mercoledì 31 agosto 2011

Caffè e un biscotto, Darietto e simpatici colloqui

Era un po' che non lo facevo. Era un tipico risveglio trasteverino quello col caffè e un biscotto integrale davanti al mac a scrivere. Quante mattine, con la faccia ancora insonnolita, proprio come adesso, e una giornata intera che si staglia davanti piena di spazio per metterci cose, persone, idee, paure, problemi e soluzioni. Ho passato una delle estati più significative della mia vita così.
L'unica cosa che davvero mi è mancata da morire, nonostante il turbinio di cose, è stata Darietto, il mio cane. Darietto che adesso è qui, sul tappeto ai miei piedi, mi poggia le zampette sulla gamba, mi chiede un biscotto, che i croccantini a colazione gli fanno un po' schifo. Signori si nasce.
Per quasi due mesi Darietto non è stato con me, è rimasto dai miei, in campagna. L'hanno tenuto loro perché hanno capito che non ero in grado di prendermene cura nel modo in cui lui è abituato, con presenza e attenzioni amorevoli e costanti. Ma in quel momento io di presenza e attenzioni non riuscivo ad averne nemmeno per me, completamente frastornata, in balia del ciclone che ha stravolto il mio mondo.
Adesso però è qui con me, di nuovo, da due settimane circa, e lo adoro. Questo canetto è gioia pura, mette in moto la felicità. Anche adesso che siamo tornati a Ciampino, (postaccio orrendo) che tutto si è concluso, anche l'atto finale ha avuto luogo e bisogna ridare senso alle cose.
Settembre sarà questo. Dopo aver distrutto ogni cosa, demolita pezzo per pezzo, adesso ricostruisco, senza fretta, perché devo pensarci bene stavolta, voglio crearmi un posto dove sentirmi a casa. Non importa quanto tempo ci vorrà, voglio sentirmi a casa.
Ma dove eravamo rimasti?
Mi sono dimessa da direttore, ho lasciato l'ufficio e bye bye baby.
In questi giorni sto sostenendo dei colloqui, il primo ieri. Quando ti metti davanti ad un selezionatore dopo essertene andato da un altro posto la cosa che parla di più di te non è il curriculum, o quello che si dice riguardo la tua bravura, no. Parla il fatto che hai lasciato un progetto, un ruolo di responsabilità. Vogliono sapere perché, e non si accontentano di frasi generiche, scavano, vogliono la verità. E tu devi essere bravo a propinargliene una credibile, senza cedimenti, senza paura, una negoziazione sottile in cui il messaggio che deve arrivare dietro le tue educate parole di spiegazione è: ti conviene credermi, dammi retta.
Alla fine è andata così. Tre quarti di colloquio a studiarci, fra domande e risposte, e domande e altre domande per studiare la risposta e alla fine la risposta, quella definitiva, quella convincente. Quella che apre nuove porte.
Staremo a vedere. Fanno il loro lavoro, non posso biasimarli. Posso solo lasciarli fare perché non sanno che non sono loro lo scoglio più grande, che non sono per me i mostri che vorrebbero che vedessi. Ma loro non possono sapere la relazione fra le cose che ho in testa io, nè che questo passaggio è la coda di un'avventura in cui i veri draghi erano molto più grandi, avevano una bocca gigantesca piena di denti acuminati e sputavano fiamme dalla gola. Loro non sanno che per me rappresentano solo una necessaria, e nemmeno troppo fastidiosa trafila per formalizzare e concludere qualcosa di molto, molto più grande.

martedì 30 agosto 2011

Messaggio ai posteri

http://www.youtube.com/watch?v=sbUFNluggsY&feature=share

 Quando stai studiando un qualunque argomento, o considerando una filosofia, chiedi a te stesso soltanto: "quali sono i fatti? Qual'è la verità che sostengono?" Non lasciarti mai sviare dalla verità che vorresti credere, nè da ciò che produrrebbe vantaggi sociali se venisse creduto.


lunedì 29 agosto 2011

dettagli


Entropia

Certe volte la vita si concede delle piccole crudeltà gratuite. Crudeli proprio perchè gratuite. Le lascio scorrere per un puro principio di entropia. Che altrimenti ci sarebbe da incazzarsi di brutto.
E' che non ho voglia di dilungarmi ma ricordatevelo: entropia.
E' la chiave di tutto. Non serve opporsi, si fa solo una fatica bestia e in più si complicano le cose.
Entropia, sta stronza.
Meno male che a quest'ora ci sono le notifiche di Groupon ad allietare la nottata.




