martedì 23 ottobre 2012

Choosy Fornero

Choosy, non l’avevo colto all’inizio, quello “schizzinosi” balenato su Facebook come l’ennesima battuta di spirito per ironizzare la mattanza Fornero delle nostre illusioni, quelle cose che da anni non si riesce più a chiamare sogni.
Adesso anche choosy, questi giovani, degli schizzinosi che pretendono, dopo anni di costosi studi (ricordando che il sistema universitario italiano è tra i più antieconomici d’Europa) di trovare un impiego (!!!) con uno stipendio che consenta di accedere alle sempre più elitarie soglie del credito, per un mutuo, UN MUTUO assurda pretesa, per comprare (e qui mi sbellico) una casa!!!
Ma che si sono messi in testa questi qui, di rendersi autonomi prima dei trent’anni?
Italia, paese di artisti, navigatori, eroi e bamboccioni. È tradizione, poche storie, no choosy.
Ma di che ci dovremmo accontentare? Di cosa? Datemi tre di punti da mettere in un cazzo di elenco per potermi svegliare la mattina e credere che siamo in un paese civile, in uno stato di diritto, in uno stato di speranza e non in questo ineluttabile stato di depressione.
Cosa c’è nelle nostre mani oltre l’aria e un prurito di rabbia?
E dovremmo accontentarci dice lei, lei parte di quella schiera che non si accontenta di privilegi parlamentari ridotti ad una pensione di solo 6300€ al mese, lordi eh!!! Che ci sono stati i tagli anche lì.
Lei che ignora quanto costi oggi un cappuccio di insalata e che non sospetta certo che se vai la mercato verso l’una risparmi perché ti compri gli avanzi di chi ha potuto pagarlo 1,80 € al Kg.  Lei che ha costretto milioni di pensionati a 500€ al mese a sentirsi dei fortunati rispetto a chi oggi una pensione non ce l’ha, ma nemmeno uno stipendio, e neanche un lavoro perché a uno in età da pensione non se lo carica nessuno.
Lei che invece queste cose le sa, anche se dalla sua auto blu di indifferenza finge di non sapere, si fa colare lacrime di coccodrillo che verranno consolate da uno shopping in centro con suddetta auto blu in doppia file su via del Corso e intreccia altro pelo sullo stomaco.
Così dovremmo fare, eccolo il buon esempio: non siate schizzinosi, imparate da chi si affanna ogni giorno a darvi il buon esempio, calpestando dignità, rispetto, valori. Violentando la Costituzione Italiana che sancisce la nostra Repubblica come fondata sul lavoro. Chiudete gli occhi, tappatevi il naso e mandate giù una medicina amara ma necessaria per rendervi lo stereotipo dell’Italiano che vorrebbero, lobotomizzato vegetale produttore di risorse necessarie al loro sostentamento, alle loro feste e cene a base di cassette di ostriche.
Forza su, non siate choosy, accontentatevi di avere ancora dei genitori disposti e capaci di mantenervi. Non ci pensate, andate in discoteca, ubriacatevi coi soldi di mammà, pretendeteli, picchiateli se necessario in un eccesso di rabbia e frustrazione.
E poi rendete grazie a Donna Fornero e ai suoi preziosi consigli, alle sue illuminate analisi, ai suoi occhi lacrimevoli e commossi, alle sue scarpe di Gucci.

giovedì 19 luglio 2012

FINO A QUI, TUTTO BENE.



http://www.youtube.com/watch?v=3hedFSNtIuM&feature=share

Un risveglio filtrato dalle luci delle serrande abbassate, il letto disfatto e stropicciato come il mio riposo leggero e disordinato.
E’ arrivato il momento di salutarci, perchè ogni viaggio ha senso se c’è una destinazione da raggiungere, altrimenti è un vagabondaggio che può solo portare a perdersi. Io invece avevo bisogno di ritrovarmi, e di non  farlo da sola, dopo che un anno fa qualcuno si era arrogato il diritto violento di tenere la mia vita davanti al grilletto di una pistola. Non ce l’ho fatta a camminare da sola, non mi hanno retto le gambe, non mi sono  bastate le lacrime per riempire il vuoto lasciato da tutto quello che ho tirato fuori in un anno.
Ho avuto bisogno di scrivere e vederlo esterno a me, io riflessa nelle mie stesse parole che hanno raccontato di me e della mia vita, a me spettatrice troppo spesso inconsapevole.
Adesso mi fermo, perchè c’è bisogno di nuovo silenzio. Non più il silenzio di chi non sa parlare, ma il silenzio di chi le parole le ha finite.
Mi riprendo i miei pensieri, i miei sentimenti guariti e un po’ più coraggiosi.
Questo blog finisce qui per quanto riguarda la vita di Federica.
La vita di Federica prosegue off line, le persone le voglio prendere per mano davvero adesso.

lunedì 11 giugno 2012

La vita di Federica

Stasera ti amo davvero...
per quanta pazienza hai avuto con me, e continui ad averne.
Per le infinite sorprese che mi riservi con la generosità di chi ama e sa aspettare.
Perchè hai saputo lasciarmi soffrire e crescere in quel dolore, aspettavi, aspettavi fiduciosa che ce l’avrei fatta.
Ti amo perchè quando mi immergo in te mi sento viva, e piena e non mi stancherei mai di spingere sull’acceleratore per sentire il vento forte sul viso, tra le dita delle mani aperte, fra i capelli. Sì, anche quando parto senza casco.
Perchè hai messo sulla mia strada smarrita le persone giuste, e le cose adatte a “ricompattarmi”, a farmi scoprire la Federica che vuole ancora vivere tutto quello che c’è e dove non c’è è pronta a costruirselo, su misura, a sporcarsi le mani e a piegarsi le gambe per la fatica, in un pianeta sul quale non sono più sola, perchè adesso ho voglia e so accogliere le persone vicino a me.
Ti amo, ti amo tanto, perchè non ho più paura, perchè la paura non mi spaventa più.
Ti voglio con me per la scoperta continua che mi regali ogni giorno, per i miei fratelli e i miei nipoti e l’amore nuovo che hanno acceso in me.
Per la passione smisurata che mi hai insegnato per lui e per la forza di andare oltre, incontro a quello che sarà.
Te lo volevo dire, stasera che mi avvolgi mentre aspetto, nella mia vita stupenda e conquistata che sei, arresa, intensa e sensuale come ti volevo.

Sexy B.

