mercoledì 28 dicembre 2011

E quindi...ciao

No, non me lo chiederò fingendo un reale interrogativo sul perchè le considerazioni sistemiche avvengano sempre a fine anno. E’ già tanto che non parto con carrellate di buoni propositi per il nuovo anno tipo smettere di fumare o mettermi a dieta.
Ma proprio passarla liscia, come se fosse un giorno come un altro, come se questo fosse stato un anno come un altro, quello no.
Che non lo sia stato è dimostrato dal fatto che non lo mando a cagare come ho fatto con gli ultimi scorsi. Ormai è un sentire comune, finisce l’anno e che vada affareinculo lui e tutto quello che ci ha fatto patire, perchè adesso sì che è finito e possiamo accogliere sorridenti l’entrata trionfante dell’anno dell’ariete, della tigre, dello yin o del peperone verde. L’anno in cui Urano entra in trigono con Giove e questo non succedeva da 87 anni, presagio di stravolgimenti e grandi successi finanziari. Sì, ogni anno cerchiamo segnali e presagi di qualcosa che cambierà in positivo, perchè l’anno che si conclude è stato specificamente una merda.
Cosa nuova quindi, sentirsi spaventata dall’arrivo del momento dell’addio con questo 2011 che, come un’onda lunga, mi ha sollevata, sospinta  e trascinata in salvo su una spiaggia deserta, per poi ritrarsi, lasciandomi sola davanti ad un mondo nuovo, un nuovo mondo.
Ci siamo, potevi togliermi la vita, me l’hai restituita.
Potrei dire mille cose ora, potrei ripercorrere le tappe di questi 12 mesi che hanno valso 37 anni, che hanno dato senso a tutto, a tutto, hanno rimesso a posto cose che un posto sembravano non averlo. Un anno fatto di momenti cristallizzati nel mio cuore e nei miei ricordi, che non dimenticherò mai. Porte finalmente chiuse, oltrepassate senza più voltarmi indietro, già così lontana ad inseguire il mio cuore.
Lo rivivrei altre mille volte questo anno incredibile, con tutte le persone che ci sono state, che mi sono stare vicine, che sono rimaste, o che sono tornate solo per farsi dire addio.
Non ho mai sentito tanto amore vicino a me, non ho mai riso tanto, non ho mai avuto tanta paura, non avevo mai avuto paura di morire prima.
Ho troppe parole in testa adesso, troppe emozioni nel cuore e l’unica cosa che vorrei è stringere forte tutti i miei amici, tutte le persone che ogni giorno partecipano alla mia vita, da distanze diverse e ognuna a suo modo, vorrei stringermi a loro, chiudere forte gli occhi e fare un respiro profondo, ciao 2011, davvero non ti dimenticherò.

