giovedì 31 maggio 2012

Cheese burger & Pulp Fede

Federica scrive. Scrive tanto Federica. Lo fa quando i pensieri che le frullano nella testa non trovano ordine, non si quietano, non la smettono di tormentarla come un criceto impazzito nella ruota.
E oggi, che dovrei scrivere? Di cosa? Della persona che sono diventata? O di quello che sto mettendo in atto in questi giorni con la lucidità, la metodicità e la spregiudicatezza di un sicario?
Dovrei vergognarmi forse, che fuori di qui c’è chi no n ha un lavoro, chi non ha una casa, chi non ha nemmeno una speranza.
Fuori c’è sempre tutto il contrario di quello che hai tu. Qualcuno ci ha mai fatto caso?
Se sei felice, rifletti che fuori c’è chi soffre. Se soffri consolati perché là fuori si nasconde la tua felicità. Si nasconde la zoccola, e mica si fa trovare facilmente no?
Se hai un lavoro sicuro pensa a chi non ce l’ha e veste i panni del precario a vita.
Se un lavoro non ce l’hai pensa a quelli che ce l’hanno ma sono infelici, malati, stitici e della Lazio (i biancoazzurri non me ne vogliano, mi piace vincere facile pure a me eccheccazzo).
Io oggi penso solo che se sei disposto a sputtanarti davanti a quattro idioti pur di fuggire da un posto, sei autorizzato a ricorrere ad ogni mezzo, lecito e non lecito.
Se qualcuno o qualcosa arriva a renderti lo stereotipo dell’umanità a cui non hai mai sentito di appartenere, quel qualcuno merita il tuo disprezzo, e poi devi fargliela pagare.
Quando ti svegli la mattina e ti senti carico all’idea che stai per fare un altro piccolo passo verso  la porta che ti porterà fuori di lì, non sei tenuto a farti il minimo scrupolo verso tempi e modi.
La legge del taglione. Ti restituisco ciò che mi hai fatto. Con la differenza che io ho un motivo per farlo, tu non ce l’avevi.
Oggi, 31 maggio 2012, non avrei mai creduto che mi avrebbe ingolosito l’idea della vendetta e di un cheese burger del Mac.

lunedì 28 maggio 2012

E ORA....?

C’era sempre il sole, almeno nei ricordi che ne ho.
Il caffè aveva il profumo buono dei risvegli più dolci, quelli che ti accolgono dopo una notte serena. I biscotti del Fornaretto da intingere nel caffè amaro.
Le notti nelle quali mi svegliavo infreddolita e mi avvolgevo nella felpa col cappuccio, rannicchiata nel letto a farmi cullare dalle voci della strada, Trastevere by night.
La giornata fuori dalla finestra era un invito allegro e irresistibile, la città il luogo dove esistere leggera e libera. La wifi rubata a Sacchetti, i primi pensieri buttati giù tra le passeggiate dei turisti.
Camminavo spensierata e carica di problemi. Me li portavo a spasso con disinvoltura cercando soluzioni dove sentivo che le avrei trovate.
Mi muovevo fragile e discreta fra i vicoli di Trastevere rifugiandomi nel pensiero che lì no, non mi avrebbero trovata.
Maria, quante colazioni ti avrò portato? E tu, con quante piccole attenzioni mi hai protetta?
Quante sorprese, quanto coraggio, così tante risate e qualche lacrima, adesso che devo andare fino in fondo.
Già, perché lo sapevo anche allora, quelle erano le basi di una cattedrale che avrei dovuto costruire pezzo per pezzo.
Mi fanno male le mani per la fatica, e il cuore per la solitudine che mi ha colto di sorpresa quando è mancato lui, l’unico che credevo incrollabile vicino a me.
E’ tutto diverso in questi giorni, anche la musica che ascolto è cambiata, è solo mia ormai, suona diversamente, arriva in altri posti e da altri luoghi.
Mi sembra di osservare la mia vita scorrere e mi rendo conto che solo in questo modo ha senso, che lasciarla andare altrove sarebbe stato un suicidio dell’anima.
Stordita, spaventata, stanca…non mi sono sentita mai così viva.