Era stato un gesto deciso, inesorabile. La mano aveva preceduto il pensiero, la pancia la logica: portami a cena, vienimi a prendere. “Vieni e scopami”, questo l’inequivocabile sottotesto del messaggio.
Lui aspettava da tempo quel momento, non sapeva bene come prenderla, lei a volte simpatica, altre scostante, comunque mai del tutto leggibile, con quell’aria che non saprebbe spiegare meglio se non con la parola “altrove”. Adesso era lì, seduta davanti a lui che sgranocchiava una bruschetta al pomodoro mentre lui aveva già divorato anche la pizza, anticipando famelico quel desiderio che ormai gli schizzava fuori dai pori. A volte dover riempire di socialità quegli spazi necessari a giustificare una scopata è più macchinoso di una partita a scacchi. Glielo potresti dire chiaramente: senti io ho una voglia di scoparti che la metà basta, finisci la pizza e andiamocene. Cristo come sarebbe tutto più facile, poi dicono che noi uomini siamo sistemi binari, senza sfumature, ma quanto sarebbe più semplice la vita! Tanto vogliamo tutti e due la stessa cosa che ti credi? Mica stavi qua sennò , te ne stavi con le amiche tue a sorseggiare spritz in qualche localetto del cazzo se volevi chiacchierare, non stavi qui, di fronte a me, con quell’espressione da zoccola. E pensare che ti ho appena fatto il complimento più bello che un uomo possa rivolgere alla propria donna, e tu non lo saprai mai perché se te lo dicessi saresti costretta ad offenderti che la conosciamo entrambi la manfrina femminista.
Pago, mi avvicino e ti prendo, sì ti prendo anche se siamo ancora in mezzo alla gente io adesso voglio sentire la tua pelle sotto le mani. Ti sento morbida, non resistente, sento che cedi e ti abbandoni incurante e divertita dalla mia voracità e dal luogo, le persone. Mi guardi con quegli occhi sfrontati mentre ti bacio che sembri volermi sfidare ma non sai che rischi piccola, tu non lo sai che ti faccio io adesso.
Ti sfondo, giuro che ti sfondo. Sei calda, hai una fica stupenda, mi viene voglia di farti male, di farti urlare dal piacere e dal dolore. Sei una scopata pazzesca, dio che ti faccio, senti quanto è duro, lo senti? Sei tu che me lo fai diventare così, tu, con quella faccia da troia, con questo corpo sensuale, con i tuoi gesti, gli sguardi. Oddio non ci devo pensare, non devo pensare, no, non devo farlo altrimenti vengo, e io non voglio venire perché voglio farti godere ancora, bella quando vieni, vieni ancora, ancora, vieni per me, vieni da me…
Aveva chiuso il libro con un sospiro profondo, si era allungata rilassata sul letto stiracchiandosi dopo le ore passate a studiare prima, distraendosi con quel  racconto di B. dopo. Domani l’esame, avrebbe dovuto riposarsi e farsi una bella dormita ma in realtà, a dirla dritta per dritta, aveva voglia di scopare, senza starci nemmeno troppo a girare intorno.
Il telefono era proprio lì, portami a cena, vienimi a prendere.

martedì 5 giugno 2012

Ammazza che ride

Scrivi quello che ti fa ridere, una paginetta:

Mi fa ridere vedere la faccia convinta di chi tenta ancora di vendermi un sogno, l’incubo da cui mi sto finalmente svegliando.

E’ divertente osservare i rapporti umani ridotti ad un “uozzap”, discorsi interi sulla vita e i sentimenti più profondi appiattiti in pochi caratteri spediti con un beep, spogliati del valore inestimabile di uno sguardo, alleggeriti dell’intensità della voce, anche quando si incrina emozionata.

Mi fa morire dal ridere aver creduto che una persona mi fosse vicina, essere stata convinta che lo sarebbe stata per sempre, e poi scoprire da una sola frase che in realtà non lo è, perchè non ci ha mai capito niente di me.

E’ stupendo notare quanto una persona si senta realizzata in funzione della taglia di pantaloni che porta, o dei muscoli che può lasciar intravedere dietro magliette aderenti come calzini.

Comica è la pretesa di chi pensa che un cellulare debba renderti sempre raggiungibile, neanche fosse un braccialetto elettronico da carcerato.

Fa ridere la guardia che ti sollecita a tenere il tuo cane al guinzaglio perchè sennò sporca quando il parco è popolato di orde di barbari secernenti cartacce e bottiglie vuote. Simpatico è anche il fatto che la paletta per gli escrementi che ti porti sempre dietro sembri trasparente davanti a cotanta ottusità.

Non è male neanche il vigile che ti intima di fermarti mentre passi col giallo al semaforo, seduto al volante della sua auto con il cellulare all’orecchio (senza auricolare ovviamente)

E’ bellissimo che ti sbaglino la busta paga senza saperti dire quando riprenderai i soldi che ti hanno tolto, è da sbellicarsi che subito dopo ti chiedano puntualità sul posto di lavoro.

So un sacco di risate davvero, risate amare, ma risate.

domenica 3 giugno 2012

Acqua e Sapone

Le tende accostate, la luce che si insinua nella stanza proiettando i forellini della serranda sull’armadio davanti al mio letto. Eccola, è quell’inconfondibile atmosfera che solo l’estate riesce a vestire di pigrizia e leggerezza, quando ti rilassi mezza nuda sulle lenzuola fresche lasciando che l’aria ti accarezzi sul letto.
E’ silenziosa la casa, come piace a me quando voglio isolarmi e dedicarmi a Federica.
Sento le voci dei bambini, giù dalla strada, qualche macchina. Se chiudo gli occhi mi accorgo che è tutto come allora, come in quella casa che mi ha cresciuta per 16 anni.
Abitavo in centro, alle porte di Borgo, e i pomeriggi d’estate fluivano lenti e annoiati tra i ghiaccioli del bar e i dischi di mio fratello, ascoltati di nascosto quando lui non era in casa.
Immaginavo la mia vita che ancora doveva venire, ma che si ribellava alle regole a alle costrizioni di mio padre e sfogava in anteprime clandestine tra le mura di casa, con i vestiti di mia madre e i suoi trucchi.
Ricordo il mio viso che sembrava cambiare ogni giorno, qualcosa di diverso nei miei occhi, non avrei mai saputo spiegare cosa ma lo ritrovavo negli sguardi che mi accompagnavano quando percorrevo il tratto di marciapiede sotto casa, quello stesso tratto di strada da una vita, ma che sembrava solo allora accorgersi di me.
Negli anni tutto questo si è perso, rievocato di tanto in tanto dalla canzone degli Stadio, quelle ormai rare volte in cui la radio sembra inciampare in “Acqua e Sapone”. Il ragazzo del negozio di barbiere davanti casa in quel periodo la metteva a tutto volume quando passavo, io mi imbarazzavo e tiravo dritto ma poi arrivavo a casa e la rimettevo, che pensarla per me mi faceva battere il cuore a mille.
Dicevo che negli anni questa sensazione è andata a finire nel cassetto dei ricordi, non l’ho più provata anche se non l’ho mai dimenticata.
Stamattina però mi sono svegliata presto, ho portato Darietto al parco che non erano neanche le 8 e siamo stati lì un’ora, tra i profumi del prato e il cinguettio degli uccelli.
Quando sono tornata a casa ho preparato il caffè, senza fretta, gustando ogni gesto di quella procedura mantrica che Lorenzo in questi giorni mi sta perfezionando in base a standard di eccellenza. Il profumo mi ha avvolto, e quando mi sono portata la tazzina a letto e me la sono gustata sdraiata, senza radio, senza tv, solo al suono di questa domenica di giugno del tutto privata, ho ritrovato lei e Federica.
Le ho ritrovate insieme là dove avevo lasciato entrambe, affacciate alla vita, ansiose di viverla, curiose, eccitate.
E mi voglio regalare questa e tante altre mattine ancora così, a ripensare ai vecchi dischi, a i film di Verdone, al mio sguardo che cambiava, alle mie mani che si muovevano con sicurezza, ai passi decisi, a me, a me e ancora a ME.

