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mercoledì 18 aprile 2012

Incroci

Forse l'ho solo sognato, forse mi sono lasciata sedurre da un Chianti classico padrone in terra nativa. Forse sono stanca e non me lo voglio confessare. Forse ho fame e continuo ad ignorare il languore di vita e fortuna che alimenta i battiti del mio cuore rendendomi sorda a questa bolla d'aria che blocca il motore.
Vado avanti. Semplice.
Dostoevskij chiedeva ad ogni essere umano che colpe ha un'anima semplice. Tu mi hai preso le mani mentre ti passavo da accendere e mi hai detto quello che avevo bisogno di sentire.
Poche parole, quelle giuste. Perfette.
Ci vuole coraggio ad essere uomo, a guardare negli occhi una sconosciuta e parlarle solo per quello che le vedi dipinto sul viso.
Le mie mani si sono sciolte subito da una stretta troppo intima per quei pochi istanti, la mia strada è diventata veloce, le scarpe sporche di pioggia e asfalto da non ripercorrere.
Certe sere, semplicemente, incontri la persona giusta.
Come ogni copione che si rispetti, la lasci andare.

sabato 31 marzo 2012

un viaggio senza fine

La solitudine fa parte della vita. La difficoltà consiste nel maneggiarla, questa cosa informe. Eh sì, perchè se la guardo bene, vedo che è proprio come un contenitore trasparente, che dentro puoi metterci quello che ti pare. Ci sono momenti in cui hai bisogno di stare solo, che devi ritrovarti, devi ritrovare la tua musica e riascoltare il canto della tua anima. E la trovi, quella musica, e la ascolti così tanto che inizi anche a cantarla la mattina prima ancora di aprire gli occhi nel letto, la canti, la senti dentro armoniosa. Ci sono momenti in cui la solitudine ti regala proprio l’armonia che non hai mai avuto, ne investe ogni gesto, anche il più casuale come passarsi una mano tra i capelli.
Ad un certo punto può anche sembrare tutto perfetto, può anche sgorgare una sensazione dal cuore che ti dice che quel cammino è valso tutto il dolore che ti è costato, che sei arrivata a casa e che adesso andrà tutto bene.
C’è un’altra solitudine, che ti racconta invece storie di allontanamento, di abbandono. Una solitudine che si incunea al centro del cuore e lo fa sanguinare, che trasforma l’isolamento in uno spazio di tristezza in cui non riesci nemmeno a chiedere aiuto. Quanto vorrei riuscire a dire “ti prego basta, ferma questa giostra, abbracciami forte e dimmi che va tutto bene, che posso chiudere gli occhi e smettere di avere paura”. Parole che restano dentro, dietro uno sguardo lucido e un paio d’occhiali.
Quando queste due solitudini si incontrano, ebbene, quando queste due solitudini si incontrano è un bel casino, perchè non sai a chi dar retta, e in ogni caso sei stanca, stanca di dover capire, stanca di camminare da sola, stanca di sentirti repressa.
Quando queste due solitudini si incontrano, riesci solo a piangerti tutte le lacrime accumulate dentro durante questo lungo viaggio, con i singhiozzi di un bambino e le lacrime nere di rimmel.

venerdì 16 marzo 2012

Bianco

Stanotte i miei sogni si sono cosparsi di neve.
Neve bianca che cadeva silenziosa e dolce su tutto, coprendo con un manto bianco e soffice ogni cosa intorno a me, e forse anche dentro di me.
I miei pensieri sono diventati bianchi e silenziosi, mi hanno lasciata dormire discreti e di nuovo amici, non più ostili, non più pungenti, brucianti come le delusioni cocenti che servono solo a ferire. O forse no, forse non è vero che hanno questo compito. Delusione deriva dal greco e si compone del verbo luo, che significa sciogliere, nello specifico “sciogliere da”. L’idea di sciogliere da qualcosa suggerisce  libertà, libertà ritrovata, dove non ci sono legami fuorvianti, ingannevoli ma resta solo il buono dei sentimenti e delle emozioni che ti concedi di vivere. Quelle non fanno male, scendono dolci come fiocchi di neve e addormentano, accarezzano, liberano appunto.
La neve è silenziosa, le parole perdono corposità e peso, diventano leggere anche loro, volano via. Anche queste che mi sfuggono ancora dalle dita e si posano qui, e mi dicono che oggi il sole che c’è fuori mi va di sentirmelo addosso, a scaldarmi le ossa e il cuore, che sono sempre io e sono sempre qui, non cambio, non mi fermo, non smetto di volerti bene.
E poi, sotto la neve che cade sono accadute cose così belle.