sabato 27 agosto 2011

EROTICO: creatività totale

Sì lo so che sei stanca. Ho capito tutto, non c’è bisogno che mi spieghi ancora, te lo sei detto mille volte. Non ti ci ritrovi in questo modo, non fa per te.
Certo che è squallido, secondo il tuo punto di vista, ovvio. Si tratta della tua sensibilità. E’ vero che è difficile da capire, soprattutto se non lo vivi in prima persona, come no.
Ma non fartene un cruccio per questo, mica è una disgrazia eh...eccheccavolo.
Siete solo diverse.
Lei è così, adesso ha scelto di vivere così.
Se non ti sta bene puoi anche non andarci lì da lei, o no? Dove sta scritto che la devi frequentare se quello che fa ti sembra così assurdo.
Da nessuna parte, appunto.
Hai bisogno di andare lì perchè a casa tua non c’è l’ADSL e devi lavorare? Allora adattati, non ci pensare a quello che avviene su quel letto, pensa a lavorare.
Se sedertici ti fa venire i brividi, allora siediti sul divano.
E’ un divano letto perchè vive in un monolocale? Usa una sedia.
Che poi, dai, mica adesso vorrai convincermi che non ci hai mai pensato anche tu?
Io dico che, almeno una volta, alla fine dei suoi racconti, ti sei chiesta come sarebbe se lo facessi pure tu.
Scommetto che ti sei immaginata in una situazione simile, o forse te ne sei costruita una ad hoc, che  la fantasia non ti manca a te, e ti sei lasciata andare. Ti sei anche bagnata.
Dai non arrossire adesso lo sai che a me puoi dirlo, ti sei bagnata. Vero? O magari sei corsa a casa a toccarti, che sei diventata brava adesso, hai capito come ti piace, conosci i punti, ti muovi bene, proprio bene.
Ricordi? All’inizio ti vergognavi, ti sembrava di fare una cosa sporca, non ti piaceva vederti così, cancellavi tutto alla svelta con fastidio, portandoti via anche la scia di quel piacere rubato.
Non come adesso, adesso è diverso. Sei così bella quando rimani distesa abbandonata sul letto, con gli occhi aperti a fissare il vuoto, il respiro affannoso, leggermente sudata, i capelli appiccicati alla fronte e quel sorriso lì, appena accennato sul viso completamente disteso, ancora immerso nelle tue storie. Rubate. Quelle ancora rubate, sì.
Ti piace appropriarti di storie che nessuno conoscerà mai. E’ questa l’essenza della tua sensualità. E’ per questo tuo mistero inaccessibile che le persone si perdono nel tuo sguardo; uomini e donne indistintamente, alla ricerca di una qualche verità, di una risposta. Una chiave per decifrare i tuoi desideri.
Questa è l’unica strada che conosci.
Lei invece le storie le vive e le racconta. E’ questo che ti infastidisce? Che sia tutto così esplicito? Che non ci sia neanche un dettaglio lasciato all’immaginazione, alla fantasia, che sia tutto sovraesposto, nitido, definito. Ti fa paura questo lo so, perchè a te le linee di contorno hanno sempre fatto paura, tu che fuggi dalle definizioni, che ti rintani nei mezzi toni, nella semioscurità, che cerchi la penombra. Tu che però non rinunci a vedere. Anche se spesso, troppo spesso ormai, guardi con gli occhi della tua fantasia.
Come ieri.
Cosa hai pensato quando l’hai visto e lui ti ha agganciato con il suo sguardo scuro, cosa?
Non ti ha lasciato scampo, non c’è stata una scusa, nessun terreno su cui poggiare il piede nel consueto passo indietro. Ti ha inchiodata con le spalle al muro, e ti è piaciuto.
Avresti potuto appellarti a tutte le tue ragioni e filosofie. Non l’hai fatto.
E non l’hai fatto neanche quando si è avvicinato, così vicino, troppo vicino, a pochi centimetri dalle tue labbra, per parlarti e dirti che non ti aveva mai vista a nessuna della sue mostre, che ormai bene o male le facce sono sempre quelle, artisti, critici, curatori, galleristi, amici. Ma questa amica di amici non l’aveva mai vista, se ne sarebbe ricordato.
Com’è stato sentire il cuore che ti schizzava in gola? Hai avuto paura che se ne accorgesse, che scoprisse il tuo rossore in quelle luci soffuse, che vedesse la tua pelle alzarsi e abbassarsi pulsata dal tuo cuore impazzito. Senza che avessi il tempo di costruirti una corazza di disinvoltura, di puntargli gli occhi in faccia, che tu non hai paura.
No. Hai solo potuto avvertire il calore del suo fiato vicino alla tua faccia e ti è piaciuto, tanto. Lo sguardo è andato giù, si è abbassato docilmente come quello di un animale che ammette la resa e mostra la gola, pronto a farsela azzannare. Hai posato i tuoi occhi sul suo di collo, così forte con la pelle olivastra, scura. Avevi sentito che era appena tornato da Santiago, lui, pittore cileno dal nome romantico e intenso, proprio come la sua bocca, con quelle labbra carnose, così sensuali.
Intorno, la sala gremita di persone, avvolti in un chiacchiericcio che solo in quel momento hai percepito come elemento di disturbo. Era stato come una nuvola colorata quando sei arrivata, ti aveva avvolto allegro come uno sciame di farfalle e ti eri fatta trasportare, di quadro in quadro, salutando qualcuno di tanto in tanto, scambiando cenni di intesa con lei che chiacchierava con quel tipo, sbirciando il tavolo del buffet per vedere se le cavallette avevano lasciato qualcosa. E così gli sei praticamente finita tra le braccia. Se avessi inciampato finendo su uno dei suoi quadri ti saresti sentita meno in fallo.
Ma adesso è tardi per pensarci. Adesso che le sue mani si sono infilate sotto la tua camicetta e ti stanno sfiorando il seno, lo stanno stringendo. Adesso che scendono sui fianchi prendendoti in una morsa, contro di lui, dove una prominenza dura ti avverte che ti sei appena trasformata nella sua preda.
Le sue labbra, quelle labbra così belle sono calde, umide, la saliva ha un buon sapore e tu le mordi, le lecchi e le succhi proprio come un animale affamato.
E’ così, sei affamata di quello da cui fuggi ogni giorno.
Lo prendi e lo stringi forte a te, immagini di sentirlo dentro, pregusti il movimento appassionato di quel cileno caliente e già ti manca il respiro all’idea ed è allora che accade quello che non ti aspettavi. Lui si inginocchia, sì, si inginocchia proprio davanti a te, come uno schiavo implorante. Ti solleva la gonna, dolcemente, accarezzandoti le gambe con le sue mani venose di pittore. Senti la sua bocca sulle tue gambe, baci caldi, la lingua che esplora sempre più su e le dita che la accompagnano fino a sfilare gli slip, una gamba, poi l’altra.
Ed è allora che tutto si è confuso, si è perso cullato dal movimento della sua lingua dentro, e fuori, e dentro. Dalle dita che l’accompagnavano, la guidavano, le facevano spazio.
Adesso esplode, hai pensato, adesso mi esplode il cuore in testa. Un’eruzione di piacere trattenuta a stento dalla sua mano sulla tua bocca, i vostri occhi affrontati come i leoni di San Marco che vedi incisi sulla colonna della galleria, in alto. Le sue labbra ancora bagnate di te.
Le gambe e le braccia vuote, la testa vuota, il cuore impazzito, in quel luogo estraneo.
Lo vedi allontanarsi e tutto vacilla intorno a te.
Torni fra la gente, lo sciame di farfalle ha lasciato il posto ad un nugolo composto di persone che sembrano sapere, raggiungi lei che appena ti vede ti travolge di parole, perchè stasera dovrai tornare da sola che lei ha preso un impegno, e sorride ammiccante, sì, proprio lui, quel tipo lì, carino eh? Poi ti racconto tutto.
Poi ti racconterà tutto. E tu continuerai a non capire, a chiederti che senso abbia quel feroce concedersi. Che ognuno deve riprendere il proprio ruolo.
Ti giri e lui è proprio di fronte a te, ti porge un bicchiere di vino, rosso naturalmente.
Come ti chiami? Non ti ho mai vista da queste parti, sei amica di qualcuno?
Ha delle belle labbra, una bella pelle olivastra, deve essere sudamericano, si sente anche dall’accento spagnoleggiante. Sei tu l’artista? E’ tua la mostra vero? Sì, sono i miei quadri questi, benvenuta. Se ti va te li mostro, così ti spiego un po’ di che si tratta.
Il piacere in una storia rubata, sei ancora bagnata, lo guardi, occhi neri e intensi e un’intimità già profanata dalla tua fantasia, la tua storia rubata, ma questa volta, vedrai che finirai col restituirgliela.

       

mercoledì 24 agosto 2011

Il rumore della felicità

 
Un fiocco di neve che volteggia nell'aria, compie le sue piroette con grazia  e precisione, oscilla dolcemente, nell'esitazione di un istante fermato per sempre, e poi si appoggia lieve sull'asfalto. Silenzioso, quasi inosservato. Perfetto.
Io non credevo che questa felicità fosse così.
Avevo immaginato che sarei corsa gridando dritta dritta in mare tutta vestita.
Pensavo che mi sarei ubriacata, avrei riso, detto a tutti quanto ero felice per avercela fatta, per aver sconfitto i mostri, fino all'ultimo, per aver compiuto questa impresa.
E invece no.
C'è un luogo di calma assoluta dentro di me, al centro del caos di 37 anni di vita. Un luogo di immobilità e silenzio dove il cuore pulsa calmo, senza sussulti, dove tutti i rumori sono ovattati, da dove le voci dall'esterno arrivano lontane, i visi esasperati delle persone intorno a me non mi  riguardano.
Li guardo, li ascolto: è una serata di fine agosto e siamo tutti al mare. Sono simpatici gli amici di Maria, vecchi compagni di scuola che hanno accolto anche me come una di loro. Sono davvero simpatici, di quella simpatia genuina che ti strappa vere risate di cuore.
Nessuno sa cosa ho fatto oggi. Una ragazza ha provato a chiedermi cosa faccio nella vita, sono già un paio di volte che me lo chiede ma io eludo la domanda, adesso mi sembra impossibile rispondere. Sì perché dovrei dirle che io nella vita inseguo la felicità, vado a caccia di stelle e affronto i draghi per catturare quelle più splendenti. Stasera le risponderei così e capisco che non sia il caso.
Resto seduta sulla panca di legno del tavolo sulla spiaggia. Di fronte a me ridono, ad alta voce, si raccontano cose, riportano fatti e parole, i toni mi sembrano leggermente sopra le righe a volte. Forse è il vino, forse il caldo, forse solo le maglie delle catene che stringono e ti portano ad agitarti per respirare. Forse questo è solo un momento in cui cercano di non pensare al risveglio di domani, in cui cercano di lasciare da parte i problemi di lavoro o di relazione che comunque invadono i loro discorsi, senza volerlo.
Li guardo, mi bevo il mio di vino, così fresco, e sono felice di essere presente a me stessa, felice dello spazio che occupo, del silenzio discreto con cui esplodo di gioia. Io che li guardo e mi riconosco nei loro discorsi, nelle loro facce, che ricordo quante volte ho avuto bisogno di essere al centro di qualcosa per non dovermi specchiare nella mia insoddisfazione. Io stasera me ne sto all'angolo, perché ho scoperto questa cosa meravigliosa che quando sei davvero felice non lo gridi, non lo sbandieri, non serve e forse non è nemmeno utile che è una cosa solo tua, da gustarti lentamente insieme a questo vino. Ti accorgi che al mondo esiste un posto giusto, perfetto, tagliato su misura in cui puoi stare comoda e raccolta senza urtare nessuno, dove nessuno urta te. Dove puoi accavallare le gambe, portarti il bicchiere alle labbra, fare una battuta che provoca uno scoppio di risa nella gente, sorseggiare il tuo vino e goderti lo spettacolo davanti a te. E nessuno verrà a dirti che lo spettacolo è finito, o che c'è un biglietto da pagare, no.
E' una serata bellissima, sono serena.
Qualcuno fa volare una specie di piccola mongolfiera di carta di riso che non so chi ha regalato a chi e perché. Mi siedo sulla sabbia con Darietto vicino e la guardiamo gonfiarsi e sollevarsi in aria. Qualcuno grida: "Esprimete un desiderio presto!" La vedo sollevarsi, prendere il volo e diventare sempre più piccola, fino a diventare un puntino luminoso che sembra una stella, poi scompare.
Io il mio pensiero l'ho sussurrato piano. Le stelle lo conoscono già, è un commosso grazie, dal profondo del mio cuore.