giovedì 31 maggio 2012

Cheese burger & Pulp Fede

Federica scrive. Scrive tanto Federica. Lo fa quando i pensieri che le frullano nella testa non trovano ordine, non si quietano, non la smettono di tormentarla come un criceto impazzito nella ruota.
E oggi, che dovrei scrivere? Di cosa? Della persona che sono diventata? O di quello che sto mettendo in atto in questi giorni con la lucidità, la metodicità e la spregiudicatezza di un sicario?
Dovrei vergognarmi forse, che fuori di qui c’è chi no n ha un lavoro, chi non ha una casa, chi non ha nemmeno una speranza.
Fuori c’è sempre tutto il contrario di quello che hai tu. Qualcuno ci ha mai fatto caso?
Se sei felice, rifletti che fuori c’è chi soffre. Se soffri consolati perché là fuori si nasconde la tua felicità. Si nasconde la zoccola, e mica si fa trovare facilmente no?
Se hai un lavoro sicuro pensa a chi non ce l’ha e veste i panni del precario a vita.
Se un lavoro non ce l’hai pensa a quelli che ce l’hanno ma sono infelici, malati, stitici e della Lazio (i biancoazzurri non me ne vogliano, mi piace vincere facile pure a me eccheccazzo).
Io oggi penso solo che se sei disposto a sputtanarti davanti a quattro idioti pur di fuggire da un posto, sei autorizzato a ricorrere ad ogni mezzo, lecito e non lecito.
Se qualcuno o qualcosa arriva a renderti lo stereotipo dell’umanità a cui non hai mai sentito di appartenere, quel qualcuno merita il tuo disprezzo, e poi devi fargliela pagare.
Quando ti svegli la mattina e ti senti carico all’idea che stai per fare un altro piccolo passo verso  la porta che ti porterà fuori di lì, non sei tenuto a farti il minimo scrupolo verso tempi e modi.
La legge del taglione. Ti restituisco ciò che mi hai fatto. Con la differenza che io ho un motivo per farlo, tu non ce l’avevi.
Oggi, 31 maggio 2012, non avrei mai creduto che mi avrebbe ingolosito l’idea della vendetta e di un cheese burger del Mac.

lunedì 28 maggio 2012

E ORA....?

C’era sempre il sole, almeno nei ricordi che ne ho.
Il caffè aveva il profumo buono dei risvegli più dolci, quelli che ti accolgono dopo una notte serena. I biscotti del Fornaretto da intingere nel caffè amaro.
Le notti nelle quali mi svegliavo infreddolita e mi avvolgevo nella felpa col cappuccio, rannicchiata nel letto a farmi cullare dalle voci della strada, Trastevere by night.
La giornata fuori dalla finestra era un invito allegro e irresistibile, la città il luogo dove esistere leggera e libera. La wifi rubata a Sacchetti, i primi pensieri buttati giù tra le passeggiate dei turisti.
Camminavo spensierata e carica di problemi. Me li portavo a spasso con disinvoltura cercando soluzioni dove sentivo che le avrei trovate.
Mi muovevo fragile e discreta fra i vicoli di Trastevere rifugiandomi nel pensiero che lì no, non mi avrebbero trovata.
Maria, quante colazioni ti avrò portato? E tu, con quante piccole attenzioni mi hai protetta?
Quante sorprese, quanto coraggio, così tante risate e qualche lacrima, adesso che devo andare fino in fondo.
Già, perché lo sapevo anche allora, quelle erano le basi di una cattedrale che avrei dovuto costruire pezzo per pezzo.
Mi fanno male le mani per la fatica, e il cuore per la solitudine che mi ha colto di sorpresa quando è mancato lui, l’unico che credevo incrollabile vicino a me.
E’ tutto diverso in questi giorni, anche la musica che ascolto è cambiata, è solo mia ormai, suona diversamente, arriva in altri posti e da altri luoghi.
Mi sembra di osservare la mia vita scorrere e mi rendo conto che solo in questo modo ha senso, che lasciarla andare altrove sarebbe stato un suicidio dell’anima.
Stordita, spaventata, stanca…non mi sono sentita mai così viva.

domenica 20 maggio 2012

Deflagrazioni

La ragazza aveva chiuso gli occhi come a contenere l’onda d’urto causata dalla deflagrazione che le aveva chiuso le orecchie, ovattando tutto, sfocando le immagini intorno a lei, isolandola.
Chissà se intorno a lei qualcuno si era reso conto, chissà se le persone avevano avvertito quel cedimento. Una crepa diramata e metastatizzata che non aveva retto a quel peso, alla fine aveva ceduto, smottando la barriera di difese e resistenza che da mesi andava consumandosi, cedendo sempre un po’, logorandosi, fino a scomparire dietro l’ombra diaframmatica di un sorriso sempre meno convincente. Alla fine era successo.
Adesso muoio.
Le mani avevano iniziato a formicolare, e i piedi anche. Nello stomaco un vuoto centripeto che sembrava voler divorare tutto ciò che restava di lei in una salvifica implosione.
Sto morendo.
Esistono davvero due mondi paralleli ignari l’uno dell’altro, perchè quando aveva riaperto gli occhi dopo un istante che le era apparso un’era geologica, era tutto come prima, non un accenno di stupore nelle espressioni di chi era lì con lei, non una preoccupazione, un sospetto, nulla.
Io sto per morire.
Questo pensiero però era lì, e lei avrebbe voluto essere a casa, al sicuro, dove non c’è pericolo, dove nessuno poteva farle male e invece era in mezzo ad una folla di persone che pretendevano allegria, spensieratezza, sorrisi di plastica e battute al fulmicotone.
Ma era stato quando aveva sentito il cuore sfuggirle di mano in un battito impazzito e soffocante che quella mano l’aveva afferrata e trascinata via, un attimo prima che le lacrime schizzassero fuori dagli occhi in un piano a dirotto.
Ti porto in ospedale, hai un attacco di panico.
Non mi porti da nessuna parte, aiutami a respirare invece.
Ecco come vanno le cose, o come sarebbe bello che andassero quando chiedi aiuto a qualcuno, quando hai bisogno di parlare e confrontarti per trovare la strada giusta, che è solo la cosa giusta che stai cercando di fare.
Si ripeteva che doveva solo ritrovare la sua lucidità, che da troppo ormai era l’ansia e la confusione a farla da padrona e a lei questa storia non piaceva affatto.
Sapeva che alla fine si sarebbe stancata di piangere, che anche quello è un lavoro muscolare che trova il suo traguardo e si placa per sfinimento, e lo sfinimento a ben pensarci è una forma di calma, e la calma porta lucidità.
Non c’è un luogo e un momento giusto quando arriva il momento, non c’è nemmeno la persona giusta, nonostante i tuoi tentativi di rivolgerti a quella che credevi in grado di esserti vicino, no. Niente di tutto ciò, fanculo. Ti scoppia tutto in faccia come un foruncolo gravido e tu devi essere pronto a tamponare.
Alla ragazza l’idea del foruncolo gravido aveva strappato un sorriso annacquato da una lacrima sfuggita al fiume di pianto che continuava a bagnarle il viso ed era stato mentre cercava un fazzoletto nella borsa che le sue mani avevano incontrato la copertina dura dell’agenda.
Era stato un anno duro quello che stava per compiersi tra un mese, iniziato con una violenza fisica e proseguito come una montagna russa fra decisioni coraggiose e fortunate, ritorsioni e minacce, speranza, entusiasmo e fiducia, altre violenze sottili e intangibili, paura e tutto, tutto, alla fine aveva cementificato in un enorme, altissimo muro oltre il quale adesso non riusciva ad andare ma davanti al quale non poteva rimanere senza rinunciare al suo cuore, già oltre da un pezzo.
Rivedeva tutto mentre scriveva sui fogli bianchi di carta riciclata, rivedeva quei mesi così bizzarri e difficili e si diceva che le serviva un piano, le servivano azioni, piccoli passi per iniziare a muoversi da adesso, non da domani, perchè se non si rialzava adesso sarebbe stato tutto perduto.
Ecco come aveva preso vita quel semplice elenco di azioni da compiere, ecco come poi erano state messe in ordine di priorità e fattibilità, ecco come erano state tempificate. Ecco la lucidità che le guidava la mano, le organizzava i pensieri.
Un ultimo spazio, per le crocette da mettere accanto ad ogni passo dopo averlo attuato, in quella sequenza e scadenza. Quelle crocette sarebbero state la misura della realizzazione del piano, il piano A, nessun piano B stavolta, ci giochiamo tutto in una botta secca, la partita della vita.
Non aveva pronunciato una parola mentre scriveva, cancellava, spostava, strappava fogli e ricominciava. Lui era rimasto ad osservarla in silenzio, aveva provato a dire qualcosa ma lei sembrava non sentirlo, non c’era nessuno da sentire adesso, scusa tanto.
Alla fine aveva rimesso tutto a posto, l’agenda nella borsa e la penna pure.
L’aria era nuovamente respirabile, i polmoni si gonfiavano di nuovo.
C’era quel senso di tristezza da gestire, sapeva che se lo sarebbe portato dentro ancora per un po’ , ma almeno adesso aveva un piano.
Alzandosi aveva guardato quel tipo visto solo un paio di volte prima di quella sera, con il sorriso simpatico e la camicia sporca delle sue lacrime nere di trucco.
Ciao e grazie, scusami per la camicia, buonanotte.

