martedì 23 ottobre 2012

Choosy Fornero

Choosy, non l’avevo colto all’inizio, quello “schizzinosi” balenato su Facebook come l’ennesima battuta di spirito per ironizzare la mattanza Fornero delle nostre illusioni, quelle cose che da anni non si riesce più a chiamare sogni.
Adesso anche choosy, questi giovani, degli schizzinosi che pretendono, dopo anni di costosi studi (ricordando che il sistema universitario italiano è tra i più antieconomici d’Europa) di trovare un impiego (!!!) con uno stipendio che consenta di accedere alle sempre più elitarie soglie del credito, per un mutuo, UN MUTUO assurda pretesa, per comprare (e qui mi sbellico) una casa!!!
Ma che si sono messi in testa questi qui, di rendersi autonomi prima dei trent’anni?
Italia, paese di artisti, navigatori, eroi e bamboccioni. È tradizione, poche storie, no choosy.
Ma di che ci dovremmo accontentare? Di cosa? Datemi tre di punti da mettere in un cazzo di elenco per potermi svegliare la mattina e credere che siamo in un paese civile, in uno stato di diritto, in uno stato di speranza e non in questo ineluttabile stato di depressione.
Cosa c’è nelle nostre mani oltre l’aria e un prurito di rabbia?
E dovremmo accontentarci dice lei, lei parte di quella schiera che non si accontenta di privilegi parlamentari ridotti ad una pensione di solo 6300€ al mese, lordi eh!!! Che ci sono stati i tagli anche lì.
Lei che ignora quanto costi oggi un cappuccio di insalata e che non sospetta certo che se vai la mercato verso l’una risparmi perché ti compri gli avanzi di chi ha potuto pagarlo 1,80 € al Kg.  Lei che ha costretto milioni di pensionati a 500€ al mese a sentirsi dei fortunati rispetto a chi oggi una pensione non ce l’ha, ma nemmeno uno stipendio, e neanche un lavoro perché a uno in età da pensione non se lo carica nessuno.
Lei che invece queste cose le sa, anche se dalla sua auto blu di indifferenza finge di non sapere, si fa colare lacrime di coccodrillo che verranno consolate da uno shopping in centro con suddetta auto blu in doppia file su via del Corso e intreccia altro pelo sullo stomaco.
Così dovremmo fare, eccolo il buon esempio: non siate schizzinosi, imparate da chi si affanna ogni giorno a darvi il buon esempio, calpestando dignità, rispetto, valori. Violentando la Costituzione Italiana che sancisce la nostra Repubblica come fondata sul lavoro. Chiudete gli occhi, tappatevi il naso e mandate giù una medicina amara ma necessaria per rendervi lo stereotipo dell’Italiano che vorrebbero, lobotomizzato vegetale produttore di risorse necessarie al loro sostentamento, alle loro feste e cene a base di cassette di ostriche.
Forza su, non siate choosy, accontentatevi di avere ancora dei genitori disposti e capaci di mantenervi. Non ci pensate, andate in discoteca, ubriacatevi coi soldi di mammà, pretendeteli, picchiateli se necessario in un eccesso di rabbia e frustrazione.
E poi rendete grazie a Donna Fornero e ai suoi preziosi consigli, alle sue illuminate analisi, ai suoi occhi lacrimevoli e commossi, alle sue scarpe di Gucci.

giovedì 19 luglio 2012

FINO A QUI, TUTTO BENE.



http://www.youtube.com/watch?v=3hedFSNtIuM&feature=share

Un risveglio filtrato dalle luci delle serrande abbassate, il letto disfatto e stropicciato come il mio riposo leggero e disordinato.
E’ arrivato il momento di salutarci, perchè ogni viaggio ha senso se c’è una destinazione da raggiungere, altrimenti è un vagabondaggio che può solo portare a perdersi. Io invece avevo bisogno di ritrovarmi, e di non  farlo da sola, dopo che un anno fa qualcuno si era arrogato il diritto violento di tenere la mia vita davanti al grilletto di una pistola. Non ce l’ho fatta a camminare da sola, non mi hanno retto le gambe, non mi sono  bastate le lacrime per riempire il vuoto lasciato da tutto quello che ho tirato fuori in un anno.
Ho avuto bisogno di scrivere e vederlo esterno a me, io riflessa nelle mie stesse parole che hanno raccontato di me e della mia vita, a me spettatrice troppo spesso inconsapevole.
Adesso mi fermo, perchè c’è bisogno di nuovo silenzio. Non più il silenzio di chi non sa parlare, ma il silenzio di chi le parole le ha finite.
Mi riprendo i miei pensieri, i miei sentimenti guariti e un po’ più coraggiosi.
Questo blog finisce qui per quanto riguarda la vita di Federica.
La vita di Federica prosegue off line, le persone le voglio prendere per mano davvero adesso.

