giovedì 16 febbraio 2012

Maria...ti ricordi?

Ho bisogno di un giorno di sole, uno di quelli in cui, dopo un pranzo pigro al solito posto in Trastevere, ce ne andiamo in giro a raccontarci di quanto è bello sentire arrivare una nuova estate.
Maria te lo ricordi?
Tu sola lo sai, tu sola ci sei stata nei miei risvegli smarriti dopo notti infuocate a combattere draghi preistorici, tuoi i piccoli gesti quotidiani che hanno saputo prendersi cura di me con insalate e risate.
I libri di Vezio, Che Guevara, Titty e Darietto lontano.
L'incontro con Stefano, i miei capelli corti e il funerale di mia nonna...le partenze in scooter senza casco e la paura di morire.
Sono solo immagini sconclusionate di una sconclusionata estate che oggi torna a ricordarmi che emanciparsi dal dolore e dalle sue logiche fa male quanto subirlo, ma a differenza del male che avvolge i rapporti malati, da questo si guarisce, si torna a camminare e poi ti può anche accadere di perderti per i vicoli di Roma con il sole che ti scalda le ossa e ti ricorda che sei sopravvissuta, stai bene.
Le sfumature annebbiano la vista, fanno apparire il nero grigio, e il bianco...grigio.
Noi lo sappiamo Maria, da quella sera delle tue lacrime sul giallo della crema pasticcera di Silvia, al blu forte del mare, le insalate colorate e le bouganville viola dei muri di Trastevere. A me piacciono i colori perchè la vita può essere molto più semplice della spazzatura emotiva che ci trasciniamo dietro a causa di rapporti malati. E quindi, fanculo a chi non sa emozionarsi, a chi non ride, a chi non piange, a chi non si innamora, a chi non legge e non ascolta musica. Fanculo al grigio.

mercoledì 1 febbraio 2012

The passenger



I am the passenger and I ride and I ride
I ride through the city's backsides
I see the stars come out of the sky


Ma guarda chi si rivede...ciao tu, come va? Quante notti ci hanno separato, avvolte in sonni ristoratori, anestetici, consolatori e infine troppo leggeri per sostenere una stanchezza che non realizza, se non parzialmente. Ma che rischia di tradire quanto detto quel giorno. Il giorno in cui ho trovato il coraggio di non farmi comprare da quattro soldi sporchi di meschinità e scorrettezza e me ne sono andata al mare, senza sapere che ne sarebbe stato di me, cosa sarebbe accaduto, piena soltanto di una libertà discreta e inevitabile, che illuminava la strada sotto di me come il cielo stellato con i naviganti infiniti.
Una serata piena di stelle sulla spiaggia, con persone chiassose e divertenti, superstiti di un’estate in città alla ricerca di brevi evasioni ai margini del grigio quotidiano.
Io tra di loro, con il viso disteso e poca voglia di parlare. Dentro di me una deflagrazione. L’avevo fatto davvero? Quella cosa impronunciabile che era stato così difficile dapprima anche solo pensare, inesprimibile a parole senza incontrare espressioni di disappunto e preoccupazione in chi mi ascoltava e infine compiuta, che ognuno ha il suo destino e quando la tua strada ti chiama, rispondere è solo questione di tempo.
Sono passati cinque mesi da quel giorno, pieni di cose leggere e ricostituenti. Io ho ricominciato a dormire, a lavorare, a uscire, fare sesso e anche shopping. Ho smesso di scrivere, più o meno, che non si smette di respirare per quanto interessante sia un’apnea.
Una dolce, necessaria deriva.
E adesso, di nuovo non dormo ascoltando i battiti del mio cuore che si sveglia di soprassalto la notte come se la mia gabbia toracica fosse troppo angusta per il suo espandersi generoso, sì generoso, ancora una volta generoso con me. Ci vuole una spinta esagerata per pulsare sangue e rimettere in circolo energie, attivare i sensi, tutti e 6 per fiutare il vento che torna a soffiare gitano portando il mio nome con sè.
Ora, pochi forse sanno, leggendo queste nuove righe anticipatrici, che a quel vento risponderò  ancora una volta “sì”.