lunedì 22 agosto 2011

Il punto della situazione


I giorni sono passati, di cose ne sono accadute tante e di parole ne scorrono a fiumi.
Forse non guasta un piccolo punto della situazione.
Punto della situazione è una di quelle terminologie che odio (insieme ad arsura, valore aggiunto e bomboniera riferito ad un'abitazione) perché mi ricordano inutili e lunghe riunioni in ufficio a parlare di niente, ma necessarie a giustificare persone e tempo impiegati in azienda.
Cercherò quindi di rendere questo punto della situazione qualcosa di utile.
Mi soffermerei innanzitutto sul perché esiste questo, che vorrei ricordare, non è un blog, ma un contenitore di idee che solo apparentemente possono non avere senso, in realtà ce l'hanno, eccome.
Alcuni post fanno parte di quello che sarà un libro, sono stralci lanciati nel web per condividere un viaggio e sentire se regala a tutti lo stesso sapore.
Servono anche per farvi conoscere qualcosa di più di Federica e del suo viaggio.
Il viaggio del cambiamento più difficile ed eccitante della vita. Quello che per anni hai solo potuto immaginare nei tuoi sogni più azzardati, quelli che ti lasciano un languore proprio alla bocca dello stomaco, perché sai che non potranno mai entrare nella sfera del realizzabile.
Un cambiamento che se da una parte penso che vorrebbe la maggior parte delle persone, dall'altra non credevo che fossero così in tanti ad aver messo in atto.
Sto parlando di un semplicissimo cambio di lavoro. Anzi no, mi correggo. Parlo di un cambio di modo di lavorare, di concepire il lavoro, il suo rapporto con il tempo e la vita.
Un processo lancinante quando vivi imprigionato in quella gabbia dorata che è un contratto full time a tempo indeterminato, che solo oggi mi rendo conto essere pari ad un ergastolo; fine pena: mai.
Lo insegui per una vita, pensa te.
La società, i media, i politici (quelli che si spacciano come tali) i genitori, tutti ti convincono che se non ce l'hai sei un emarginato, una zavorra sociale.
E così tu sei lì che implori aziende di incarcerarti e buttare via la chiave, che per pane e acqua tu sei pronto a starci tutta la vita a fare qualunque cosa, non importa se hai studiato anni per realizzare una passione, fa niente, facciamo tutto, siamo pronti.
O almeno così crediamo.
A me è successo questo, ma fortunatamente poi è successo anche altro.
Spesso ci vuole un evento esterno  e aleatorio per rimettere tutto in gioco.
Ci vuole l'evento e tu che lo acchiappi al volo e ne cavalchi l'onda, che prima o poi tanto devi buttarti se vuoi metterti in salvo.
Il  mio è stata la rapina del 16 giugno.
Sono riuscita a ricavarmi il tempo di cui avevo bisogno per fare chiarezza nella mia vita e gettare le basi del mio futuro. Per condividere un progetto con le persone che vorrei ne facessero parte e aprirmi una strada verso il mio orizzonte di sempre.
A breve l'ultimo passo: la mia misura di downshifting, la richiesta di un part-time verticale per poter compiere un altro passo in sicurezza, salvaguardando il valore del mio tempo che non voglio più prostituire e mantenendo insieme la mia indipendenza.
L'ultimo passo non sarà semplice. Devono realizzarsi due cambiamenti: uno nella posizione lavorativa (se non faccio più il Direttore cosa mi metteranno a fare?) e uno nella forma del contratto di lavoro (da full a part time, con modalità e durata da concordare). Il tutto avverrà con estrema probabilità in un clima di forte ostilità nei miei confronti, perché è chiaro che il tuo padrone non vede di buon grado che tu, gallina dalle uova d'oro, smetta di covare.
Una volta che il passo lo fai e poi ti guardi indietro, è proprio come dicono, ti sembra tutto lontano, quasi non riesci a credere di averci messo tanto, di aver fatto tanta fatica a decidere, di aver provato tutti quei sensi di colpa, tutta quella paura, quell'ansia, di non aver dormito la notte…eppure è stato proprio così, e sono contenta di averlo scritto perché altrimenti l'avrei dimenticato e invece va ricordato, perché sia patrimonio di tutti, di chiunque voglia darsi l'opportunità di credere che essere felici sia possibile.
Domani il grande passo, domani mattina. Sono nervosa, stanca, ma per fortuna ho un pacchetto pieno di sigarette e la mia voluta solitudine di questa sera.
Fine del punto della situazione.
Prossimi passi: avanti tutta.
Umore: buono.
Vento: per ora in poppa, prepararsi alla bolina, ma siamo armati fino ai denti.
Saluti a tutti

venerdì 19 agosto 2011

Torniamo a noi

Questi giorni  stanno trascorrendo strani. Lontana da Roma, è sembrato allontanarsi tutto. Sembrato.
Ma non ho dimenticato mai, nemmeno per un minuto, cosa mi aspetta al mio ritorno.
Ho voglia di chiudere questa storia, ormai non mi manca niente per farlo: le idee sono chiare, le energie ci sono, sono anche piuttosto stanca di una situazione lasciata in sospeso.
Ricevo telefonate e messaggi di chi si aspetta che torni, di chi mi aspetta, mi incoraggia a riprendere in mano una situazione in cui si sentono lasciati soli in attesa di me che torni nuovamente a guidarli.
Se sono stati attenti hanno imparato. Finchè sono stata al loro fianco ho cercato in ogni modo di renderli indipendenti, di trasmettergli idee al posto di procedure, di condividere con loro lo spirito con cui lavoro, non semplici direttive su cosa fare e come.
Se mi hanno ascoltato, questo sarà il banco di prova.
Io non ho rimpianti, ho dato loro tutto come faccio sempre, in modo onesto e trasparente.
Forse alcune volte mi hanno preso per una pazza idealista, adesso avranno la prova che non è così, che dicevo sul serio.
Le cose, anche quelle che sembrano le più stantie, possono essere cambiate. Cambiano nel momento stesso in cui tu inizi a a guardarle in modo diverso, modificandone la percezione tua e di chi viene a contatto con il tuo modo di gestirle.
Sono soddisfatta del lavoro che ho fatto. Qualcosa avrei potuto farla meglio probabilmente, ma so che ho fatto quello che in quel momento era il mio meglio, senza risparmiarmi.
Ho una incontenibile voglia di andare avanti, per questo adesso sento che devo tornare e mettere la parola fine a tutto quello che ho comunque già lasciato.
Sì ho paura, ma senza la paura non esisterebbe il coraggio e se è vero questo, ho un coraggio da leoni.

mercoledì 17 agosto 2011

Io


Esercizi di stile: dialogo tra estranei

Non è molto freddo, ma dovrebbe dissetarti. Bevi, da queste parti ne fanno largo uso, dicono che reidrati l’organismo e combatta il caldo.

Queste maledette strade, non capisco cosa aspettino per rimetterle a posto, con tutti i soldi che ci tolgono ogni anno, dovrebbero essere lisce e dritte come appena asfaltate, e invece. E’ buono, come hai detto che si chiama?

Lo so, ormai ci siamo abituati, è per questo che non cambio macchina, finisco di distruggere le sospensioni di questa, poi si vedrà.
Non so ripeterti il nome con cui lo chiamano da queste parti, io lo chiamo tè, ma in effetti è un’altra cosa. Sì è buono.

Sono capitato qui per caso.

Lo so.

Ma sono felice di vederti, ti ho pensato spesso, mi sono chiesto molte volte come stessi.

Sono sempre io.

Sei sempre tu?

Forse no, hai ragione, ma non guardarmi così. Lo sai tutto quello che è successo, sai quante cose sono accadute, conosci il mio modo di vivere le cose poi, come potrei...