venerdì 4 maggio 2012

Cinema e pace

 Un vecchio cinema mezzo vuoto, pochi spettatori in sala, un’amica trascinante e un panino da nascondere nella borsa e mangiare nel buio della sala, sprofondata nella poltrona. Un film meraviglioso, o forse solo il film giusto per quella giornata. Una giornata pesante senza dubbio, con un residuo di fastidio per una maleducata aggressione, espressione rozza di una disorganizzazione mentale, che aveva portato con sé una notte tormentata e una giornata che aveva accumulato tensioni. A volte ti senti come una pentola a pressione,  la stessa percezione di qualcosa che ti si gonfia nel petto pronto ad esplodere e alla fine lo fa, esplode e tu senti uscire tutto quello che ti sei trattenuto fino a quel momento, ti sgoli in una inutile difesa del tuo diritto di essere trattato con rispetto, come meriterebbe ogni essere umano.
Ieri è andata più o meno così, ma alla fine, a vincere era stato un senso di avvilimento e sconcerto, e chi ci crede più? E chi ce l’ha la forza per confrontarsi con questi squali, io che voglio solo stare in pace, che voglio agire  correttamente perché so che quello che porto ha valore, non in base all’abito e alla cravatta che metto, men che meno in funzione della ragione sociale in nome di cui opero.
La qualità è una vittima di questo sistema, e la qualità delle persone si misura in funzione di quanto sopperiscono a questo stesso, cannibalesco sistema.
Ieri era questo il mio pensiero.
Ecco come ti ritrovi, dopo una giornata così, in un cinema di Roma, trascinata quasi a forza da lei, con il nostro panino, piccole piccole nella poltrona del cinema, davanti a quel film così bello.
Immagini, paesaggi, ma soprattutto parole che pur venendo da lontano, hanno ancora il sapore attuale della verità. Uno scrittore che osserva il mondo, il suo contraddittorio mondo algerino, con l’innocenza e l’amore incondizionato del bambino che ci è cresciuto e la consapevolezza e la passione strutturata dell’uomo che ci torna in difesa della libertà e della coesistenza.
Tante parole, in radio, in un’aula universitaria, per strada, e una sintesi perfetta nelle parole di quella madre coraggiosa che rifiuta di tornare in Francia con il figlio perché: “la Francia è bella, ma non ci sono gli Arabi”.
Non è così lontano un mondo bello come quello, vive dentro chiunque sappia stare dentro se stesso senza iniziare a tremare come una foglia. E’ alla portata di chiunque abbia il coraggio di amare, spogliando l’amore di componenti velenose che appartengono all’animo umano e alle sue insicurezze, non al sentimento puro. Lo trovi quando hai la delicatezza di fermarti e guardarlo così com’è, il bene e il male, la forza e la paura, la vita e la morte, la Francia e l’Algeria. Sai che non lo perderai più quando ritrovi pace al pensiero del suo bene, quando non hai più bisogno di voltarti indietro per vedere se c’è, quando te lo porti dentro in ogni parte del mondo come una tartaruga fa con la sua casa.
Ecco perché poi ci sono quelle sere, con la luna, in cui tornare a casa con la tua musica nelle orecchie è così dolce…

martedì 1 maggio 2012

Felicità in busta paga

Quanto è importante inseguire la felicità? Sembra la solita frase quasi eterea, scollata dalle necessità pratiche che ogni giorno ci mettono davanti a scelte guidate dalla misura di cosa puoi comprare col denaro ricevuto per venderti.
E i sentimenti? E la ricerca? E la gioia, l’amore, l’amore quello vero, quello che supera il tempo e resiste a tutto, silenzioso e forte.
La vita richiede approfondimento, vivere richiede coraggio ed espressività sempre nuova per comunicare con discrezione e dignità che non sei ancora stanco di esserci, che sei disposto a dare e a darti, a dispetto di tutto.
Non si parla di soldi, è vero.
Mia madre, nella sua lunga carriera professionale, ha guadagnato come un parlamentare. Non è mai stato un problema comprare, pagare multe, risolvere problemi. Lei ci si è drogata con il senso di potere che le dava il denaro, convinta in totale buona fede che quella fosse la chiave per essere felice. E forse, a modo suo, lo è stata anche.
Adesso però, che è in pensione da qualche anno, quella felicità sembra svanita. Non è che non abbia più denaro a disposizione, anzi, è solo che adesso sembra essere rimasto davvero solo quello.
Io non la vedo quasi mai entusiasta, deve accadere qualcosa di davvero grosso per emozionarla, a meno che non si tratti qualcosa nella vita di noi figli e allora è sempre partecipe affettuosa e attenta. Ma della sua di vita che ne ha fatto? Ho paura a chiederglielo e allora me lo chiedo qui, lasciando a diplomatici puntini di sospensione la risposta...
So solo che fino ad un anno fa io ero più o meno come lei. Non sono mai arrivata a guadagnare quanto lei ma tutto ruotava intorno alla carriera che mi avrebbe portato a gonfiare la mia busta paga.
A giugno saranno dodici mesi, e a me sembra di aver arricchito la mia vita come mai prima d’ora.
Il bene per te stesso porta gioia nella tua vita, e la tua vita, quando si sente amata, ti riporta le persone amate, amate da sempre.
Tempo fa scrissi del mio confronto con i suoi occhi, del conflitto fra la sua libertà e la mia frustrazione inconfessata, della deriva inesorabile verso la fine di...noi.
Ma quel post si concludeva con un “forse”, piccolo sintomo di una speranza che aveva iniziato a svegliarmi, che anticipava le scelte che sarebbero seguite e la strada intrapresa con coraggio ieri, orgoglio oggi.
Non so che persona sarò domani, non lo so davvero, ma a te che mi sei vicino e che confidi nelle mie capacità dico, forse non avrò soldi da buttare come facciamo (troppo) spesso, ma ti posso garantire che avrai ancora vicino una persona felice, serena, in pace.
E grazie (anche) a TE.