mercoledì 14 marzo 2012

IL MOMENTO FATIDICO

Cammini sul bordo del marciapiede, proprio sul bordo, su quella fascia grigio più chiaro che sembra il risvolto cucito da un sarto. Ti piace mettere i piedi uno davanti all’altro, all’interno della fascia grigia, come se ci fosse il vuoto sotto e tu fossi l’acrobata folle in bilico sul mondo. Il mondo, che nelle tue fantasie si staglierebbe tondo sotto il filo che ti sostiene, oltre un’atmosfera densa e irregolare che offusca la vista e isola dai rumori, anche quelli dei pensieri.
Un piede davanti all’altro, lungo il bordo del marciapiede; un gioco che fai da quando eri bambina, solo uno stupido gioco per non sentirti troppo sola accanto a quel genitore che ti cammina davanti distratto, trascinandosi dietro te e le buste della spesa. Allora c’erano le vetrine di via Cola di Rienzo a suggerire scenari per le tue storie, oggi ci sono quelle di Viale Europa a distoglierti da altre storie. Ma sempre lungo lo stesso marciapiede cerchi di infilare i tuoi passi incerti.
Oggi è un giorno di sole, queste giornate  sono calde e anticipano un’estate imminente, almeno così ti auguri, che davvero non ne puoi più di sentire freddo e chiuderti dentro qualcosa. E’ ora di uscire, è ora di raccogliere le risorse e lottare.
Te lo dici guardandoti riflessa in una vetrina di scarpe, e nemmeno la suola rossa delle tue scarpe preferite adesso riesce a distoglierti da questo pensiero. Devi prepararti  a lottare, ricordati che hai un obiettivo e che devi difenderlo.
E’ facile lasciarsi andare quando tutto fila liscio e quello sembra essere solo un problema degli altri. Tu sei stata fortunata, ancora non hai dovuto  affrontare la situazione seriamente, a dire il vero non te ne sei mai dovuta occupare ancora.
Adesso però sai che è iniziato il conto alla rovescia, non puoi negarlo. Ogni mattina, quando ti guardi allo specchio, sai che quello è un giorno in meno al momento fatidico e ti dici che ce la farai, come ce l’hanno fatta tanti prima di te e che questo, sì, questo ti renderà anche più forte.
Adesso si tratta solo di non farsi trovare impreparati su quella che sarà la tonalità più adatta a te, la più naturale possibile. Perchè anche tu ormai, alla soglia dei 38 anni, stai per iniziare a combattere la tua guerra contro i capelli bianchi.

tratto da: "punti di svolta nella vita di un essere quasi umano su un pianeta quasi neta in un momento del piffero stonato con la custodia rotta"

giovedì 16 febbraio 2012

Maria...ti ricordi?

Ho bisogno di un giorno di sole, uno di quelli in cui, dopo un pranzo pigro al solito posto in Trastevere, ce ne andiamo in giro a raccontarci di quanto è bello sentire arrivare una nuova estate.
Maria te lo ricordi?
Tu sola lo sai, tu sola ci sei stata nei miei risvegli smarriti dopo notti infuocate a combattere draghi preistorici, tuoi i piccoli gesti quotidiani che hanno saputo prendersi cura di me con insalate e risate.
I libri di Vezio, Che Guevara, Titty e Darietto lontano.
L'incontro con Stefano, i miei capelli corti e il funerale di mia nonna...le partenze in scooter senza casco e la paura di morire.
Sono solo immagini sconclusionate di una sconclusionata estate che oggi torna a ricordarmi che emanciparsi dal dolore e dalle sue logiche fa male quanto subirlo, ma a differenza del male che avvolge i rapporti malati, da questo si guarisce, si torna a camminare e poi ti può anche accadere di perderti per i vicoli di Roma con il sole che ti scalda le ossa e ti ricorda che sei sopravvissuta, stai bene.
Le sfumature annebbiano la vista, fanno apparire il nero grigio, e il bianco...grigio.
Noi lo sappiamo Maria, da quella sera delle tue lacrime sul giallo della crema pasticcera di Silvia, al blu forte del mare, le insalate colorate e le bouganville viola dei muri di Trastevere. A me piacciono i colori perchè la vita può essere molto più semplice della spazzatura emotiva che ci trasciniamo dietro a causa di rapporti malati. E quindi, fanculo a chi non sa emozionarsi, a chi non ride, a chi non piange, a chi non si innamora, a chi non legge e non ascolta musica. Fanculo al grigio.