Non potresti infatti...

Solo un pazzo lascia scorrere la vita senza lasciarsi toccare. E’ come l’acqua di un fiume, ne disegna il letto, le curve.

Sono belle le tue curve, sei sempre bella.

Sono solo felice.

Me l’avevano detto che avevi trovato la tua strada, avevo voglia di vederti, di guardarti negli occhi dopo tutto questo tempo.

Alcune cose non cambiano.

Mi chiedevo se la tua pelle fosse ancora morbida e profumata, come ricordo.

Scoprilo da solo questo.
Te l’ho detto, non tutto cambia.

Tu sei pericolosa.

E tu sei ancora l’unico uomo che voglia amare.

Ho un’altra storia adesso.

Ne avrai almeno due di storie, se ricordo bene chi sei. Lo sai che non mi spaventa.


Io non ho mai voluto farti del male.

L’amore si impara. Si ama una volta, ed è per sempre. Io lo sapevo, ma dovevo lasciarti il tempo di capirlo da solo.

Sono stanco, vieni qui, lasciati abbracciare.

Tieni un cuscino, staremo più comodi.

Ho un po’ di tempo ancora, poi dovrò ripartire.

Ti aspettano lo so.

Adesso però ci sei tu.

Angelo

Se per una volta ti mostrassi
se potessi donarmi uno sguardo da custodire
io non ti inseguirei così, solo per dirti grazie.
Angelo invisibile e caldo, la tua mano sulla mia testa a salvarmi.
Ancora.

Ma nemmeno a te è concesso
vivere oltre questo silenzio.
A perdonarci il tuo amore per me, muto,
e tu amorevole mi abbracci senza peccato.

Un brivido leggero, solo, annuncia la tua presenza
quando crollo esausta sul letto disfatto.
E allora so che comprendi il languore di un amore negato.
Tu che desideri, sfiorandomi, lo stesso contatto proibito, cuore imprigionato.

martedì 16 agosto 2011

Cristiano sulle nuvole

Dondola, solo solo sul dondolo. A vederlo da qui sembra il Piccolo Principe, proprio lui, magrolino con i capelli biondi con la frangetta ad incorniciargli il visetto magro e simpatico, che ti chiedi sempre se quegli occhiali non siano troppo grandi per lui.
Ma è quando si apre quel suo sorrisetto furbo e sdentato che ti conquista.
Dondola, sul dondolo senza cuscini, seduto a diretto contatto con le molle che gli lasceranno sicuramente il segno rosso sulle gambe. Sfoglia un libro pieno di figure, a vederlo da qui, il balconcino al primo piano, sembrano navi, modelli di navi. Non faccio fatica ad immaginare la sua mente volare via, cullato dal dondolio, a navigare su mari in tempesta, lui coraggioso capitano di un equipaggio di pirati alla conquista dei mari inesplorati, pronti all’attacco, al saccheggio.
Il suo pupazzo preferito, un grazioso peluche che ha da quando è piccolo, è diventato un pericoloso killer, Cristiano lo ha addestrato ad attaccare per uccidere.
Gira per il grande giardino, segue i due vecchi cani che abitano questa casa, si rifugia in una piccola casetta di legno che suo padre gli ha costruito, dove è stato predisposto un tappetino da campeggio con un sacco a pelo, un lettore cd con una ciotola. Una ciotola sì, perchè se metti gli auricolari nella ciotola la musica rimbomba e allora la puoi sentire anche senza metterti gli auricolari nelle orecchie, come se avessi un piccolo impianto stereo. E’ così fiero quando me lo mostra, mentre mi dice che lui lì ci dorme qualche volta, che è come fare campeggio. Sulla porta della casetta, che lui chiama “il suo alloggio”, c’è appeso il numero civico 2.
E’ lì da solo, continua a dondolarsi, ogni tanto guarda su, nella mia direzione, quasi a volersi tenere compagnia con la mia presenza silenziosa, quassù.
E’ molto piacevole parlare con lui, sentirlo raccontare le sue storie, ascoltare le sue fantasie, anche quando la voce gli si interrompe, inciampando su qualche parola che non capisci perchè non riesca a pronunciare fluidamente. Sembra stare altrove, sembra che questa grande casa divisa in appartamenti, ciascuno dei quali ospita persone e storie da ogni parte d’Europa, sia per lui nient’altro che lo scenario delle sue battaglie, delle sue conquiste spaziali, delle sue avventure incredibili con chissà quali supereroi a combattere al suo fianco.
Cristiano, portami con te, mi porti con te? Facciamo che io sono una principessa imprigionata da mostri cattivi e tu l’eroe che mi salverà?
Adesso ha preso un lungo bastone di legno e lo punta a terra per darsi la spinta e dondolarsi di più, più veloce, su quel dondolo sgangherato.
Tutto qui è silenzioso e lento, sembra che anche un respiro profondo debba disturbare la quiete che regna sovrana.
Ma Cristiano chissà dov’è adesso, chissà cosa vedono i suoi occhi di bambino dietro quegli occhiali spessi, Cristiano con i calzoncini corti e le gambette magre, i calzini corti e le Crocs.
Ieri mi ha detto che non ama andare a scuola, che per lui dovrebbe esistere solo l’intervallo, al massimo scienze e informatica, che almeno devi solo stare seduto ad un tavolo davanti al pc.
Eppure non è un bambino pigro, tantomeno svogliato, no non lo è affatto.
E’ un bambino un po’ solo e pieno di fantasia, dolce e simpatico, sveglio, parecchio sveglio.
Questo luogo protegge la sue fantasia al punto da non fargli mancare amichetti o play station, la casa è piena di giocattoli, davvero sembra il paese dei balocchi ma lui sembra non vederli. Lui ha scoperto che con una ciotola e un lettore cd puoi crearti il tuo piccolo impianto stereo nella tua piccola casa di legno con il numero civico 2 vicino alla porta.
Lo guardo dondolarsi, lui guarda me e mi sorride.
Continuo a cercare di respingere questo senso di malinconia che sento in fondo al cuore, ma non posso. Vorrei che Cristiano restasse sempre così, mentre so che presto la sua fantasia innocente verrà sporcata e imbrigliata da una società spietata, molto più dura e crudele dei mostri che adesso combatte dal suo dondolo scassato.
Sii forte Cristiano, distruggili tutti, vola in alto e vienimi a salvare, portami con te e voliamo liberi a fare capriole fra le stelle.