mercoledì 18 aprile 2012

Incroci

Forse l'ho solo sognato, forse mi sono lasciata sedurre da un Chianti classico padrone in terra nativa. Forse sono stanca e non me lo voglio confessare. Forse ho fame e continuo ad ignorare il languore di vita e fortuna che alimenta i battiti del mio cuore rendendomi sorda a questa bolla d'aria che blocca il motore.
Vado avanti. Semplice.
Dostoevskij chiedeva ad ogni essere umano che colpe ha un'anima semplice. Tu mi hai preso le mani mentre ti passavo da accendere e mi hai detto quello che avevo bisogno di sentire.
Poche parole, quelle giuste. Perfette.
Ci vuole coraggio ad essere uomo, a guardare negli occhi una sconosciuta e parlarle solo per quello che le vedi dipinto sul viso.
Le mie mani si sono sciolte subito da una stretta troppo intima per quei pochi istanti, la mia strada è diventata veloce, le scarpe sporche di pioggia e asfalto da non ripercorrere.
Certe sere, semplicemente, incontri la persona giusta.
Come ogni copione che si rispetti, la lasci andare.

venerdì 6 aprile 2012

38 anni

Ho ancora voglia di festeggiare il mio compleanno, questo non è molto cool. Non sarebbe molto più fico se disdegnassi con superiore distacco il festeggiamento legato alla consapevolezza di essere ancora viva dopo 38 anni? Qualcuno ha idea di cosa sono 38 anni? Di quante cose accadono ogni giorno, quanti momenti di gioia, quante difficoltà, quanti rischi. Quante cose da imparare, da fare, da scordare, da mettere via per chissàungiornoforse. Quante. Moltiplicate tutto per 38 anni, quattrocentocinquantesei mesi, e avrete la mia vita. Una vita che, a dispetto degli eventi e della mia noncuranza, si ostina a restarmi attaccata addosso, costringendomi ad amarla, mio malgrado a volte.
Ma un festeggiamento ha bisogno di alcuni elementi necessari a definirlo tale, essenziali per renderlo completo. Pochi elementi, ma di qualità: una buona bottiglia, qualcuno di speciale con cui condividerla, una cosa buona da fumare e una serata calda da starsene fuori a fottersene di tutto. E poi, solo per me, in silenzio, qualcosa di prezioso. Un passo in avanti che non lasci impronta sulla strada dietro di me, uno spostamento di punta, l’essenziale avanzamento dopo il quale un evento perde il contorno di dramma e si trasforma in alibi. E con questo, un regalo completo diventa perfetto.
Ho scoperto che sono molto forte, ma lo sono quando sto da sola.
Ho capito che la mia disinvoltura verso le persone nasconde la paura che possano ferirmi.
Ho scoperto di essere allergica al latte, e ho dovuto dire addio alla pastiera napoletana e alla mozzarella.
Mi piace addormentarmi vicino a lui.
Parlo nel sonno, e a volte lo faccio in tedesco.
Preferisco le marmellate scure a quelle chiare.
Alessia mi ha detto che qualunque cosa accada, io lei e Patrizia non siamo sole perché abbiamo NOI. Queste parole sono il regalo più bello ricevuto negli ultimi anni.
Voglio crescere, anche se so che la mia altezza non subirà variazioni positive.
Amo cucinare, ma solo se posso farlo per qualcuno.
Vorrei potermi sentire finalmente a casa accanto a qualcuno, ma so di essere ancora nel mezzo dell’oceano.
A volte piango, e vedo le mie lacrime nere di rimmel macchiare il cuscino come se il male uscisse da me per sporcare qualcosa che non è più il mio cuore.
Mi piace svegliarmi presto la mattina quando non lavoro, fare colazione e rimettermi a letto.
Non posso vivere senza musica.
Ho bisogno di scrivere per non soffocare e per capire.
Ho bisogno di leggere per non soffocare e per capire.
Ho bisogno che mi si aiuti a parlare, per non soffocare e per capire.
Ho paura.
Amo il sole, ancora di più il sole al mare.
Ho scoperto che mi piacciono i bambini e ogni volta che ci penso piango.
Ci sono persone per cui darei la vita.
Mi piace imparare cose nuove.
Adoro camminare scalza.
Mi piace essere spogliata.
Il caffè deve essere ristretto e amaro.
La cioccolata fondente
A volte sono felice da fare schifo.
Voglio continuare a vivere.

domenica 1 aprile 2012

Society

http://www.youtube.com/watch?v=Lqcd-YI7WDM


Per me è un mistero
abbiamo un'avidità con la quale
abbiamo accettato di convivere

pensi di dover volere
più di quello di cui hai bisogno
finchè non hai tutto non sarai libero

società, sei una razza folle
spero che tu non sia sola senza di me

quando vuoi più di quello che hai,
pensi di averne bisogno
quando pensi più di quello che vuoi,
i tuoi pensieri cominciano a sanguinare

penso di dover trovare un posto più grande
perchè quando hai più di quello che pensi,
hai bisogno di più spazio

società, sei una razza folle
spero che tu non sia sola, senza di me
società, pazza e profonda
spero che tu non sia sola, senza di me

ci sono quelli che pensano,
più o meno, ma il meno è di più
ma se il meno è di più,
come fai a mantenere il punteggio?
significa che per ogni punto che fai scendi di livello
è un pò come cominciare dalla cima
non puoi farlo...

società, sei una razza folle
spero che tu non sia sola, senza di me
società, pazza e profonda
spero che tu non sia sola, senza di me

sabato 31 marzo 2012

un viaggio senza fine

La solitudine fa parte della vita. La difficoltà consiste nel maneggiarla, questa cosa informe. Eh sì, perchè se la guardo bene, vedo che è proprio come un contenitore trasparente, che dentro puoi metterci quello che ti pare. Ci sono momenti in cui hai bisogno di stare solo, che devi ritrovarti, devi ritrovare la tua musica e riascoltare il canto della tua anima. E la trovi, quella musica, e la ascolti così tanto che inizi anche a cantarla la mattina prima ancora di aprire gli occhi nel letto, la canti, la senti dentro armoniosa. Ci sono momenti in cui la solitudine ti regala proprio l’armonia che non hai mai avuto, ne investe ogni gesto, anche il più casuale come passarsi una mano tra i capelli.
Ad un certo punto può anche sembrare tutto perfetto, può anche sgorgare una sensazione dal cuore che ti dice che quel cammino è valso tutto il dolore che ti è costato, che sei arrivata a casa e che adesso andrà tutto bene.
C’è un’altra solitudine, che ti racconta invece storie di allontanamento, di abbandono. Una solitudine che si incunea al centro del cuore e lo fa sanguinare, che trasforma l’isolamento in uno spazio di tristezza in cui non riesci nemmeno a chiedere aiuto. Quanto vorrei riuscire a dire “ti prego basta, ferma questa giostra, abbracciami forte e dimmi che va tutto bene, che posso chiudere gli occhi e smettere di avere paura”. Parole che restano dentro, dietro uno sguardo lucido e un paio d’occhiali.
Quando queste due solitudini si incontrano, ebbene, quando queste due solitudini si incontrano è un bel casino, perchè non sai a chi dar retta, e in ogni caso sei stanca, stanca di dover capire, stanca di camminare da sola, stanca di sentirti repressa.
Quando queste due solitudini si incontrano, riesci solo a piangerti tutte le lacrime accumulate dentro durante questo lungo viaggio, con i singhiozzi di un bambino e le lacrime nere di rimmel.

