere questo post un po' melanconico, e mi cerco un filmetto che mi regali un paio d'ore di svago, magari anche una risata delle mie, di cuore.
E buonanotte.