lunedì 15 agosto 2011

Francesca

Non è iniziata subito, è un'amicizia insolita direi. Sì, perché oggi posso parlarne chiamandola a pieno titolo amicizia. Sono quasi 24 ore che ci penso, da quando ieri mi è arrivata quella mail, quel fiume di parole che mi hanno aiutato a capire tante cose di lei. E a volerle ancora più bene. Vedi che a volte dei semplici regali, magari con tastiera retroilluminata, possono rivelarsi molto utili nel buio consolatorio della notte, quando, quasi come nel segreto di un confessionale, si apre finalmente il cuore e si lascia uscire tutto.
A me ieri mattina è arrivato un lenzuolo di parole, fatto di pensieri, racconti, emozioni, posizioni riguardo certi argomenti, mi si è svelata una persona nella sua interezza, dando una spiegazione fondata ad una simpatia istintiva nata due anni fa,quando ho conosciuto Francesca a Palmi, in Calabria. Ci siamo viste la prima volta a giugno, ma solo al mio ritorno a Palmi, ad agosto, abbiamo iniziato a prenderci realmente in simpatia, punzecchiandoci di tanto in tanto, cercandoci con pretesti banali solo per farci quattro risate. Francesca lavorava in pizzeria e non era raro vederla ritornare la sera tardi con dei cartoni di pizza per noi che bivaccano in veranda. Quando così non era, poteva capitare che avessimo la faccia tosta di chiederle di tornare a prendercela un po' di pizza, e lei risaliva sullo scooter e provvedeva a sfamare le belve.
Mi sono sentita a mio agio con lei. A dire il vero mi sentivo a mio agio con tutti, ma lei mi stava particolarmente simpatica. Sarà perché la vedevo così giovane, lanciata verso un futuro da costruire con l'entusiasmo dei vent'anni, mi immedesimavo in quella ragazza che si affacciava alla vita carica di sogni e mi ricordava me alla sua età (mi sento nonna Federica adesso), fatto sta che Francesca mi è entrata nel cuore.
Mi è venuta a trovare spesso Francesca quando "saliva" a Roma, anche brevi incontri solo per un caffè volante ma ci siamo viste spesso, a dimostrazione di un affetto che non si interrompeva per la fine di una storia, ma che viveva di suo, un affetto prezioso da parte sua e di tutta la famiglia che mi ha aiutato a ritrovare il mio valore in un momento in cui di valore me ne sono dato ben poco.
Ripenso alla mail di ieri, ero seduta proprio qui, a questo stesso tavolo del solito bar di Piazza San Cosimato, dove peraltro ci siamo viste l'ultima volta, una settimana fa circa.
Quel giorno le ho raccontato tutto.
Dalla rapina a oggi, tutto.
Lei ha ascoltato ogni mia parola con molta attenzione, aveva già letto il blog, aveva più o meno idea di cosa sto facendo, mi ha fatto molte domande, ha acquisito altri particolari e ha messo insieme tutti i pezzi, componendo il puzzle.
Non ha voluto dirmi subito cosa ne pensasse. Si è presa del tempo per ragionare, per metabolizzare.
Ieri ha condiviso la sua idea e molto altro con me.
Quel molto altro è stato un regalo bellissimo e prezioso, perché ci ha avvicinate ancora e mi ha dato l'ennesima dimostrazione del sommerso meraviglioso che alberga dentro le persone e di quanto un giro virtuoso di amore verso la vita possa portarlo alla luce.
Le persone sono delle scatole cinesi, tanti cassetti nascosti pieni di tesori sotto chiave.
La chiave ce l'hai tu, non ce l'hanno nemmeno loro, no, ce l'hai tu. La usi ogni volta che ti apri all'ascolto, all'accettazione totale di chi ti è di fronte per come è, non per come dovrebbe essere o vorresti che fosse. La vera ricchezza di questa vita è saper vedere le persone per quello che hanno dentro e che vogliono condividere con te, per i momenti che ti regalano, per le emozioni che ti lasciano, per i ricordi che vi legano.
Questo funziona, e funziona bene.
Non accade spesso, soprattutto quando si cerca di dare a tutti i costi un nome alle cose, caricandole di aspettative, di pretese, spogliandole della genuinità pura che rende un momento perfetto.
Io di momenti perfetti ultimamente ne sto vivendo parecchi, molti da sola, qualcuno con le persone che amo.
Ma oggi la protagonista assoluta di questo spazio è Francesca, il suo cammino coraggioso e pulito, il suo cuore fiero e schietto, la donna meravigliosa che si prepara a diventare.

domenica 14 agosto 2011

Tempo da riempire

Ho sempre avuto paura del tempo.
Mi sembrava un contenitore di gomma, una di quelle cose strane che più le riempi e più si allargano, come se fosse un paio di misure troppo grande per me.
Per questo mi sono sentita una da azienda, da contratto full time, full energie, full life, full tutto.
L'idea che qualcuno mi aiutasse a riempire questo sacco enorme mi ha confortato, mi ha sollevato dalla responsabilità di doverlo fare da sola, che tanto non sarei mai stata capace io, che potevo metterci, i miei pochi desideri, i miei pochi bisogni, la mia poca voglia.
Mi prenderei a schiaffi.
Cosa mi è successo?
Che mi hanno fatto?
Oggi che non riesco a finire una serata con gli amici per tornare a casa a leggere quella cosa interrotta che continua a girarmi in testa, che devo scrivere prima che mi sfugga il pensiero, che mi sembra che il tempo non basti, che è già ora di cena, è già notte, chissenefrega che è notte chi l'ha detto che bisogna dormire.
Tempo mai stato così pieno da quando me ne sono riappropriata, no sbaglio: da quando me ne sono appropriata.
La risorsa più potente, capace di non farmi mancare una vacanza in quest'estate di rivoluzione, di non farmi mancare soldi, vestiti, lusso e frivolezze alle quali ero abituata, da cui credevo di dipendere, uno status dal quale non si scende, si può solo salire; questo mi dicevo per anestetizzarmi ancora.
Metteteci una pezza: le persone libere non si comprano, perché non si vendono.
L'isolamento è il premio.
E' vero, lo è.
Guarda qua, sono le 11,22 di questa domenica 14 agosto, Roma invasa dai turisti che fanno colazione a questo stesso mio bar, pronti per lanciarsi nella visita stordita della mia amata città semideserta, io a scrivere, qui seduta, incurante di tutto.
Questo per me significa essere felici.
Se mi fulminasse un colpo secco adesso, proprio qui, con le mani sulla tastiera del mac, la mia sarebbe stata una vita degna di essere vissuta.
Facciamoci due conti.

sabato 13 agosto 2011

SOLTANTO TE

Ritorni, soste di pensiero fisse, immobili.
Inutili.
Aspetti, sospetti, rifiuti e sorrisi maledetti.
Prendere lasciare trattenere mollare strattonare, povero lui.
La bustina tinge l'acqua di verde, infuso di veleno per il cuore, dal buon sapore.
E' soltanto te.

lunedì 8 agosto 2011

Settembre 2010, era una favola. Agosto 2011: si rivela una profezia.

    • Favola semiseria in divenire per un uomo semiserio in divenire (titolo provvisorio)
      C’era una volta (incipit d’obbligo di ogni favola che si rispetti direi) un grande e colorato dinosauro, con due ali enormi, leggere ma resistenti e tutte colorate e iridescenti che quando il dinosauro (che per comodità e simpatia chiameremo Dino) si stagliava contro il sole, riflettevano come un prisma tutti i colori dell’arcobaleno formando meravigliosi disegni sulle nuvole.
      Sicuramente tu, piccolo Sendero, ora ti chiederai: “ma che ci faceva un dinosauro a volare nel cielo così pesante com’è e poi, i dinosauri non sono estinti?”
      Ottima domanda piccolo mio, si vede che sei ben piantato per terra tu, e del resto è proprio per te questa favola, la favola del dinosauro che nessuno poteva vedere, o meglio, non voleva vedere perché gli occhi non vedono ciò che la mente si nega e siccome ci hanno insegnato che i dinosauri sono estinti, che sono mastodontici e pesanti e che le cose pesanti non volano, allora il nostro Dino aveva deciso che tutto questo non sarebbe stato un suo problema , che non si sarebbe fatto schiacciare dal grigio degli uomini che non sanno più alzare gli occhi al cielo e vedere i colori, che anzi avrebbe fatto credere loro quello che volevano, lasciandoli collezionare fossili nei musei e recitando la parte del colosso estinto ad uso e consumo della non-fantasia, quella cosa che chiamano scienza.
      Questa decisone, Dino decise di chiamarla libertà, e decise ancora che la libertà era l’unica cosa che poteva renderlo felice, perché gli permetteva di volare spensierato nel cielo, con la sua vela colorata, le sue ali enormi che volteggiavano nell’aria portate dal vento…solo, perché quando sei libero sei solo, nel senso più felice ed inesplorato del termine.
      Passarono così giorni, mesi anni…secoli a questo punto (tanto i dinosauri abbiamo scoperto che non si estinguono no?) e ogni volta che Dino guardava giù rimaneva stupito da tutte le cose che gli uomini erano stati capaci di inventare, ma non riusciva a spiegarsi il perché di quelle facce sempre tristi, grigie, con lo sguardo basso e fisso sui problemi, sulle procedure, le aspettative,, quelle strane cose che chiamano “sfide” per farsele suonare meglio, per ungere di vasellina quell’enorme palo piantato nel c… oh Sendero questa favola va rivista e corretta prima di potertela leggere piccolo eh?
      Vabbè, torniamo a noi e a Dino che, volando volando, provava dispiacere per quella gente prigioniera che sembrava proprio non voler vedere i colori del mondo, e sempre più spesso si ritrovava a sbirciare l’umanità in cerca di un perché che desse senso a quella vita….
      Finchè…
      La vide.
      La ragazza nel cubo giallo e blu.
      Ma di questo, piccolo Sendero, parleremo la prossima volta, quando la favola tornerà a cercare orecchie che la catturino…
  • Sendero Luminoso
    23 settembre 2010
    Sendero Luminoso
    • il cubo giallo e blu comparve nella felice solitudine di Dino una mattina di autunno, come al solito egli non aveva perso occasione per dispiegare le ali e infatti stava volando su un mare in tempesta perchè nella sua mente non vedeva ne posto ne giorno migliore per vivere...ed il cubo apparve dal nulla sulla spiaggia deserta sferzata dal freddo vento di maestrale che quel giorno soffiava forte.
      "perchè ripiegare le ali" pensò.....e continuò a farsi travolgere dalle onde che con il passare del tempo si facevano sempre più grandi e impetuose.
      "il vento, il mare, la libertà nel senso più puro del termine" pensava forte il mastodonte come se con questo volesse scacciare dalla sua mente quel cubo che aspettava silenzioso sulla spiaggia attirando inevitabilmente la sua attenzione... la curiosità ebbe il sopravvento e Dino si avvicinò circospetto al parallelepipedo che tanto sospettosamente aveva evitato...lasciò le ali aperte nell'avvicinarsi come chi prudentemente porta con se la possibilità di volare via il più in fretta possibile, ma avvicinatosi scoprì che in prossimità del cubo il vento si era affievolito e tenue poteva sentire il calore dallo stesso emanato, ed è qui che si accorse che le pareti del cubo che da lontano sembravano gialle e blu in realtà lasciavano trasparire una figura non perfettamente distinguibile....