mercoledì 1 febbraio 2012

The passenger



I am the passenger and I ride and I ride
I ride through the city's backsides
I see the stars come out of the sky


Ma guarda chi si rivede...ciao tu, come va? Quante notti ci hanno separato, avvolte in sonni ristoratori, anestetici, consolatori e infine troppo leggeri per sostenere una stanchezza che non realizza, se non parzialmente. Ma che rischia di tradire quanto detto quel giorno. Il giorno in cui ho trovato il coraggio di non farmi comprare da quattro soldi sporchi di meschinità e scorrettezza e me ne sono andata al mare, senza sapere che ne sarebbe stato di me, cosa sarebbe accaduto, piena soltanto di una libertà discreta e inevitabile, che illuminava la strada sotto di me come il cielo stellato con i naviganti infiniti.
Una serata piena di stelle sulla spiaggia, con persone chiassose e divertenti, superstiti di un’estate in città alla ricerca di brevi evasioni ai margini del grigio quotidiano.
Io tra di loro, con il viso disteso e poca voglia di parlare. Dentro di me una deflagrazione. L’avevo fatto davvero? Quella cosa impronunciabile che era stato così difficile dapprima anche solo pensare, inesprimibile a parole senza incontrare espressioni di disappunto e preoccupazione in chi mi ascoltava e infine compiuta, che ognuno ha il suo destino e quando la tua strada ti chiama, rispondere è solo questione di tempo.
Sono passati cinque mesi da quel giorno, pieni di cose leggere e ricostituenti. Io ho ricominciato a dormire, a lavorare, a uscire, fare sesso e anche shopping. Ho smesso di scrivere, più o meno, che non si smette di respirare per quanto interessante sia un’apnea.
Una dolce, necessaria deriva.
E adesso, di nuovo non dormo ascoltando i battiti del mio cuore che si sveglia di soprassalto la notte come se la mia gabbia toracica fosse troppo angusta per il suo espandersi generoso, sì generoso, ancora una volta generoso con me. Ci vuole una spinta esagerata per pulsare sangue e rimettere in circolo energie, attivare i sensi, tutti e 6 per fiutare il vento che torna a soffiare gitano portando il mio nome con sè.
Ora, pochi forse sanno, leggendo queste nuove righe anticipatrici, che a quel vento risponderò  ancora una volta “sì”.

sabato 19 novembre 2011

Sirene

Di nuovo si muove,
la nave ondeggia, accendo i motori.
Mi lego salda all'albero maestro per non cedere alla malìa delle sirene.
Ascolto racconti melodiosi di nuove prospettive, di possibilità che aspettano solo il mio coraggio per essere esplorare.
Accetto desideri inconfessabli, rinnegati dalla paura di soffrire.
Li lascio affiorare sulla mia pelle come perle di sudore, ma prima che scivolino via mi tuffo in mare e nuoto sott'acqua dove tutto è lontano, ovattato, attutito.
Non sono ancora pronta. Ma lo sarò presto.