mercoledì 21 marzo 2012

Laura

Ti pensavo proprio poco fa, mi stavo chiedendo se avessi finito, se fosse andato tutto bene. E adesso ti trovo in un post che sa di soddisfazione, di soddisfazione a prescindere.
Ti ho scoperta giorno dopo giorno, ti ho incontrata nel dolore, come spesso accade. Oggi sei una persona diversa da quella che mi ha accolta ad ottobre, i tuoi occhi hanno imparato a parlare, a lasciarsi sfuggire le lacrime e a non contenere un sorriso che sgorga dal cuore. Dici di essere un fiume in piena, a volte sembri in effetti voler straripare dagli argini che ti hanno costretta per dieci anni, proteggendoti dalla vita ma non da te stessa.
Sono mesi che ti vedo combattere, anche se non ti dico niente, ti sento non appena metto piede nella stanza, non devo neanche guardarti e tu lo sai.
Non è sempre facile, anche per me che ti sono vicina non potendolo dare troppo a vedere, ma sono lì, faccio il tifo per te e vorrei ricordarti ogni momento che non ti devi fermare, devi andare avanti perchè alla fine ne sarà valsa la pena. Perchè è così amica mia, ogni volta che mi guardo indietro, ogni volta che guardo cosa mi sono lasciata alle spalle e quanto amore è rimasto lì, attaccato a persone e momenti che saranno sempre parte di me, non c’è momento in cui non mi risuoni nella testa che rifarei tutto mille volte.
Hai cercato con determinazione la tua forza, l’hai scoperta dietro la fatica per la cosa più stupida di ogni giorno, hai voluto e saputo credere in te, e oggi hai ricevuto il tuo premio.
Oggi vorrei avere le ali e andarmene via, liberarmi da questa colla nera come pece che mi tiene ancorata ad una vita fatta di sguardi bassi e conti della serva.
Ma ce la farò, contro ogni previsione e senso dell’opportunità, ce la farò a riprendermi la mia vita. Perchè questo è il momento per mettermi in moto. Perchè adesso anche tu sei pronta a spiccare il volo.
Domani non chiedermi cosa è meglio fare, conosci già la mia risposta, le ali le hai già dispiegate del resto, le notti insonni perchè è la vita a tenerti sveglia le hai sperimentate anche tu, non si torna indietro da questo.
Sono felice per te, sono commossa nel vederti guardare avanti, mentre tanti restano a piangersi addosso e a rimuginare sul passato, tu hai guardato avanti, scavalcando dieci anni e una delusione che avrebbe atterrato un gigante.
Oggi pensarti mi emoziona così tanto che devo scrivertelo, Laura, questa è la vita che merita di essere vissuta. Vattela a prendere, non ti voltare indietro.

Le ali della Libertà

Spero che Andy sia laggiù.
Spero di farcela a passare il confine.
Spero di vedere il mio amico e di stringergli la mano.
Spero che il Pacifico sia azzurro come nei miei sogni.
Spero.

S. King

lunedì 19 marzo 2012

6.58 Salite a bordo...si parte.



come un puntino sulla i (???)

Oh sì...un puntino sulla i, la vita così.
Ehehe, come sarebbe quindi chi vive la vita come un puntino sulla i? Una caccola a parer mio. Oddio come sono poco poetica, chiedo scusa. Ma è che davvero, con tutto l’impegno delle mie sinapsi in cassaintgrazione, non ci riesco cristodiundio, non ci riesco a cogliere la profonda allegoria che si cela dietro siffatta, criptica frase.
Mi sembra una stronzata, a dirla tutta. Con questo non voglio insultare chi l’ha citata rimanendone affascinato, no. Lo invidio pure un pochetto, perchè sì, ci vuole fegato e anche un po’ di romanticismo per farsi cullare da immagini sfumate evocate da frasi prive di senso. E’ un po’ come vedere un film d’amore, è sul lieto fine che ti ricordi improvvisamente che stai vedendo un film, quando quella scossetta al centro del cervello ti sveglia e ti riporta con i piedi per terra nella tua vita del cazzo dove quelle cose non succedono, dove le persone distruggono ogni piccolo regalo che la vita concede loro semplicemente perchè non sanno fare altro che quello.
Ecco, la vita come un puntino sulla i mi sa di insensato come quello che succede nella vita di tutti i giorni, anche tra persone che sembrano dotate di una discreta intelligenza, a dire il vero.
Oddio, ma se è così...se è così allora anche il nonsense del puntino sulla i diventa sensato.
Se la normalità è il capovolgimento di ogni principio di buon senso, allora dire che c’è chi vive come un puntino sulla i potrebbe davvero nascondere un profondo significato allegorico, dietro il niente concettuale che a mala pena lascia una compiutezza formale ad una frase così insulsa.
Alla fine c’hanno ragione loro e non c’ho capito niente io.
Hai capito? Che storia porca zozza...
Ecco che c’era, sono ancora nel paese delle meraviglie di Alice, cammino ancora a testa in giù, credo ancora che le cose belle siano un dono della vita e vadano custodite, vissute, e sia quel che sia.
Sono proprio come un puntino sulla i....una i stampatello però.

venerdì 16 marzo 2012

Bianco

Stanotte i miei sogni si sono cosparsi di neve.
Neve bianca che cadeva silenziosa e dolce su tutto, coprendo con un manto bianco e soffice ogni cosa intorno a me, e forse anche dentro di me.
I miei pensieri sono diventati bianchi e silenziosi, mi hanno lasciata dormire discreti e di nuovo amici, non più ostili, non più pungenti, brucianti come le delusioni cocenti che servono solo a ferire. O forse no, forse non è vero che hanno questo compito. Delusione deriva dal greco e si compone del verbo luo, che significa sciogliere, nello specifico “sciogliere da”. L’idea di sciogliere da qualcosa suggerisce  libertà, libertà ritrovata, dove non ci sono legami fuorvianti, ingannevoli ma resta solo il buono dei sentimenti e delle emozioni che ti concedi di vivere. Quelle non fanno male, scendono dolci come fiocchi di neve e addormentano, accarezzano, liberano appunto.
La neve è silenziosa, le parole perdono corposità e peso, diventano leggere anche loro, volano via. Anche queste che mi sfuggono ancora dalle dita e si posano qui, e mi dicono che oggi il sole che c’è fuori mi va di sentirmelo addosso, a scaldarmi le ossa e il cuore, che sono sempre io e sono sempre qui, non cambio, non mi fermo, non smetto di volerti bene.
E poi, sotto la neve che cade sono accadute cose così belle.

giovedì 15 marzo 2012

Provocatore, tu m'hai provocato...