      bellissima Fede sono commosso.....le mie orecchie sono sempre a caccia di queste emozioni. Sei grande!!!!!
  • Federica Albanesi
    24 settembre 2010
    Federica Albanesi
    • Ma fu solo quando la luce calda del tramonto definì più nitidamente i contorni delle ombre che Dino riuscì a cogliere una sagoma femminile, i capelli lunghi che le scivolavano dalle spalle mentre, sospesa nell’aria, sembrava addormentata su una nuvola all’interno del cubo. Dino allora si avvicinò piano, appoggiò il grosso muso preistorico al cubo e vide che sì., proprio di una ragazza si trattava, una strana ragazza che sembrava avere mille anni ma che nel suo sonno angelico conservava intatto un che da bambina.
      Il nostro dinosauro rimase a guardia del sonno di quello strano essere tutta la notte, rimase sempre vigile e di tanto in tanto si affacciava a controllare che tutto fosse tranquillo, che niente turbasse quella quiete. A dire il vero non si sentiva proprio a suo agio, chi era? L’aveva già vista? Aveva già vegliato il suo sonno?
      Tutto questo non gli avrebbe tolto le forze per volare alto l’indomani sopra le onde, oltre le nuvole?
      Lo so, mio piccolo Sendero, che ora starai pensando che questa è la solita, stucchevole storiella romantica in cui ci si annulla per una stupidissima reazione chimica del tutto equivalente ad una scorpacciata di nutella...ma ricordati che è una favola semiseria, che è la tua favola e che si tratta sempre di libertà….
      Ma vedo che i tuoi occhi stasera sono stanchi, e che sei già sulle ali colorate di Dino pronto a librarti nel cielo stellato…
  • Federica Albanesi
    26 settembre 2010
    Federica Albanesi
    • I giorni passarono veloci quando, superato lo stupore misto a timore di quello strano oggetto spiaggiato, Dino riprese a volteggiare libero e spensierato nei suoi cieli, continuando ad inventarsi sempre nuove figure acrobatiche, sfidando le leggi della gravità e della dinamica e divertendosi come un matto. Certi dinosauri hanno questa caratteristica poco studiata infatti, essi producono una strana sostanza che provoca energia positiva, che a volte provoca addirittura fragorose risate e che viene stimolata proprio da queste, autoalimentandosi in sostanza di felicità.
      Ogni tanto il mastodonte guardava giù, dove il cubo era ormai piazzato da una settimana circa e nel quale si intravedeva quella strana figura a sua volta sempre piuttosto indaffarata. Ora parlava con persone, ora era sommersa da libri, altre volte la si vedeva scrivere per ore e alte ancora aveva a che fare con persone, sembrava cercasse di aiutarle a fare qualcosa, e sembrava anche impegnarsi molto nel farlo…
      Soltanto la sera, quando il sole si coricava sull’orizzonte e le stelle alleviavano dolci l’oscurità della notte, la potevi vedere riposare, sempre sospesa a mezz’aria, leggera, gli occhi chiusi e il viso disteso e sognante, spensierato e innocente come solo un bambino sa essere. Non sembrava nemmeno la stessa persona che di giorno impartiva direttive, si prendeva responsabilità, leggeva, scriveva, pensava e non riusciva quasi a respirare…
      Ed era in quel momento che a Dino tornava quella sensazione, come se l’avesse già vista, come se avesse già osservato quel sonno..
      Qualche volta Dino si chiedeva come potesse qualcuno vivere rinchiuso in un cubo, come poteva essere felice senza potersi librare nel cielo?
      Chi l’aveva rinchiusa e perché?
      Eppure lei non sembrava sentirsi prigioniera, non l’aveva mai vista soffrire quelle pareti anzi, a dire il vero sembrava addirittura non vederle. Come se tutto il mondo fosse dentro il cubo, fosse il cubo.
      I giorni continuarono a scorrere leggeri quindi e Dino ormai si sentiva tranquillo, quella coesistenza non lo turbava, quella presenza non invasiva era diventata una compagnia discreta ma costante, piacevole.
      Finchè un giorno, durante una delle sue capriole, guardando giù vide qualcosa di diverso.
      Nel cubo infatti non c’era il solito tran tran quotidiano, c’era anzi un’insolita immobilità. La ragazza millenaria era ferma immobile davanti ad una delle pareti trasparenti del cubo e guardava fuori. Guardava il cielo. Guardava Dino!
      Sì, guardava proprio in quella direzione!
      Aveva un’espressione seria, molto diversa da quella sorridente e allegra che le aveva visto nei giorni scorsi.
      Sendero, cosa vuoi dirmi con quell’espressione? Piccolo mio, pensa che anche Dino si è sentito come te ora….
      Dino provava una strano disagio. Ebbe paura di quella novità come si teme qualsiasi cosa che possa turbare un equilibrio sottile. Non capì perché. Perché non faceva quello che faceva sempre? Perché guardava nella sua direzione? Ma poi, guardava davvero lui? O semplicemente era assorta in chissà quale pensiero che proiettava fuori dal cubo, come per scacciarlo, allontanarlo da sé, affinchè smettesse di turbarla, la lasciasse in pace…
      Dino non sapeva che fare…così, per un po’, non fece nulla e continuò a volare circospetto, formando larghi cerchi intorno al cubo, cerchi man mano sempre più stretti…
  • Federica Albanesi
    10 ottobre 2010
    Federica Albanesi
    • Ma fu solo quando si trovò di fronte al cubo che Dino si accorse della tristezza infinita che stagnava negli occhi della ragazza del cubo. Oservò meglio, avvicinandosi al cubo e allra vide che nei suoi occhi la tristezza assubse forme diverse, disegnando una storia e raccontando a Dino che una persona cara era andata via, una persona del passato, la nonna tanto amata non c'era più, era volata via.
      Adesso Sendero non sarà difficile per te capire quanto Dino forse sorpreso...come si può essere tristi se qualcuno vola via?! Come si fa a non gioire sapendo che una persona amata si libra nel cielo leggera?
      Non lo so Sendero, non so spiegarti perchè la ragazza nel cubo si sentisse così triste, perchè quel giorno il cubo le sembrava insopportabilmente opprimente e tutto privo di valore...solo..non avrebbe smesso mai di guardare il cielo...
  • Federica Albanesi
    31 ottobre 2010
    Federica Albanesi
    • la favola gialla e blu
      ...e così una mattina il cubo giallo e blu non era più al suo posto, a dire il vero non c'era proprio più..
      Dino era stato via qualche giorno, ad esplorare nuovi cieli alla ricerca di nuove acrobazie, e non aveva nemmeno più pensato alla ragazza nel cubo, non voleva lasciarsi distrarre e turbare da quell'espressione triste che le aveva visto disegnata sul volto l'ultima volta..
      Ma quando tornò in un secondo si rese conto che era tutto come prima, prima prima...prima del cubo, il cubo giallo e blu che sembrava imprigionare una ragazza millenaria.
      Ma tu Sendero lo sai che lei è dovuta volare via, oltre il cubo dentro il quale aveva deciso di sostare perchè...perchè nella vita a volte si vola alto, altre volte basso, e ci sono momenti in cui decidi di fermarti a studiare, a capire, a scegliere...
      Ma non essere triste, perchè Dino avrebbe sempre continuato a vederla svolazzare leggera in quei cieli al di là del suo cielo, quel cielo blu...e giallo...e blu...
  • Federica Albanesi
    10 febbraio