mercoledì 9 novembre 2011

Una giornata non uggiosa

La strada è buia; anche stasera ho fatto più tardi del previsto al lavoro. Succede sempre che perda il senso del tempo quando sono immersa in qualcosa che mi prende, che mi impegna. Rimane tutto al di fuori, compreso l’azzurro del cielo di oggi che, senza che me ne accorgessi, ha lasciato silenzioso il posto al nero della notte. Una luna piena sfocata da  una coltre di foschia, il buio di Via di Vigna Murata, le luci improvvise degli stop di auto e moto al semaforo dell’Ardeatina.
Giulia, gli occhiali sul naso, ti sfiora la mente.
Nelle auto vedo visi stanchi, qualcuno è al telefono, la maggior parte si limita a fissare il traffico. Ci sono due vigili fermi al semaforo che sembrano solo voler complicare un traffico già indisciplinato.
Giulia ci sa fare, Giulia è intelligente, Giulia è qualcosa di più.
Questa è la prima sera che non devo guidare tutta storta per vedere oltre le mille perline di pioggia sul parabrezza dello scooter, stasera la strada mi tiene, non scivola sotto le ruote, mi godo il ritorno a casa.
Alla fine ce l’ho fatta, sono riuscita a chiudere il progetto, ogni cosa al suo posto è lunedì partiamo. Stamattina la mia posta elettronica sembrava un campo di battaglia, una mitragliata di mail una più polemica dell’altra, problemi su problemi, modi diversi di affrontare questioni di lana caprina, un vecchio sapore di muffa che mi torna in bocca.
Ma è andata, ce l’ho fatta. E sono contenta, inutile negarlo. Mi piace vincere, mi piace farlo solo con le mie forze, ancora di più quando sono le parole la mia forza.
Giulia ti accarezza, accarezza la tua mente, Giulia lotta anche per te.
Stasera ho voglia di tornarmene a casa, fa freddo e questo movimento di auto su una strada rattoppata e lucida mi fa sentire il bisogno di camminare scalza sul pavimento di casa mia, di versarmi un bicchiere di quel meraviglioso novello mentre mi preparo qualcosa per cena.
Il semaforo scatta il verde, le auto si muovono, la canzone di Venditti lascia il posto a 50mila è io comincio a cantare a voce alta, sorridendo al pensiero di chi mi sente passando.
Pochi pensieri, isolati e frastagliati, ma sullo stesso sfondo compatto: sono contenta di essere qui, contenta di tutto questo, di ogni prezioso, irripetibile e imprescindibile dettaglio.
Semplicemente, oggi potevo non esserci.

venerdì 9 settembre 2011

un giorno lungo

Quanti ne hai vissuti di momenti così. Giorni come questo, lunghi a passare, dolorosi, lancinanti. E ormai lo sai che non puoi farci niente, se non lasciarli passare, che qualcosa dentro si sta muovendo, vuole parlarti. Sensazioni che vorresti scacciare, che cerchi di trasformare con le parole di conforto di chi ti vuole bene. Parole inutili, perché tu lo sai come stanno le cose, e hai imparato a fidarti di quello che senti, che alla fine non ti ha mai tradito.
E allora che vuoi fare? Lo sai no che tanto vai avanti lo stesso, ormai l'hai imparato sulla tua pelle. Anche quando sembrava impossibile, alla fine ce l'hai fatta. Ce la si fa sempre. Sempre. E' la strada che pesa, soprattutto dopo tutto questo tempo, in cui di strada ne hai fatta tanta, e non è stato un cammino facile, affatto. Hai dovuto mettere in gioco tutte le tue risorse, non ti sei risparmiata perché hai voluto imprimere un cambiamento forte, che davvero non ne potevi più di tutto quello che ti stava avvelenando la vita. E adesso sei stanca, lo so. Per una volta vorresti che arrivasse l'inaspettato, quella sorpresa bella della vita che ti alleggerisce le spalle, te le circonda con un braccio come fa un vecchio amico e ti dice andiamo dai, facciamoci due passi insieme che mi va di stare un po' con te.
Sono cambiate tante cose, e sono stati cambiamenti positivi. Ma c'è ancora qualcosa, una cosa, che sa di stantio, che ti riporta là dove non vuoi più tornare.
E tu lo sai che la devi affrontare, quest'ultima cosa. Che per quanto possa migliorare non cambierà mai, avrà sempre i contorni di una misura che ti va stretta ormai.
Che vuoi fare? Quanto vuoi aspettare ancora?
Ti dici che per ogni cosa c'è il momento giusto e intanto sei ancora tu a pagare, con la sofferenza, con le mille sfumature che assume.
Questa stanchezza forse è il messaggio più autentico che ti dai.
E' il segno di una bomba che ti sta esplodendo dentro, macerie su macerie.
Altro che casette di cristallo, c'è Hiroshima il giorno dopo dentro di te e nessuno può vederlo. Solo tu, che ogni giorno ricostruisci un pezzo, con la fiducia e l'ottimismo di un sopravvissuto. Un miracolato che vede nei resti di una vita distrutta quello che nessuno può vedere: la speranza.
Oggi è un giorno difficile, non lo puoi spiegare, non ne vale la pena.
Un giorno lungo, una pressa sullo stomaco a digiuno.
Ma sta finendo, perché tutto finisce. Ecco ricordatelo, tutto finisce. Anche quello che vorresti non finisse mai, o che credevi non sarebbe mai finito, finisce. Tutto muore se non viene alimentato come necessita, e tu non puoi fare tutto da sola.
Questo non è detto che debba essere un male, come avrebbe detto Vezio.
Finisce qualcosa, si trasforma in un'altra. Diversa magari, ma con una sua bellezza, a cui bisogna solo abituarsi, a cui si può voler bene.
Lascia andare quindi, lascia la presa, non hai comunque più niente in mano.