lunedì 11 giugno 2012

La vita di Federica

Stasera ti amo davvero...
per quanta pazienza hai avuto con me, e continui ad averne.
Per le infinite sorprese che mi riservi con la generosità di chi ama e sa aspettare.
Perchè hai saputo lasciarmi soffrire e crescere in quel dolore, aspettavi, aspettavi fiduciosa che ce l’avrei fatta.
Ti amo perchè quando mi immergo in te mi sento viva, e piena e non mi stancherei mai di spingere sull’acceleratore per sentire il vento forte sul viso, tra le dita delle mani aperte, fra i capelli. Sì, anche quando parto senza casco.
Perchè hai messo sulla mia strada smarrita le persone giuste, e le cose adatte a “ricompattarmi”, a farmi scoprire la Federica che vuole ancora vivere tutto quello che c’è e dove non c’è è pronta a costruirselo, su misura, a sporcarsi le mani e a piegarsi le gambe per la fatica, in un pianeta sul quale non sono più sola, perchè adesso ho voglia e so accogliere le persone vicino a me.
Ti amo, ti amo tanto, perchè non ho più paura, perchè la paura non mi spaventa più.
Ti voglio con me per la scoperta continua che mi regali ogni giorno, per i miei fratelli e i miei nipoti e l’amore nuovo che hanno acceso in me.
Per la passione smisurata che mi hai insegnato per lui e per la forza di andare oltre, incontro a quello che sarà.
Te lo volevo dire, stasera che mi avvolgi mentre aspetto, nella mia vita stupenda e conquistata che sei, arresa, intensa e sensuale come ti volevo.

Sexy B.

Era stato un gesto deciso, inesorabile. La mano aveva preceduto il pensiero, la pancia la logica: portami a cena, vienimi a prendere. “Vieni e scopami”, questo l’inequivocabile sottotesto del messaggio.
Lui aspettava da tempo quel momento, non sapeva bene come prenderla, lei a volte simpatica, altre scostante, comunque mai del tutto leggibile, con quell’aria che non saprebbe spiegare meglio se non con la parola “altrove”. Adesso era lì, seduta davanti a lui che sgranocchiava una bruschetta al pomodoro mentre lui aveva già divorato anche la pizza, anticipando famelico quel desiderio che ormai gli schizzava fuori dai pori. A volte dover riempire di socialità quegli spazi necessari a giustificare una scopata è più macchinoso di una partita a scacchi. Glielo potresti dire chiaramente: senti io ho una voglia di scoparti che la metà basta, finisci la pizza e andiamocene. Cristo come sarebbe tutto più facile, poi dicono che noi uomini siamo sistemi binari, senza sfumature, ma quanto sarebbe più semplice la vita! Tanto vogliamo tutti e due la stessa cosa che ti credi? Mica stavi qua sennò , te ne stavi con le amiche tue a sorseggiare spritz in qualche localetto del cazzo se volevi chiacchierare, non stavi qui, di fronte a me, con quell’espressione da zoccola. E pensare che ti ho appena fatto il complimento più bello che un uomo possa rivolgere alla propria donna, e tu non lo saprai mai perché se te lo dicessi saresti costretta ad offenderti che la conosciamo entrambi la manfrina femminista.
Pago, mi avvicino e ti prendo, sì ti prendo anche se siamo ancora in mezzo alla gente io adesso voglio sentire la tua pelle sotto le mani. Ti sento morbida, non resistente, sento che cedi e ti abbandoni incurante e divertita dalla mia voracità e dal luogo, le persone. Mi guardi con quegli occhi sfrontati mentre ti bacio che sembri volermi sfidare ma non sai che rischi piccola, tu non lo sai che ti faccio io adesso.
Ti sfondo, giuro che ti sfondo. Sei calda, hai una fica stupenda, mi viene voglia di farti male, di farti urlare dal piacere e dal dolore. Sei una scopata pazzesca, dio che ti faccio, senti quanto è duro, lo senti? Sei tu che me lo fai diventare così, tu, con quella faccia da troia, con questo corpo sensuale, con i tuoi gesti, gli sguardi. Oddio non ci devo pensare, non devo pensare, no, non devo farlo altrimenti vengo, e io non voglio venire perché voglio farti godere ancora, bella quando vieni, vieni ancora, ancora, vieni per me, vieni da me…
Aveva chiuso il libro con un sospiro profondo, si era allungata rilassata sul letto stiracchiandosi dopo le ore passate a studiare prima, distraendosi con quel  racconto di B. dopo. Domani l’esame, avrebbe dovuto riposarsi e farsi una bella dormita ma in realtà, a dirla dritta per dritta, aveva voglia di scopare, senza starci nemmeno troppo a girare intorno.
Il telefono era proprio lì, portami a cena, vienimi a prendere.

martedì 5 giugno 2012

Ammazza che ride

Scrivi quello che ti fa ridere, una paginetta:

Mi fa ridere vedere la faccia convinta di chi tenta ancora di vendermi un sogno, l’incubo da cui mi sto finalmente svegliando.