venerdì 5 agosto 2011

Io&Darietto

Il mio cucciolo

Nonna Gramigna - 4 agosto 2011

Cento anni a novembre, sì, avete letto bene, mia nonna a novembre compie un secolo. Ieri credevo di no. Credevo che oggi per lei non avrebbe rappresentato un domani. Sì perché giorni fa è caduta e si è rotta un femore, scivolando da un divano sul quale era seduta "in pizzo in pizzo", come al solito, ce l'ha sempre avuto il vizio di sedersi in pizzo alle cose, come se non dovesse occupare troppo spazio, non dovesse disturbare o essere di ingombro.
Eppure, con il suo metro e quaranta di altezza, la sua aria da vecchina delle favole, la vocina dolce che intenerirebbe anche un sasso, mia nonna è la presenza più ingombrante della vita di alcune persone della mia famiglia, mia madre per prima.
Non mi unisco al gruppetto di fan perché me ne sono tirata fuori anni fa, ma anche da questa posizione di spettatrice, non posso non rimanere indifferente alla sudditanza che impone alle persone che le vogliono bene. Classiche, vecchie storie di famiglia.
Stamattina è stata operata. Il chirurgo ci aveva avvertiti: la operiamo perché con la  frattura che ha al femore non potrebbe vivere se non a letto, quindi in una condizione inaccettabile, ma, certo,  a quasi cento anni l'anestesia è un rischio molto grosso, l'operazione non è semplice, non diamo garanzie che esca dalla sala operatoria. Quando parli di una centenne che sta per essere operata e ti dicono una cosa del genere la vivi con una certa serenità, insomma a nessuno è venuto in mente di interrogasi su un'aspettativa di vita. Ammesso che l'operazione vada a buon fine poi, bisognerà tenerla due giorni in terapia intensiva e lì si apre un altro fronte di rischio, ce la farà?
Vabbè la faccio breve: stamattina l'hanno operata, dall'anestesia si è svegliata subito e senza problemi, in terapia intensiva non hanno ritenuto necessario nemmeno mettercela e adesso sta di fronte a me, nel suo letto, che lagna che vuole bere, che ha sete. Mia madre al capezzale, giorno e notte.
Venendo in ospedale poco fa ci pensavo, alla radio hanno trasmesso "Con il nastro rosa" di Lucio Battisti, una canzone che mi ricorda la mia infanzia, perché a mia madre Battisti è sempre piaciuto molto. La strada che porta a Velletri è circondata dal verde degli alberi, sembra un viaggio indietro nel tempo, sei quasi indotto a volare con la mente al passato, a scorrerlo come un film che ti restituisce le immagini salienti di quegli anni lontani.
E allora non posso che considerare che questa vecchia, che me ne ha fatte passare di tutti i colori perché io, in quanto femmina, esattamente come mia madre, non meritavo l'attenzione che invece meritavano i miei fratelli, loro maschi, beh, questa vecchia mi ha reso forte, forte come l'erba cattiva, che si attacca al cemento per vivere, che cresce anche senza cure, perché vuole vivere a tutti i costi. E' un bell'insegnamento, grazie nonna Gramigna.

(Mia nonna si chiama Isolina, Nonna Gramigna è un appellativo della sottoscritta che credo si spieghi da solo.)

giovedì 4 agosto 2011

Cronaca ex post di una rapina alla Post

E' mentre ero sul motorino, stamattina presto, costeggiando un Circo Massimo deserto come può esserlo solo Roma all'alba di agosto, che mi ha raggiunto l'idea. Stavolta mi è arrivata così, davanti a quello spettacolo inedito ed emozionante, la percezione forte del momento che arriva, che adesso sei pronta.
Voglio parlare della rapina che ho subito in ufficio il 16 giugno di quest'anno.
E' dalla giusta distanza che si può parlare con cognizione delle cose.
Quindi adesso va bene.
Era il  16 giugno, per l'appunto, e la mia giornata lavorativa stava terminando con quell'operazione tanto fastidiosa quanto pericolosa che è il caricamento dell'ATM, il bancomat per capirci.
Un'operazione fatta così malvolentieri, per la macchinosità con cui ero costretta a farlo vista la logistica di quell'ufficio, e per la forte rischiosità che questo comportava, che la facevo il meno possibile, caricando quindi l'ATM al massimo ogni volta.
Tu pensi che, non effettuando il caricamento ogni giorno, ma decidendo di volta in volta senza alcuna regolarità nei giorni, nessuno possa immaginare quando avverrà.
Ma quando ti seguono da settimane, studiando ogni tua mossa, osservando chi apre, chi chiude, che giro fa, quanto ci mette e a che ora si inizia a muovere, beh allora arrivano anche a capire che quel giorno uscirai con due cassetti carichi di soldi e sarai sola nella sala pubblico, dopo l'orario di chiusura, con tutto il resto del personale al di là del vetro blindato.
Ed è proprio così che è andata.
Le porte dell'ufficio si aprono improvvisamente mentre io sono lì che armeggio con l'ATM ed entrano due ragazzi, casco jet in testa. Uno rimane sulla porta, monitorando le persone dietro al vetro e intimando loro di non muoversi, che nessuno si farà male. L'altro viene verso di me e, proprio come in una scena di Pulp Fiction, estrae dalla tasca interna della giacca una pistola che, con mezzo giro del braccio in aria, mi punta esattamente sul viso.
Ecco, possiamo fermarci qui per me.
Su quel mezzo giro del braccio e sulla canna della pistola che mi si ferma davanti agli occhi.
C'è stata tutta la mia vita in quel gesto.
Ho pensato "ecco, questo sicuramente è un tossico, uno che non ci sta con la testa, che adesso non capisce più niente e preme il grilletto, lasciandomi qui, stesa a terra in una pozza di sangue. E buonannotte. Bel modo del cazzo di morire. Chi me lo doveva dire a me che finiva così. Che assurdità"
Questo ho pensato, e ricordo perfettamente la sensazione delle mie labbra che si distendevano in un sorrisetto sarcastico, che fregatura. Con la vita davvero non ci puoi scommettere un centesimo, ti leva pure quello. E io che mi preoccupavo delle ferie estive, arrivarci ad agosto.
Dall'istante successivo è cambiato tutto.
Il rapinatore ha parlato e con molta calma mi ha detto di stare tranquilla, di non avere paura perchè lui voleva solo i cassetti con i soldi.
Cosa fai quando qualcuno ha in mano la tua vita e tu sai che la tua salvezza dipende solo dalle sue indicazioni?
Le segui, ovvio. Così ho fatto io: mi sono subito tranquillizzata.
Il resto è scandito da brevissimi momenti che si sono succeduti meccanicamente: lui si prende i cassetti, sale sullo scooter insieme a quell'altro e se ne vanno via.
Io rimango lì, improvvisamente mi accorgo dei dipendenti del mio ufficio dietro al vetro: chi piange, chi telefona, chi mi chiede come sto; una di loro è disperata e continua a ripetere: "no, Federica, no".
Le loro voci mi sembrano arrivare da lontano, nella mia testa è tutto ovattato ora, io sono altrove: sono dove sono rimaste le parole del rapinatore mentre lentamente abbassava la pistola "vogliamo solo i cassetti". Non volevano la mia vita, non se la sono presa. Si sono portati via ottantamila euro ma il bottino più grosso l'hanno lasciato a me.
Mi giro verso il vetro blindato, mi avvicino, busso sul vetro per richiamare l'attenzione della dipendente che continua a piangere e le dico: "Ehi, guarda che la rapina l'hanno fatta a me calmati, è tutto ok", e mi viene da ridere.
Qualcosa di me quel giorno è morta, ma non ne ho alcun rimpianto.