sabato 3 settembre 2011

via, lontano da me

La stanza completamente al buio. Io sdraiata sul letto, immobile, quasi senza respirare per non far sentire la mia presenza. I suoi passi su e giù per la camera, come una tigre in gabbia, al buio. Sento il suo respiro vicino, mi irrigidisco. Forse sa che sono qui, forse no. Rimango immobile sperando che se ne vada ma quei passi sono troppo nervosi, veloci, vicini, e so che presto farà qualcosa.
E quel momento arriva, si ferma e in un attimo è proprio sul mio collo, lo bacia, con una precisione chirurgica che mi fa capire che ha sempre saputo che ero lì.
Apro gli occhi afferro il cuscino e lo lancio via da me come se fosse lui.
Non saprò mai chi c'era in quest'incubo, so solo che non mi è piaciuto, e che la sensazione di schifo mi è rimasta addosso tutta la notte.
Traduco: vicinanza non richiesta, confidenza non concessa, tentativi per appropriarsene come fosse un diritto.
Questa cosa la conosco. sì. L'ho già combattuta.
Provo a scaraventare tutto qui, sul foglio bianco, sperando che così esca da me e mi lasci in pace.

giovedì 1 settembre 2011

Devo solo trovare il film giusto

All'inizio di tutto, quando ho deciso di scrivere ogni passo di questo cammino, mi aveva mosso la considerazione che, di solito, qualcuno fa una grande cosa, e poi ne scrive. Il principio che la storia viene scritta dai vincitori. Descrizioni dorate di percorsi di successo in cui qualcuno procede a grandi falcate verso un obiettivo, senza mai inciampare, senza mai un piede in fallo, o anche solo senza sentirsi un po' stanco, bisognoso di un momento per fermarsi a riprendere fiato.
E così chi legge queste storie "a posteriori" si sente irrimediabilmente distante, escluso " a priori" dalla possibilità di compiere qualcosa di simile.
Adesso direi anche che uno finisce per sentirsi un po' sfigato ma poi Maria mi cazzia e stasera non è aria. Quindi non lo dico.
Dico però che la verità sta nel mezzo. La verità sta tra il successo di una storia e il fatto che sia poi effettivamente alla portata di tutti.
Il successo può arrivare, magari arriva, ma prima arrivano altre cose: ci sono consigli non richiesti, consigli richiesti che si rivelano sbagliati, chiacchierate illuminanti, sguardi di intesa, cadute, paura, qualche cazzata in mezzo che ti fa venire voglia di lasciar perdere tutto, stanchezza a volte, coraggio, entusiasmo. Ecco c'è tutto questo.  E tutto questo è quello che bene o male ognuno di noi vive ogni giorno, si chiama vita. Convogliare questo magma di cose, comunque vissute,  verso un obiettivo che rappresenti la felicità è quello che rende u successo alla portata o meno di qualcuno. Alla fine si torna sempre a parlare di consapevolezza.
Lo sai dove stai andando? Riesci a dare un senso al tuo fastidio? Alle tue paure? Sai cosa ci guadagni a rinunciare a qualcosa? O sei soltanto preso dalla lamentela per la perdita? Ecco, la risposta a queste domande ti può allontanare o avvicinare a quel tipo che ha scritto una storia di successo dall'alto del suo podio.
Ecco perché mi ero prefissata di scrivere tutto, prima ancora di sapere se ce l'avrei fatta, perché questo mi avvicina a chiunque legga e provi a domandarsi se è davvero possibile provarci.
Spesso è da una caduta che si impara a camminare meglio. E da come cammini ti rendi conto che il viaggio è importante almeno quanto la meta.
Le cadute servono. Chi ha vinto è caduto, magari mille volte, ma una volta raggiunto il traguardo le cadute se le è dimenticate, travolto dalla gioia del successo ne ha trasformato la percezione del raggiungimento. Per forza che poi sembra un'impresa impossibile, E invece non lo è: è possibilissimo. Solo che sarà una montagna russa, a volte alle stelle, altre volte col sedere per terra e gli occhi rossi, altre volte ancora camminando spediti.
Ecco perché ho voluto scrivere tutto.
Ecco perché stasera lo scrivo che non è stata una gran giornata per me, perché sono stata travolta da pensieri ed emozioni che mi hanno sballottato il cuore e mi hanno anche strappato un paio di lacrimacce amare. E allora? Pace. Ci sta.
La cosa positiva è che ho imparato a vivermeli con una certa serenità questi momenti, perché hanno motivo di esistere e sarebbe stupido reprimerli buttandomi in una mischia di gente magari, perché poi passano, perché in fondo, me li sono voluti. Sono parti di me che hanno la stessa dignità di esistere dei momenti felici.
Quindi porto fuori il cane e mi fumo una sigaretta, finisco di scrivere questo post un po' melanconico, e mi cerco un filmetto che mi regali un paio d'ore di svago, magari anche una risata delle mie, di cuore.
E buonanotte.