E’ divertente osservare i rapporti umani ridotti ad un “uozzap”, discorsi interi sulla vita e i sentimenti più profondi appiattiti in pochi caratteri spediti con un beep, spogliati del valore inestimabile di uno sguardo, alleggeriti dell’intensità della voce, anche quando si incrina emozionata.

Mi fa morire dal ridere aver creduto che una persona mi fosse vicina, essere stata convinta che lo sarebbe stata per sempre, e poi scoprire da una sola frase che in realtà non lo è, perchè non ci ha mai capito niente di me.

E’ stupendo notare quanto una persona si senta realizzata in funzione della taglia di pantaloni che porta, o dei muscoli che può lasciar intravedere dietro magliette aderenti come calzini.

Comica è la pretesa di chi pensa che un cellulare debba renderti sempre raggiungibile, neanche fosse un braccialetto elettronico da carcerato.

Fa ridere la guardia che ti sollecita a tenere il tuo cane al guinzaglio perchè sennò sporca quando il parco è popolato di orde di barbari secernenti cartacce e bottiglie vuote. Simpatico è anche il fatto che la paletta per gli escrementi che ti porti sempre dietro sembri trasparente davanti a cotanta ottusità.

Non è male neanche il vigile che ti intima di fermarti mentre passi col giallo al semaforo, seduto al volante della sua auto con il cellulare all’orecchio (senza auricolare ovviamente)

E’ bellissimo che ti sbaglino la busta paga senza saperti dire quando riprenderai i soldi che ti hanno tolto, è da sbellicarsi che subito dopo ti chiedano puntualità sul posto di lavoro.

So un sacco di risate davvero, risate amare, ma risate.

domenica 3 giugno 2012

Acqua e Sapone

Le tende accostate, la luce che si insinua nella stanza proiettando i forellini della serranda sull’armadio davanti al mio letto. Eccola, è quell’inconfondibile atmosfera che solo l’estate riesce a vestire di pigrizia e leggerezza, quando ti rilassi mezza nuda sulle lenzuola fresche lasciando che l’aria ti accarezzi sul letto.
E’ silenziosa la casa, come piace a me quando voglio isolarmi e dedicarmi a Federica.
Sento le voci dei bambini, giù dalla strada, qualche macchina. Se chiudo gli occhi mi accorgo che è tutto come allora, come in quella casa che mi ha cresciuta per 16 anni.
Abitavo in centro, alle porte di Borgo, e i pomeriggi d’estate fluivano lenti e annoiati tra i ghiaccioli del bar e i dischi di mio fratello, ascoltati di nascosto quando lui non era in casa.
Immaginavo la mia vita che ancora doveva venire, ma che si ribellava alle regole a alle costrizioni di mio padre e sfogava in anteprime clandestine tra le mura di casa, con i vestiti di mia madre e i suoi trucchi.
Ricordo il mio viso che sembrava cambiare ogni giorno, qualcosa di diverso nei miei occhi, non avrei mai saputo spiegare cosa ma lo ritrovavo negli sguardi che mi accompagnavano quando percorrevo il tratto di marciapiede sotto casa, quello stesso tratto di strada da una vita, ma che sembrava solo allora accorgersi di me.
Negli anni tutto questo si è perso, rievocato di tanto in tanto dalla canzone degli Stadio, quelle ormai rare volte in cui la radio sembra inciampare in “Acqua e Sapone”. Il ragazzo del negozio di barbiere davanti casa in quel periodo la metteva a tutto volume quando passavo, io mi imbarazzavo e tiravo dritto ma poi arrivavo a casa e la rimettevo, che pensarla per me mi faceva battere il cuore a mille.
Dicevo che negli anni questa sensazione è andata a finire nel cassetto dei ricordi, non l’ho più provata anche se non l’ho mai dimenticata.
Stamattina però mi sono svegliata presto, ho portato Darietto al parco che non erano neanche le 8 e siamo stati lì un’ora, tra i profumi del prato e il cinguettio degli uccelli.
Quando sono tornata a casa ho preparato il caffè, senza fretta, gustando ogni gesto di quella procedura mantrica che Lorenzo in questi giorni mi sta perfezionando in base a standard di eccellenza. Il profumo mi ha avvolto, e quando mi sono portata la tazzina a letto e me la sono gustata sdraiata, senza radio, senza tv, solo al suono di questa domenica di giugno del tutto privata, ho ritrovato lei e Federica.
Le ho ritrovate insieme là dove avevo lasciato entrambe, affacciate alla vita, ansiose di viverla, curiose, eccitate.
E mi voglio regalare questa e tante altre mattine ancora così, a ripensare ai vecchi dischi, a i film di Verdone, al mio sguardo che cambiava, alle mie mani che si muovevano con sicurezza, ai passi decisi, a me, a me e ancora a ME.