martedì 6 dicembre 2011

La parola FINE

L’agente Ferrante non credeva alle sue orecchie. La frazione, l’indirizzo e il civico, gli stessi. Lo stesso luogo che dieci anni prima era stato il teatro degli orrori che aveva sconvolto il paese. L’talia era rimasta incredula davanti alla violenza prima, all’orrore dopo, quando la mano che aveva interrotto con quarantotto coltellate la vita di una giovane donna e del suo bambino si era rivelata essere quella dell’altra figlia, allora soltanto sedicenne.
Anche in quell’occasione era toccato a lui raccogliere la chiamata. Un tentativo di rapina ad opera di extracomunitari, rumeni, chi se ne sarebbe stupito? Non sarebbe stato certo il primo episodio, la gente è esasperata da un clima di paura e violenza che ha bruscamente interrotto una vita all’insegna della civiltà e della pace. Questa era gente che lasciava la porta di casa aperta per capirci, con le chiavi appese nella serratura, senza spranghe alle finestre, senza allarmi tecnologici. E lei questo lo sapeva bene quando ha raccontato in lacrime la sua storia ai vicini prima e alla polizia dopo. Ferrante se la ricorda, un viso pulito, ingenuo, la classica ragazza della famiglia bene del nord, con le mani pulite.
Ma era stato proprio il sangue che macchiava quelle manine curate a farla finire in carcere per dieci anni.
Se ne è parlato a lungo; in tanti si sono continuati a domandare come fosse stato possibile, come fosse potuta accadere una cosa tanto orrenda, assurda, inconcepibile, come se fossimo davvero ancora capaci di stupirci per questi orrori.
Si è parlato a lungo anche di lui, il padre.
Quell’uomo in un solo istante si è visto portare via moglie e figlioletto piccolo. E da chi? Dalla figlia maggiore.
L’agente Ferrante si è chiesto mille volte come si sarebbe sentito se fosse capitato a lui, lui che ama teneramente la moglie dopo tanti anni e che darebbe la vita per i suoi tre figli.
Cosa avrebbe provato se uno di loro avesse fatto qualcosa di simile? Come si sarebbe sentito? Cosa avrebbe fatto? Se lo sarebbe chiesto ancora mille volte l’agente Ferrante ma non sarebbe comunque arrivato mai a comprendere il comportamento di quel padre, il vero enigma di tutta quella triste storia.
Lui che è rimasto accanto a quella figlia in ogni circostanza alla quale fosse ammessa la sua presenza.
Lui che, durante il processo, non ha rilasciato una dichiarazione.
Lui per una volta alla settimana ha fatto visita alla figlia in carcere, rimanendole vicino e sostenendola negli studi.
E sempre lui, aveva riverniciato le pareti di quella casa degli orrori, dove si sono fermati i sogni, le speranze, dove sono andati in fumo i sacrifici e i progetti di una coppia che ha visto nascere una famiglia. Nessuno avrebbe potuto mai immaginare che quella piantina a cui hai dato ogni giorno acqua e cure si sarebbe rivelata una pianta carnivora.
Quella famiglia era implosa in una sera di ribellione e sangue. Sconosciute le ragioni, inutile cercarle dove ragioni non esistono, la violenza si nutre a volte solo di se stessa.
Lui però era rimasto lì, fedele a quell’idea di casa, dove era nato tutto e dove si erano consumati anche tanti momenti felici.
E’ rimasto lì per dieci anni.
Ieri lei è uscita, fine pena, dieci anni dopo.
Una donna, bella, adulta, lunghi capelli scuri ma ancora quello sguardo pulito, come se fosse stato tutto lavato via.
Ad accoglierla, con la sua grande macchina da uomo benestante del nord, lui, papà.
La portava a casa ieri sera, dopo dieci anni, la riportava là, in quella casa che lui ha riverniciato e rimesso a posto, per accogliere quel che resta di una famiglia distrutta: il suo omicida.
E così ieri l’agente Ferrante, come un po’ tutti poi, è rimasto un po’ attonito davanti alla tv che riproponeva quelle immagini di una famigliola che si ricomponeva, come quando, dopo una marachella, ti vengono a riprendere da qualche parte mamma e papà per riportarti a casa. Solo che mamma non c’è, e non c’è nemmeno il fratellino che ti considerava la sua migliore amica. C’è quella casa, integra, ancora in piedi, dove un padre  che nessuno ha saputo interpretare per anni ti ha aspettata alternando giorno e notte per dieci anni senza che nessuno capisse cosa pensasse.
Fino a stamattina.
Questa chiamata annuncia qualcosa di brutto.
L’agente Ferrante vorrebbe ignorarla e tirar dritto, andare a presidiare la scuola per assicurarsi che i ragazzi entrino alle lezioni senza incidenti ma, ancora una volta, è lui a trovarsi più vicino.
Quando arriva davanti alla villetta il gruppetto dei vicini di casa ha impressa sul viso la stessa espressione che deve avere lui, un angoscia senza sorprese.
Forse nessuno avrebbe voluto pensarci prima, per quanto adesso appaia tutto così chiaro, logico, consequenziale.
Il corpo della ragazza, riverso nel suo letto, nella cameretta con le pareti rosa pastello, perfettamente ordinata, con i fiori freschi davanti alla finestra, e un cadavere in un bagno di sangue sul letto. Un colpo in testa.
Lui seduto alla scrivania del suo studio, come nei film di spionaggio, stessa sorte. Sulla scrivania, posizionato a debita distanza affinchè non venisse impregnato di sangue (ma in dieci anni hai avuto tempo di pensare a tutto) un biglietto: una famiglia sta insieme.
La spiegazione di tanto mistero, il lento scorrere del tempo, un finale da grande regista, l’attrice principale, al massimo della naturalezza.
La parola fine.
La famiglia comprende.
La famiglia sostiene.
La famiglia protegge.
La famiglia giudica.
La famiglia perdona.
In quella notte di orrore e rivelazione, negli occhi limpidi della figlia, aveva riconosciuto se stesso e il male che annida e metastatizza, divenendo genetico.
Aveva protetto la sua creatura dalla società, per riportarla a casa prima che venisse smascherata e condannata per ciò che realmente è.
A casa, in famiglia. Papà ti ama, papà si prenderà cura di te.