domenica 20 maggio 2012

Deflagrazioni

La ragazza aveva chiuso gli occhi come a contenere l’onda d’urto causata dalla deflagrazione che le aveva chiuso le orecchie, ovattando tutto, sfocando le immagini intorno a lei, isolandola.
Chissà se intorno a lei qualcuno si era reso conto, chissà se le persone avevano avvertito quel cedimento. Una crepa diramata e metastatizzata che non aveva retto a quel peso, alla fine aveva ceduto, smottando la barriera di difese e resistenza che da mesi andava consumandosi, cedendo sempre un po’, logorandosi, fino a scomparire dietro l’ombra diaframmatica di un sorriso sempre meno convincente. Alla fine era successo.
Adesso muoio.
Le mani avevano iniziato a formicolare, e i piedi anche. Nello stomaco un vuoto centripeto che sembrava voler divorare tutto ciò che restava di lei in una salvifica implosione.
Sto morendo.
Esistono davvero due mondi paralleli ignari l’uno dell’altro, perchè quando aveva riaperto gli occhi dopo un istante che le era apparso un’era geologica, era tutto come prima, non un accenno di stupore nelle espressioni di chi era lì con lei, non una preoccupazione, un sospetto, nulla.
Io sto per morire.
Questo pensiero però era lì, e lei avrebbe voluto essere a casa, al sicuro, dove non c’è pericolo, dove nessuno poteva farle male e invece era in mezzo ad una folla di persone che pretendevano allegria, spensieratezza, sorrisi di plastica e battute al fulmicotone.
Ma era stato quando aveva sentito il cuore sfuggirle di mano in un battito impazzito e soffocante che quella mano l’aveva afferrata e trascinata via, un attimo prima che le lacrime schizzassero fuori dagli occhi in un piano a dirotto.
Ti porto in ospedale, hai un attacco di panico.
Non mi porti da nessuna parte, aiutami a respirare invece.
Ecco come vanno le cose, o come sarebbe bello che andassero quando chiedi aiuto a qualcuno, quando hai bisogno di parlare e confrontarti per trovare la strada giusta, che è solo la cosa giusta che stai cercando di fare.
Si ripeteva che doveva solo ritrovare la sua lucidità, che da troppo ormai era l’ansia e la confusione a farla da padrona e a lei questa storia non piaceva affatto.
Sapeva che alla fine si sarebbe stancata di piangere, che anche quello è un lavoro muscolare che trova il suo traguardo e si placa per sfinimento, e lo sfinimento a ben pensarci è una forma di calma, e la calma porta lucidità.
Non c’è un luogo e un momento giusto quando arriva il momento, non c’è nemmeno la persona giusta, nonostante i tuoi tentativi di rivolgerti a quella che credevi in grado di esserti vicino, no. Niente di tutto ciò, fanculo. Ti scoppia tutto in faccia come un foruncolo gravido e tu devi essere pronto a tamponare.
Alla ragazza l’idea del foruncolo gravido aveva strappato un sorriso annacquato da una lacrima sfuggita al fiume di pianto che continuava a bagnarle il viso ed era stato mentre cercava un fazzoletto nella borsa che le sue mani avevano incontrato la copertina dura dell’agenda.
Era stato un anno duro quello che stava per compiersi tra un mese, iniziato con una violenza fisica e proseguito come una montagna russa fra decisioni coraggiose e fortunate, ritorsioni e minacce, speranza, entusiasmo e fiducia, altre violenze sottili e intangibili, paura e tutto, tutto, alla fine aveva cementificato in un enorme, altissimo muro oltre il quale adesso non riusciva ad andare ma davanti al quale non poteva rimanere senza rinunciare al suo cuore, già oltre da un pezzo.
Rivedeva tutto mentre scriveva sui fogli bianchi di carta riciclata, rivedeva quei mesi così bizzarri e difficili e si diceva che le serviva un piano, le servivano azioni, piccoli passi per iniziare a muoversi da adesso, non da domani, perchè se non si rialzava adesso sarebbe stato tutto perduto.
Ecco come aveva preso vita quel semplice elenco di azioni da compiere, ecco come poi erano state messe in ordine di priorità e fattibilità, ecco come erano state tempificate. Ecco la lucidità che le guidava la mano, le organizzava i pensieri.
Un ultimo spazio, per le crocette da mettere accanto ad ogni passo dopo averlo attuato, in quella sequenza e scadenza. Quelle crocette sarebbero state la misura della realizzazione del piano, il piano A, nessun piano B stavolta, ci giochiamo tutto in una botta secca, la partita della vita.
Non aveva pronunciato una parola mentre scriveva, cancellava, spostava, strappava fogli e ricominciava. Lui era rimasto ad osservarla in silenzio, aveva provato a dire qualcosa ma lei sembrava non sentirlo, non c’era nessuno da sentire adesso, scusa tanto.
Alla fine aveva rimesso tutto a posto, l’agenda nella borsa e la penna pure.
L’aria era nuovamente respirabile, i polmoni si gonfiavano di nuovo.
C’era quel senso di tristezza da gestire, sapeva che se lo sarebbe portato dentro ancora per un po’ , ma almeno adesso aveva un piano.
Alzandosi aveva guardato quel tipo visto solo un paio di volte prima di quella sera, con il sorriso simpatico e la camicia sporca delle sue lacrime nere di trucco.
Ciao e grazie, scusami per la camicia, buonanotte.