mercoledì 24 agosto 2011

Il rumore della felicità

 
Un fiocco di neve che volteggia nell'aria, compie le sue piroette con grazia  e precisione, oscilla dolcemente, nell'esitazione di un istante fermato per sempre, e poi si appoggia lieve sull'asfalto. Silenzioso, quasi inosservato. Perfetto.
Io non credevo che questa felicità fosse così.
Avevo immaginato che sarei corsa gridando dritta dritta in mare tutta vestita.
Pensavo che mi sarei ubriacata, avrei riso, detto a tutti quanto ero felice per avercela fatta, per aver sconfitto i mostri, fino all'ultimo, per aver compiuto questa impresa.
E invece no.
C'è un luogo di calma assoluta dentro di me, al centro del caos di 37 anni di vita. Un luogo di immobilità e silenzio dove il cuore pulsa calmo, senza sussulti, dove tutti i rumori sono ovattati, da dove le voci dall'esterno arrivano lontane, i visi esasperati delle persone intorno a me non mi  riguardano.
Li guardo, li ascolto: è una serata di fine agosto e siamo tutti al mare. Sono simpatici gli amici di Maria, vecchi compagni di scuola che hanno accolto anche me come una di loro. Sono davvero simpatici, di quella simpatia genuina che ti strappa vere risate di cuore.
Nessuno sa cosa ho fatto oggi. Una ragazza ha provato a chiedermi cosa faccio nella vita, sono già un paio di volte che me lo chiede ma io eludo la domanda, adesso mi sembra impossibile rispondere. Sì perché dovrei dirle che io nella vita inseguo la felicità, vado a caccia di stelle e affronto i draghi per catturare quelle più splendenti. Stasera le risponderei così e capisco che non sia il caso.
Resto seduta sulla panca di legno del tavolo sulla spiaggia. Di fronte a me ridono, ad alta voce, si raccontano cose, riportano fatti e parole, i toni mi sembrano leggermente sopra le righe a volte. Forse è il vino, forse il caldo, forse solo le maglie delle catene che stringono e ti portano ad agitarti per respirare. Forse questo è solo un momento in cui cercano di non pensare al risveglio di domani, in cui cercano di lasciare da parte i problemi di lavoro o di relazione che comunque invadono i loro discorsi, senza volerlo.
Li guardo, mi bevo il mio di vino, così fresco, e sono felice di essere presente a me stessa, felice dello spazio che occupo, del silenzio discreto con cui esplodo di gioia. Io che li guardo e mi riconosco nei loro discorsi, nelle loro facce, che ricordo quante volte ho avuto bisogno di essere al centro di qualcosa per non dovermi specchiare nella mia insoddisfazione. Io stasera me ne sto all'angolo, perché ho scoperto questa cosa meravigliosa che quando sei davvero felice non lo gridi, non lo sbandieri, non serve e forse non è nemmeno utile che è una cosa solo tua, da gustarti lentamente insieme a questo vino. Ti