mercoledì 3 agosto 2011

Lettera a uno stalker

Che effetto fa una donna sola ad un uomo? Qualcuno sa dirmelo? Un uomo che si senta abbastanza onesto con se stesso prima che con me, potrebbe spiegarmi cosa prova davanti a una donna che vive da sola?
Quando dico sola, intendo indipendente, anche senza un compagno perché magari semplicemente non ha incontrato qualcuno che le faccia battere nuovamente il cuore forte e quindi, siccome di scopate a perdere non se ne fa niente, preferisce non dare spago a maschi invadenti con la sindrome del supereroe (ehi piccola, ci sono io ora, puoi iniziare a sorridere adesso!)
Una donna normale, che fa la sua vita con la dignità di chi sa di non mancare di rispetto al prossimo, che guarda dove cammina, non pesta i piedi, lavora per se stessa e persegue un ideale di bellezza insito nella vita e quello che può offrire. Con una piccola puntualizzazione: davanti ad ogni offerta si riserva di poter scegliere. Non si sente obbligata a raccogliere tutto quello che trova per strada.
E allora tu che fai? Come ti senti? Cosa ti spinge a diventare oltremodo insistente quando ricevi un inequivocabile "no", come interpreti la lingua italiana quando scavalchi le parole della persona che ti sta facendo capire che nella sua vita non ci puoi stare, che non è interessata, che grazie ma va bene così?
Cosa ti fa sentire di poterti scattare orrende foto porno e inviarmele via mail?
Io non lo so, ma adesso provo a dirti, povero, piccolo stalker, come mi sono sentita io, così potrai farti l'ennesima sega leggendo queste parole.
Mi sono sentita violata, come tu non potrai mai capire perché bisogna avere qualcosa di prezioso da difendere per capire quanto sia inaccettabile il suo abuso. E tu non ce l'hai. Non  puoi avercelo se passi il tuo tempo fotografando un membro inutile che ti restituisce soltanto l'immagine della tua frustrata solitudine.
E allora te lo dico io: fa male, fa rabbia e paura.
Voglio che tu lo sappia. Gioisci della tua bassezza, sentiti qualcuno adesso che hai il tuo minuto di celebrità, fattene un'altra dai, che solo quello puoi fare.
Tu puoi fare solo quello.
Io no.
Io, mio caro stalker, stamattina ti ho denunciato.

martedì 2 agosto 2011

Libertà ed elettrodomestici

La libertà non è cosa di chi nasce, ma di chi diventa. E divenire, rompere le catene per alzare le braccia senza vincoli o pesi, non è mai uno sforzo semplice.
La difficoltà della libertà non sta (solo) nell'acquisirla (che già basterebbe a dissuadere i più teneri di spirito), ma nel gestirla, nel viverla, come un elettrodomestico che sappia fare molte cose ma di cui ignoriamo le funzioni per goderne appieno. Ecco, le istruzioni della libertà non le abbiamo.
Le sue mille funzioni dobbiamo scoprirle. Occorre tenere duro, non perdersi, non sentirsi delusi.

"Avanti tutta", Simone Perotti

Il mio Buongiorno

Ok d'accordo, mi sono appena svegliata e sicuramente i miei occhi insonnoliti non rivelano lo sguardo più sexy del mondo, credo di non essermi nemmeno lavata la faccia ancora. Ho giusto giusto fatto il caffè e mi sono messa a scrivere, che mi prudono le mani.
Ebbene, eccomi qui, non so voi ma a me questa faccia invece piace un casino.
E' la mia.


http://www.youtube.com/watch?v=6yXRGdZdonM

Cosa ha tirato in ballo Maria nella prima notte d'agosto (aoh, è l'una, ndr) prendendo in mano la sua meravigliosa e inutile carta libretto

Sembra che stiamo a fa chissacchè, mentre stiamo solo aspettando una pizza all'Obitorio di Viale Trastevere (ex Viale del Re).
Entrambe sprovviste di contante, abbiamo tentato un prelevamento da uno sportello bancario, io con la mia postamat, Maria con la succitata, inutile, carta libretto.
Al terzo tentativo, abbiamo trovato la banca disponibile al prelievo. La prima aveva una evidente manomissione nella fessura di inserimento della carta,(occhio clinico da direttore) la seconda imprecava un inquietante "allarme malore", alla terza, io ho prelevato, mentre la carta libretto di Maria ha palesato la sua inutilità.
Ed eccoci  all'Obitorio, con un pezzo fumante di filetto di baccalà in bocca e le dita unte sulla tastiera a ricordare le sorelle Disgrazia.
Perché la vita è anche questo, un improvviso riaffiorare di ricordi legati ad un tempo che sembra lontano anni luce ormai, in un esilarante pomeriggio di inverno in un ufficio postale, mentre riordinavo svogliatamente la modulistica in sala pubblico. E' stato allora che una vocina alle spalle mi chiede se potevo darle un'informazione. Mi dica, rispondo girandomi verso una delle due vecchiette smilze e ben vestite che sembravano uscite da una favola dei fratelli Grimm. "Siamo le sorelle Disgrazia e dovemo piglia 'na polizza". Ecco, signora mia, certo che a capirla ci vorrebbe una laurea in lingue,  "Mi sta dicendo che vuole investire del denaro in una polizza? Vuole che la faccia parlare con la signora che se ne occupa?".
"No, no, noi dovemo piglia la polizza, sta qua, sulla libretta"
Ah ecco adesso  è tutto chiaro, basta spiegarsi, " Quindi vuole liquidare una polizza, bene, la accompagno comunque in sala consulenza, mi segua".
"Sì signorì, però le librette so due, una in faccia a me, e l'altra in faccia a tutte e due"
La faccenda si complica.
" E su quale libretta li vuole i soldi?"
"Su quella in faccia a tutte e due"
Solidarietà fra sorelle, penso. Mi affaccio in sala, dove la consulente sta concludendo un appuntamento e le dico: "Olivia qui ci sono le sorelle Disgrazia che devono liquidare una polizza e mandarla su una libretta. Occhio però che le librette sono due, una in faccia ad una sola e l'altra in faccia a entrambe. La polizza la vogliono su quella in faccia a tutte e due".
Olivia mi guarda impassibile come una statua di sale, le sorelle Disgrazia sorridono soddisfatte per vedere compreso e soddisfatto il loro desiderio.
Io me ne torno alla mia modulistica con fare divertito stavolta.
Sono le 2 quasi, la pizza era buonissima, per Trastevere in questo lunedì di agosto a quest'ora girano tipi sospetti e io e Maria ridiamo fino alle lacrime.
Questo ricordo è una tinta forte nelle emozioni della mia esperienza da direttore, quando incontri come questo racchiudevano in un unico sguardo il carattere dell'umanità tutta.
E' la prima volta che ripenso a Poste e rido di cuore.

lunedì 1 agosto 2011

A parlà chiaro se va....

http://www.googlerank.com/ita/guida-posizionamento/tutela-legale-contenuti.html

a buon intenditor....

Dietro la iena: miao.

Ho bisogno di voi che leggete, per favore, siate gentili con me.
Lasciatemi le vostre impressioni, belle o meno belle non importa, sono emozioni, comunque. Quindi sono importanti, fondamentali per me che sto riversando le mie senza troppi filtri per condividerle.
Non lo voglio un mondo in cui ognuno si tiene le proprie emozioni dentro, chiuse sottochiave e impermeabili a tutto, anche alle persone che più dovrebbero esserci vicine e vorrebbero amarci.
Basta.
 Io non ci credo che si debba nascondere il proprio cuore, anzi credo che se apri la porta prima ti senti nudo, scoperto, poi però ti accorgi che quello che entra non è un vento gelido, ma una brina leggera, che accarezza e ingentilisce.
Quindi, se vi va, se c'è qualcosa che le mie parole vi hanno suscitato e volete farmelo sapere....scrivete.
Anche alla mia mail personale.
Io sarò felice di leggere, tutto.

Federica

La misura del mondo (D. Kehlmann)

Il pomeriggio i domestici videro Humboldt entrare e uscire dal castello, andare verso le cime delle colline, intorno al laghetto, con la bocca spalancat e il viso rivolto verso il cielo, come un idiota. Non l'avevano mai visto così. Deve essere, si dicevano, davvero scosso. E, in realtà, era felice come non mai.
Una settimana dopo diede le dimissioni dal suo incarico di assessore.
Il ministro non capì. Se a quell'età ricpriva già una tale carica, la sua carriera non avrebbe incontrato ostacoli. Perchè dunque si dimetteva?

http://www.youtube.com/watch?v=jALu4uTn2Ag