Il provocatore mi guarda provocatorio e aspetta la mia mossa stizzita.
Io ho deciso di non dargliela vinta, convinta che su questo si giochi tutto il divertimento della serata, e continuo a riporre piatti nella lavastoviglie con fare volutamente privo di logica, soprattutto priva della tua, mio caro Provocatore che mi guardi facendo finta di niente ma stai friggendo dentro la tua camicia senza una piega mentre io incastro forzatamente un piatto nel posto dei bicchieri.
Continua a sciorinare i suoi sproloqui (che io adoro ma che continuerò a ricevere alzando gli occhi al cielo), questa volta ce l’ha con il pregiudizio diffuso sui surgelati, sintomo di qualunquismo e poca informazione, ma forse non è questo che vuole dirmi.
Parla con la consueta enfasi, passeggiando avanti e indietro per la stanza e calpestando la copia (la mia copia, neanche questo è casuale, brutta cozza che non sei altro) del Sole 24 Ore che ho lasciato aperta sul tappeto davanti al divano. Il fatto è che mi piace leggere il giornale così, di solito non ci sono Provocatori in preda alla sindrome del Provocatore isterico a camminarci sopra. Ma, dicevo, lui parla ma vuole dire altro.
E’ questo che mi stizzisce, e mi porta a rincalcare piatti e posate innocenti dentro quella lavastoviglie incredula di tanta abbondanza. E’ che non voglio sentire quello che mi devi dire, Provocatore, non ti voglio sentire, hai capito?
Voglio che continui a parlare di surgelati, e poi di distributori automatici, e poi di ripiani del frigorifero o di quello che caspita partorisce la tua mente provocatrice ma non voglio che tu mi dica quello che stai per dirmi.
 Ma i piatti sono finiti, e anche i bicchieri, il giornale è stropicciato per terra e  i tuoi argomenti hanno esaurito il loro contenuto.
Adesso devo proprio andare via, vero?
Torno a casa, dove la lavastoviglie non se lo ricorda nemmeno com’è fatto un piatto visto che li lavo a mano per sentire l’acqua sulle mani, dove nessuno calpesterà il mio giornale e dove potrò riporre le birre su qualunque ripiano del frigo io voglia.
Solo, ricordati una cosa, Provocatore: adesso non potrai prendertela più con me per la temperatura sbagliata del frigo.
Mettece na pezza.

e stavolta non cancello

Scrivo e cancello, riscrivo, leggo e rimango così, fissa su quelle parole che hanno il sapore amaro della delusione, di uno schiaffo sulla faccia all’improvviso.
Alzo le dita sulla tastiera e resto così, sospesa nella promessa di una frase da scrivere per liberare il cuore e la mente, e poi rinuncio, che tanto nessuno leggerà i fiumi di parole che ho scritto in questi giorni, i rigurgiti di un orgoglio che mi porta ad alzare la testa e andare avanti, lasciandomi tutto alle spalle.
Mi devo forzare a scrivere anche il dispiacere che accompagna la mia volontà, ma voglio farlo, perché non regge l’immagine del supereroe che compie imprese fuori dal comune con la semplicità di un soffio di vento, no. A me pesa come una valigia di piombo, questo dispiacere che accompagna ogni passo, perché alla fine ci ho creduto pure io, e mi è piaciuto farlo.
Intorno a me la stanza è silenziosa oggi, le persone lavorano, Laura che mi conosce e mi legge negli occhi mi scrive mail che hanno il sapore dolce dell’amicizia e dio solo sa quanto ne ho bisogno, io che sembro sempre troppo forte per poter chiedere aiuto.
Cosa sei venuto a fare? A dimostrarmi che non sono invincibile? A mettermi in ginocchio colpendo la mia fiducia in un sentimento pulito? Magari non l’hai fatto apposta, ma era questa la tua missione. Chissà la mia qual’era nella tua vita, forse quella di farti prendere una boccata d’ossigeno prima di rituffarti nella palude dalla quale sei uscito.
Resta il fatto che sono qui, stordita e spaesata come una straniera in un paese lontano, ma visto che sono una viaggiatrice, e non una zingara come piace dire a tanti, dicevo, visto che sono una viaggiatrice imparerò presto la lingua di questo posto nuovo, vestirò i loro abiti e mangerò i loro piatti tradizionali e porterò così nuovi colori in questa giornata, fino a renderla solo la coda di un dispiacere.
Io sono il viaggiatore e viaggio,
viaggio per i bassifondi delle città
guardo le stelle venir fuori dal cielo

mercoledì 14 marzo 2012

IL MOMENTO FATIDICO

Cammini sul bordo del marciapiede, proprio sul bordo, su quella fascia grigio più chiaro che sembra il risvolto cucito da un sarto. Ti piace mettere i piedi uno davanti all’altro, all’interno della fascia grigia, come se ci fosse il vuoto sotto e tu fossi l’acrobata folle in bilico sul mondo. Il mondo, che nelle tue fantasie si staglierebbe tondo sotto il filo che ti sostiene, oltre un’atmosfera densa e irregolare che offusca la vista e isola dai rumori, anche quelli dei pensieri.
Un piede davanti all’altro, lungo il bordo del marciapiede; un gioco che fai da quando eri bambina, solo uno stupido gioco per non sentirti troppo sola accanto a quel genitore che ti cammina davanti distratto, trascinandosi dietro te e le buste della spesa. Allora c’erano le vetrine di via Cola di Rienzo a suggerire scenari per le tue storie, oggi ci sono quelle di Viale Europa a distoglierti da altre storie. Ma sempre lungo lo stesso marciapiede cerchi di infilare i tuoi passi incerti.
Oggi è un giorno di sole, queste giornate  sono calde e anticipano un’estate imminente, almeno così ti auguri, che davvero non ne puoi più di sentire freddo e chiuderti dentro qualcosa. E’ ora di uscire, è ora di raccogliere le risorse e lottare.
Te lo dici guardandoti riflessa in una vetrina di scarpe, e nemmeno la suola rossa delle tue scarpe preferite adesso riesce a distoglierti da questo pensiero. Devi prepararti  a lottare, ricordati che hai un obiettivo e che devi difenderlo.
E’ facile lasciarsi andare quando tutto fila liscio e quello sembra essere solo un problema degli altri. Tu sei stata fortunata, ancora non hai dovuto  affrontare la situazione seriamente, a dire il vero non te ne sei mai dovuta occupare ancora.
Adesso però sai che è iniziato il conto alla rovescia, non puoi negarlo. Ogni mattina, quando ti guardi allo specchio, sai che quello è un giorno in meno al momento fatidico e ti dici che ce la farai, come ce l’hanno fatta tanti prima di te e che questo, sì, questo ti renderà anche più forte.
Adesso si tratta solo di non farsi trovare impreparati su quella che sarà la tonalità più adatta a te, la più naturale possibile. Perchè anche tu ormai, alla soglia dei 38 anni, stai per iniziare a combattere la tua guerra contro i capelli bianchi.

tratto da: "punti di svolta nella vita di un essere quasi umano su un pianeta quasi neta in un momento del piffero stonato con la custodia rotta"

domenica 11 marzo 2012

La classe non è acqua

Il profumo di soffritto si spande per la cucina. Non è un volgare soffritto, è IL soffritto, non fosse altro perchè lo stai cucinando tu, tu che sei così attento ai dettagli, al particolare che fa la differenza e che ci emancipa da facile retrorica spaghettista. Il tuo soffritto, dicevo, unisce un banalissimo spicchio d'aglio a listarelle di spek sapientemente tagliate con opportuna critica (sempre costruttiva) sulla dimensione forse un po' troppo eccessiva. Il tutto, l'aglio e lo spek, unito in un tripudio di olive spremute a freddo dosato con sapiente metodicità perche, ricordatelo Federica, bisogna avere metodo nella vita. Cazzo quanto sono organizzato.
Ora, tesoro, io non so come fare a dirti che ho messo le birre nel cassetto del frigo, quello riservato alla verdura perchè, come mi hai già spiegato, lì c'è una temperatura e un'umidità specifica, adatta alla conservazione delle verdure. Me lo ripeti mentre apri lo sportello del frigo e mi mostri che bello che è, tutto ordinato, tutto disposto secondo una logica di praticità ed estetica che (altro concetto più volte enucleato) l'estetica è importante, fa la differenza, ci vuole cazzo.
Ora mi illumini dicendo che tu le birre le posizioni nel ripiano più basso del frigo perchè lì c'è la temperatura più bassa e allora io mi ricordo di aver messo le birre nel cassetto della verdura perchè quando tu mi hai detto di rimetterle nel posto più in basso nel frigo io ho pensato che più in basso del cassetto delle verdure non c'era niente. E adesso chi te lo spiega?
Ma non serve, il tuo sguardo di sufficiente indulgenza mi dice che hai compreso tutto, a te serve così poco per capire..
Ma sento che il soffritto non soffrigge più, la cena è pronta e io mi avvicino al tavolo, spero di non fare casino versando il vino, buona appetito, Furio.