accorgi che al mondo esiste un posto giusto, perfetto, tagliato su misura in cui puoi stare comoda e raccolta senza urtare nessuno, dove nessuno urta te. Dove puoi accavallare le gambe, portarti il bicchiere alle labbra, fare una battuta che provoca uno scoppio di risa nella gente, sorseggiare il tuo vino e goderti lo spettacolo davanti a te. E nessuno verrà a dirti che lo spettacolo è finito, o che c'è un biglietto da pagare, no.
E' una serata bellissima, sono serena.
Qualcuno fa volare una specie di piccola mongolfiera di carta di riso che non so chi ha regalato a chi e perché. Mi siedo sulla sabbia con Darietto vicino e la guardiamo gonfiarsi e sollevarsi in aria. Qualcuno grida: "Esprimete un desiderio presto!" La vedo sollevarsi, prendere il volo e diventare sempre più piccola, fino a diventare un puntino luminoso che sembra una stella, poi scompare.
Io il mio pensiero l'ho sussurrato piano. Le stelle lo conoscono già, è un commosso grazie, dal profondo del mio cuore.

mercoledì 17 agosto 2011

Esercizi di stile: dialogo tra estranei

Non è molto freddo, ma dovrebbe dissetarti. Bevi, da queste parti ne fanno largo uso, dicono che reidrati l’organismo e combatta il caldo.

Queste maledette strade, non capisco cosa aspettino per rimetterle a posto, con tutti i soldi che ci tolgono ogni anno, dovrebbero essere lisce e dritte come appena asfaltate, e invece. E’ buono, come hai detto che si chiama?

Lo so, ormai ci siamo abituati, è per questo che non cambio macchina, finisco di distruggere le sospensioni di questa, poi si vedrà.
Non so ripeterti il nome con cui lo chiamano da queste parti, io lo chiamo tè, ma in effetti è un’altra cosa. Sì è buono.

Sono capitato qui per caso.

Lo so.

Ma sono felice di vederti, ti ho pensato spesso, mi sono chiesto molte volte come stessi.

Sono sempre io.

Sei sempre tu?

Forse no, hai ragione, ma non guardarmi così. Lo sai tutto quello che è successo, sai quante cose sono accadute, conosci il mio modo di vivere le cose poi, come potrei...

Non potresti infatti...

Solo un pazzo lascia scorrere la vita senza lasciarsi toccare. E’ come l’acqua di un fiume, ne disegna il letto, le curve.

Sono belle le tue curve, sei sempre bella.

Sono solo felice.

Me l’avevano detto che avevi trovato la tua strada, avevo voglia di vederti, di guardarti negli occhi dopo tutto questo tempo.

Alcune cose non cambiano.

Mi chiedevo se la tua pelle fosse ancora morbida e profumata, come ricordo.

Scoprilo da solo questo.
Te l’ho detto, non tutto cambia.

Tu sei pericolosa.

E tu sei ancora l’unico uomo che voglia amare.

Ho un’altra storia adesso.

Ne avrai almeno due di storie, se ricordo bene chi sei. Lo sai che non mi spaventa.


Io non ho mai voluto farti del male.