venerdì 4 maggio 2012

Cinema e pace

 Un vecchio cinema mezzo vuoto, pochi spettatori in sala, un’amica trascinante e un panino da nascondere nella borsa e mangiare nel buio della sala, sprofondata nella poltrona. Un film meraviglioso, o forse solo il film giusto per quella giornata. Una giornata pesante senza dubbio, con un residuo di fastidio per una maleducata aggressione, espressione rozza di una disorganizzazione mentale, che aveva portato con sé una notte tormentata e una giornata che aveva accumulato tensioni. A volte ti senti come una pentola a pressione,  la stessa percezione di qualcosa che ti si gonfia nel petto pronto ad esplodere e alla fine lo fa, esplode e tu senti uscire tutto quello che ti sei trattenuto fino a quel momento, ti sgoli in una inutile difesa del tuo diritto di essere trattato con rispetto, come meriterebbe ogni essere umano.
Ieri è andata più o meno così, ma alla fine, a vincere era stato un senso di avvilimento e sconcerto, e chi ci crede più? E chi ce l’ha la forza per confrontarsi con questi squali, io che voglio solo stare in pace, che voglio agire  correttamente perché so che quello che porto ha valore, non in base all’abito e alla cravatta che metto, men che meno in funzione della ragione sociale in nome di cui opero.
La qualità è una vittima di questo sistema, e la qualità delle persone si misura in funzione di quanto sopperiscono a questo stesso, cannibalesco sistema.
Ieri era questo il mio pensiero.
Ecco come ti ritrovi, dopo una giornata così, in un cinema di Roma, trascinata quasi a forza da lei, con il nostro panino, piccole piccole nella poltrona del cinema, davanti a quel film così bello.
Immagini, paesaggi, ma soprattutto parole che pur venendo da lontano, hanno ancora il sapore attuale della verità. Uno scrittore che osserva il mondo, il suo contraddittorio mondo algerino, con l’innocenza e l’amore incondizionato del bambino che ci è cresciuto e la consapevolezza e la passione strutturata dell’uomo che ci torna in difesa della libertà e della coesistenza.
Tante parole, in radio, in un’aula universitaria, per strada, e una sintesi perfetta nelle parole di quella madre coraggiosa che rifiuta di tornare in Francia con il figlio perché: “la Francia è bella, ma non ci sono gli Arabi”.
Non è così lontano un mondo bello come quello, vive dentro chiunque sappia stare dentro se stesso senza iniziare a tremare come una foglia. E’ alla portata di chiunque abbia il coraggio di amare, spogliando l’amore di componenti velenose che appartengono all’animo umano e alle sue insicurezze, non al sentimento puro. Lo trovi quando hai la delicatezza di fermarti e guardarlo così com’è, il bene e il male, la forza e la paura, la vita e la morte, la Francia e l’Algeria. Sai che non lo perderai più quando ritrovi pace al pensiero del suo bene, quando non hai più bisogno di voltarti indietro per vedere se c’è, quando te lo porti dentro in ogni parte del mondo come una tartaruga fa con la sua casa.
Ecco perché poi ci sono quelle sere, con la luna, in cui tornare a casa con la tua musica nelle orecchie è così dolce…