Manuale di sopravvivenza nel mondo del femminile per ambosessi e cani di piccola taglia - capitolo xyz: c'avessi avuto un bel culo il mondo mi avrebbe sorriso (forse?)

Continuava a specchiarsi da dietro, uno specchietto in mano per vedere la sua immagine di schiena, per intero, davanti allo specchio grande dell’armadio.
Non c’era griffe, non c’era modello, niente che le rimodellasse quel culo sfatto che, a trent’anni appena compiuti, già si ritrovava. E nemmeno da un giorno; era sempre stata una cicciottella, una cicciottella simpatica con quella faccia allegra, gli occhi grandi e il bel sorriso, che con il tempo aveva imparato a modellare in espressioni che dalla tenerezza potessero trasmettere sensualità, qualcosa che agli uomini suggerisse un’attenuante per quel culo.
Non che fosse una cosa enorme eh, che c’è di peggio in giro, e poi a certi maschi piace pure, che la quantità è sempre uno sporco affare a letto, ma fuori, insomma, quando devi vestirti o devi andare in bikini al mare non è semplice, maglie lunghe e un pareo per ogni occasione. Cheppalle. Farebbe prima a mettersi a dieta ma capricciosa com’è non è strutturata per privarsi di niente, vuole tutto lei, ogni riccio un capriccio e quando non lo ottiene si salvi chi può, il grande culo si trasforma in un Katerpillar che non risparmia niente e nessuno si posizioni sulla sua pretenziosa strada.
Le donne grassottelle sono cattive, come quelle basse di De Andrè, con il cuore troppo vicino al buco del culo, il culo appunto, che a queste signorine scatena una sotterranea invidia verso il resto del mondo, espressione diretta della scarsa autostima che non si confesseranno mai, catapultando un’eterna scontentezza ed esigenza di attenzione su ogni essere venga inghiottito dalla loro compulsiva fame di premure, fino a pretendere autentiche prove medievali d’amore, se con la testa di qualcuno su un piatto d’argento tanto meglio, grazie.
Dei vortici bulimici di egoismo che imprigionano, impigliano, lobotomizzano chiunque provi a voler loro bene.
Ma non si può voler bene a questi esseri, perchè loro non se ne vogliono.
Loro si disprezzano, come possono apprezzare qualcuno che ami l’oggetto del loro disprezzo? Non possono farlo e la faranno pagare cara a questi poveri cristi, la loro debolezza.
Ma intanto quel culo sempre lì sta, incorniciato dal vestitino rosa (rosa, pure tu figlia mia che cazzo, un colore più sobrio no eh?) e non c’è verso di nascondere l’emblema della frustrazione al resto del mondo.
Questo è. Si salvi chi può e chi non vuò, cazzi suoi.

Tratto da: “Manuale di sopravvivenza nel mondo del femminile per ambosessi e cani di piccola taglia”

giovedì 16 febbraio 2012

Maria...ti ricordi?

Ho bisogno di un giorno di sole, uno di quelli in cui, dopo un pranzo pigro al solito posto in Trastevere, ce ne andiamo in giro a raccontarci di quanto è bello sentire arrivare una nuova estate.
Maria te lo ricordi?
Tu sola lo sai, tu sola ci sei stata nei miei risvegli smarriti dopo notti infuocate a combattere draghi preistorici, tuoi i piccoli gesti quotidiani che hanno saputo prendersi cura di me con insalate e risate.
I libri di Vezio, Che Guevara, Titty e Darietto lontano.
L'incontro con Stefano, i miei capelli corti e il funerale di mia nonna...le partenze in scooter senza casco e la paura di morire.
Sono solo immagini sconclusionate di una sconclusionata estate che oggi torna a ricordarmi che emanciparsi dal dolore e dalle sue logiche fa male quanto subirlo, ma a differenza del male che avvolge i rapporti malati, da questo si guarisce, si torna a camminare e poi ti può anche accadere di perderti per i vicoli di Roma con il sole che ti scalda le ossa e ti ricorda che sei sopravvissuta, stai bene.
Le sfumature annebbiano la vista, fanno apparire il nero grigio, e il bianco...grigio.
Noi lo sappiamo Maria, da quella sera delle tue lacrime sul giallo della crema pasticcera di Silvia, al blu forte del mare, le insalate colorate e le bouganville viola dei muri di Trastevere. A me piacciono i colori perchè la vita può essere molto più semplice della spazzatura emotiva che ci trasciniamo dietro a causa di rapporti malati. E quindi, fanculo a chi non sa emozionarsi, a chi non ride, a chi non piange, a chi non si innamora, a chi non legge e non ascolta musica. Fanculo al grigio.

mercoledì 1 febbraio 2012

The passenger



I am the passenger and I ride and I ride
I ride through the city's backsides
I see the stars come out of the sky


Ma guarda chi si rivede...ciao tu, come va? Quante notti ci hanno separato, avvolte in sonni ristoratori, anestetici, consolatori e infine troppo leggeri per sostenere una stanchezza che non realizza, se non parzialmente. Ma che rischia di tradire quanto detto quel giorno. Il giorno in cui ho trovato il coraggio di non farmi comprare da quattro soldi sporchi di meschinità e scorrettezza e me ne sono andata al mare, senza sapere che ne sarebbe stato di me, cosa sarebbe accaduto, piena soltanto di una libertà discreta e inevitabile, che illuminava la strada sotto di me come il cielo stellato con i naviganti infiniti.
Una serata piena di stelle sulla spiaggia, con persone chiassose e divertenti, superstiti di un’estate in città alla ricerca di brevi evasioni ai margini del grigio quotidiano.
Io tra di loro, con il viso disteso e poca voglia di parlare. Dentro di me una deflagrazione. L’avevo fatto davvero? Quella cosa impronunciabile che era stato così difficile dapprima anche solo pensare, inesprimibile a parole senza incontrare espressioni di disappunto e preoccupazione in chi mi ascoltava e infine compiuta, che ognuno ha il suo destino e quando la tua strada ti chiama, rispondere è solo questione di tempo.
Sono passati cinque mesi da quel giorno, pieni di cose leggere e ricostituenti. Io ho ricominciato a dormire, a lavorare, a uscire, fare sesso e anche shopping. Ho smesso di scrivere, più o meno, che non si smette di respirare per quanto interessante sia un’apnea.
Una dolce, necessaria deriva.
E adesso, di nuovo non dormo ascoltando i battiti del mio cuore che si sveglia di soprassalto la notte come se la mia gabbia toracica fosse troppo angusta per il suo espandersi generoso, sì generoso, ancora una volta generoso con me. Ci vuole una spinta esagerata per pulsare sangue e rimettere in circolo energie, attivare i sensi, tutti e 6 per fiutare il vento che torna a soffiare gitano portando il mio nome con sè.
Ora, pochi forse sanno, leggendo queste nuove righe anticipatrici, che a quel vento risponderò  ancora una volta “sì”.