venerdì 28 ottobre 2011

Istinto&Tempo

Sapevo di non sbagliarmi, ma non immaginavo quanto. Sì lo so che è parecchio che non pubblico niente, ma ancora una volta seguire un istinto si è rivelato vincente.
C’è sempre un motivo se uno è portato a fare qualcosa. Facciamoci pace. Basta con questa storia che dobbiamo imporci, darci una disciplina, forzarci a continuare una cosa che si è iniziata solo per il fatto che si è iniziata. Io mi permetterei un letterario “sticazzi” a questo punto. Tanto c’è tutta la vita là fuori per mostrarsi come i perfetti soldatini dell’opportuno e dell’apprezzato, qui se ne può fare serenamente a meno.
E ascoltare.
Che c’era in quel silenzio?
Una prova che richiedeva tempo, un po’ di distrazione, nonchè una leggera assuefazione.
Ce l’eravamo detto no che la libertà non si ferma alla scelta, alla decisione di essere liberi ma che poi va tradotta in pelle, vene e arterie, sennò il sangue non circola e se stagna è un casino.
Io però, che predico bene e razzolo male, ho stagnato. Che bello ricominciare ad avere una vita serena, senza responsabilità schiaccianti e orari da convento. Che bello fare tardi la sera e la mattina arrivare in ufficio quando mi va, con calma e non prima dell’italianissimo caffè al bar col giornale fra le mani e i commenti con gli affezionatissimi dei fratelli Cicogna come me.
Giornate tranquille, piuttosto divertenti, colleghi simpatici e matti come cavalli, capaci di rendere una giornata in ufficio una puntata di Camera Cafè...che vuoi di più, te lo sei meritato bella mia, goditelo.
Sembra tutto così lontano adesso, in fondo che ci è voluto? Niente, o quasi. Una rapina certo ma in fondo a chi fa questo lavoro capita e poi è stato un lungo periodo di vacanza, divertente, allegro, ma sì. Niente di trascendentale, i contorni sfumano, tutto si appiattisce.
“I malati ricordano, i guariti dimenticano”, diceva Jim Morrison.
Io sono guarita.
Ma quando ero malata ho fatto in modo di non dimenticare.
Ho scritto.
E ieri ho riletto, tutto.
Ho avuto così la prova che era giusto tracciare ogni singolo passo di quel percorso tutt’altro che facile, fatto di momenti immensi, a volte impercettibili, a volte risonanti come un temporale, in cui ho spostato tutti i miei punti di riferimento per ridefinire me sulla mia strada.
L’avrei dimenticato.
L’avrei seppellito con questo benessere e se qualcuno mi avesse chiesto come ho fatto a cambiare tutto così, o come mi sono sentita avrei fatto spallucce dicendo che in fondo non è cambiato niente, che non ricordo grosse differenze con prima, che forse non stavo poi nemmeno tanto male.
E invece no.
Ho scritto, è tutto qui, sul mio mac, ordinatamente conservato e pronto all’uso.
Perchè va usato, è un dovere morale farlo, perchè un istante dopo aver letto, quello che ho guardato fuori dalla finestra è apparso più luminoso, più colorato, più profumato, più dolce e gustoso che mai.
Ancora una volta, e per sempre, fino alla fine dei miei giorni, è la strada che conta, a prescindere da dove ti porta.
Potrei essere altrove, potrei vivere mille vite, con mille persone e in mille luoghi diversi, ma so che sarei capace delle stesse cose.
E so che questa cosa che mi si rigira nella pancia e sale fino al cuore, mi distende i lineamenti del viso e scaturisce in un sorriso, non è affatto una dettaglio di secondo ordine.
Eccomi qua, tornata, o mai andata via.