martedì 1 maggio 2012

Felicità in busta paga

Quanto è importante inseguire la felicità? Sembra la solita frase quasi eterea, scollata dalle necessità pratiche che ogni giorno ci mettono davanti a scelte guidate dalla misura di cosa puoi comprare col denaro ricevuto per venderti.
E i sentimenti? E la ricerca? E la gioia, l’amore, l’amore quello vero, quello che supera il tempo e resiste a tutto, silenzioso e forte.
La vita richiede approfondimento, vivere richiede coraggio ed espressività sempre nuova per comunicare con discrezione e dignità che non sei ancora stanco di esserci, che sei disposto a dare e a darti, a dispetto di tutto.
Non si parla di soldi, è vero.
Mia madre, nella sua lunga carriera professionale, ha guadagnato come un parlamentare. Non è mai stato un problema comprare, pagare multe, risolvere problemi. Lei ci si è drogata con il senso di potere che le dava il denaro, convinta in totale buona fede che quella fosse la chiave per essere felice. E forse, a modo suo, lo è stata anche.
Adesso però, che è in pensione da qualche anno, quella felicità sembra svanita. Non è che non abbia più denaro a disposizione, anzi, è solo che adesso sembra essere rimasto davvero solo quello.
Io non la vedo quasi mai entusiasta, deve accadere qualcosa di davvero grosso per emozionarla, a meno che non si tratti qualcosa nella vita di noi figli e allora è sempre partecipe affettuosa e attenta. Ma della sua di vita che ne ha fatto? Ho paura a chiederglielo e allora me lo chiedo qui, lasciando a diplomatici puntini di sospensione la risposta...
So solo che fino ad un anno fa io ero più o meno come lei. Non sono mai arrivata a guadagnare quanto lei ma tutto ruotava intorno alla carriera che mi avrebbe portato a gonfiare la mia busta paga.
A giugno saranno dodici mesi, e a me sembra di aver arricchito la mia vita come mai prima d’ora.
Il bene per te stesso porta gioia nella tua vita, e la tua vita, quando si sente amata, ti riporta le persone amate, amate da sempre.
Tempo fa scrissi del mio confronto con i suoi occhi, del conflitto fra la sua libertà e la mia frustrazione inconfessata, della deriva inesorabile verso la fine di...noi.
Ma quel post si concludeva con un “forse”, piccolo sintomo di una speranza che aveva iniziato a svegliarmi, che anticipava le scelte che sarebbero seguite e la strada intrapresa con coraggio ieri, orgoglio oggi.
Non so che persona sarò domani, non lo so davvero, ma a te che mi sei vicino e che confidi nelle mie capacità dico, forse non avrò soldi da buttare come facciamo (troppo) spesso, ma ti posso garantire che avrai ancora vicino una persona felice, serena, in pace.
E grazie (anche) a TE.