L’amore si impara. Si ama una volta, ed è per sempre. Io lo sapevo, ma dovevo lasciarti il tempo di capirlo da solo.

Sono stanco, vieni qui, lasciati abbracciare.

Tieni un cuscino, staremo più comodi.

Ho un po’ di tempo ancora, poi dovrò ripartire.

Ti aspettano lo so.

Adesso però ci sei tu.

venerdì 5 agosto 2011

Nonna Gramigna - 4 agosto 2011

Cento anni a novembre, sì, avete letto bene, mia nonna a novembre compie un secolo. Ieri credevo di no. Credevo che oggi per lei non avrebbe rappresentato un domani. Sì perché giorni fa è caduta e si è rotta un femore, scivolando da un divano sul quale era seduta "in pizzo in pizzo", come al solito, ce l'ha sempre avuto il vizio di sedersi in pizzo alle cose, come se non dovesse occupare troppo spazio, non dovesse disturbare o essere di ingombro.
Eppure, con il suo metro e quaranta di altezza, la sua aria da vecchina delle favole, la vocina dolce che intenerirebbe anche un sasso, mia nonna è la presenza più ingombrante della vita di alcune persone della mia famiglia, mia madre per prima.
Non mi unisco al gruppetto di fan perché me ne sono tirata fuori anni fa, ma anche da questa posizione di spettatrice, non posso non rimanere indifferente alla sudditanza che impone alle persone che le vogliono bene. Classiche, vecchie storie di famiglia.
Stamattina è stata operata. Il chirurgo ci aveva avvertiti: la operiamo perché con la  frattura che ha al femore non potrebbe vivere se non a letto, quindi in una condizione inaccettabile, ma, certo,  a quasi cento anni l'anestesia è un rischio molto grosso, l'operazione non è semplice, non diamo garanzie che esca dalla sala operatoria. Quando parli di una centenne che sta per essere operata e ti dicono una cosa del genere la vivi con una certa serenità, insomma a nessuno è venuto in mente di interrogasi su un'aspettativa di vita. Ammesso che l'operazione vada a buon fine poi, bisognerà tenerla due giorni in terapia intensiva e lì si apre un altro fronte di rischio, ce la farà?
Vabbè la faccio breve: stamattina l'hanno operata, dall'anestesia si è svegliata subito e senza problemi, in terapia intensiva non hanno ritenuto necessario nemmeno mettercela e adesso sta di fronte a me, nel suo letto, che lagna che vuole bere, che ha sete. Mia madre al capezzale, giorno e notte.
Venendo in ospedale poco fa ci pensavo, alla radio hanno trasmesso "Con il nastro rosa" di Lucio Battisti, una canzone che mi ricorda la mia infanzia, perché a mia madre Battisti è sempre piaciuto molto. La strada che porta a Velletri è circondata dal verde degli alberi, sembra un viaggio indietro nel tempo, sei quasi indotto a volare con la mente al passato, a scorrerlo come un film che ti restituisce le immagini salienti di quegli anni lontani.
E allora non posso che considerare che questa vecchia, che me ne ha fatte passare di tutti i colori perché io, in quanto femmina, esattamente come mia madre, non meritavo l'attenzione che invece meritavano i miei fratelli, loro maschi, beh, questa vecchia mi ha reso forte, forte come l'erba cattiva, che si attacca al cemento per vivere, che cresce anche senza cure, perché vuole vivere a tutti i costi. E' un bell'insegnamento, grazie nonna Gramigna.

(Mia nonna si chiama Isolina, Nonna Gramigna è un appellativo della sottoscritta che credo si spieghi da solo.)

martedì 2 agosto 2011

Il mio Buongiorno

Ok d'accordo, mi sono appena svegliata e sicuramente i miei occhi insonnoliti non rivelano lo sguardo più sexy del mondo, credo di non essermi nemmeno lavata la faccia ancora. Ho giusto giusto fatto il caffè e mi sono messa a scrivere, che mi prudono le mani.
Ebbene, eccomi qui, non so voi ma a me questa faccia invece piace un casino.
E' la mia.


http://www.youtube.com/watch?v=6yXRGdZdonM