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giovedì 10 novembre 2011

Che c'è da ridere?

Su Repubblica fanno vedere la foto e il video di un enorme tapiro depositato di fronte a Palazzo Grazioli. Tutto intorno, una folla di curiosi sghignazzanti per la vistosa ed inequivocabile presa per il culo perpetrata ai danni del governo Berlusconi che sta finalmente affondando.
Finalmente…è davvero pensabile un finalmente di questo tipo? Era questo, che volevamo? Un paese affondato con una ferita oltre i 500 punti di Spread, davanti alla quale tutti inorridiamo, per soffocare subito dopo risatine davanti a quelli di Striscia la Notizia che, come sciacalli dopo un uragano, cavalcano l’onda del populismo strappando facili consensi ad una cittadinanza stordita e in ginocchio.
Lasciamo che sia questo a rappresentarci?
Lui ci ha fatto così tanto male, ferendo mortalmente la nostra dignità?
E un debito che regala a chi si propone di sanarlo un interesse posizionato sul 7% non ci dice niente?
Quale titolo oggi corrisponde un interesse così alto? Forse un titolo azionario, in corrispondenza del rischio che si assume chi lo sottoscrive. Rischio che l’azienda di cui entrano a far parte possa crollare, o semplicemente non produrre fatturato. E noi, modelli broker, ci lanciamo euforici, isterici nel gioco di borse convinti di rischiare l’affarone del secolo.
E l’azienda che finanziamo con le nostre tasse? L’azienda di cui già partecipiamo degli utili, o inutili, viste le condizioni in cui versa oggi, dico, di questa azienda non vogliamo sentirci partecipi?
Cazzo, l’Italia vi sta dicendo che il suo debito vale il 7% di interesse annuo a chiunque voglia credere che questo tunnel abbia una luce che ne indichi l’uscita. Chi deve crederci se non noi?
La BCE? I grandi industriali che intravedono l’affare sapendo che il default dell’Italia è , in realtà, l’evento meno probabile allo stato attuale delle cose?
Quello spread, quell’interesse che i media ci propinano come termometro della malattia dell’Italia, è in realtà il più grosso affare che il nostro paese ci sta offrendo per riscattarci, per riprenderci l’Italia, con gli interessi.
Si chiama BTP.
Si prenota nell’ufficio postale più vicino a voi, e alla fine vi farà ridere molto più del maxi tapiro davanti Palazzo Grazioli.

venerdì 28 ottobre 2011

Istinto&Tempo

Sapevo di non sbagliarmi, ma non immaginavo quanto. Sì lo so che è parecchio che non pubblico niente, ma ancora una volta seguire un istinto si è rivelato vincente.
C’è sempre un motivo se uno è portato a fare qualcosa. Facciamoci pace. Basta con questa storia che dobbiamo imporci, darci una disciplina, forzarci a continuare una cosa che si è iniziata solo per il fatto che si è iniziata. Io mi permetterei un letterario “sticazzi” a questo punto. Tanto c’è tutta la vita là fuori per mostrarsi come i perfetti soldatini dell’opportuno e dell’apprezzato, qui se ne può fare serenamente a meno.
E ascoltare.
Che c’era in quel silenzio?
Una prova che richiedeva tempo, un po’ di distrazione, nonchè una leggera assuefazione.
Ce l’eravamo detto no che la libertà non si ferma alla scelta, alla decisione di essere liberi ma che poi va tradotta in pelle, vene e arterie, sennò il sangue non circola e se stagna è un casino.
Io però, che predico bene e razzolo male, ho stagnato. Che bello ricominciare ad avere una vita serena, senza responsabilità schiaccianti e orari da convento. Che bello fare tardi la sera e la mattina arrivare in ufficio quando mi va, con calma e non prima dell’italianissimo caffè al bar col giornale fra le mani e i commenti con gli affezionatissimi dei fratelli Cicogna come me.
Giornate tranquille, piuttosto divertenti, colleghi simpatici e matti come cavalli, capaci di rendere una giornata in ufficio una puntata di Camera Cafè...che vuoi di più, te lo sei meritato bella mia, goditelo.
Sembra tutto così lontano adesso, in fondo che ci è voluto? Niente, o quasi. Una rapina certo ma in fondo a chi fa questo lavoro capita e poi è stato un lungo periodo di vacanza, divertente, allegro, ma sì. Niente di trascendentale, i contorni sfumano, tutto si appiattisce.
“I malati ricordano, i guariti dimenticano”, diceva Jim Morrison.
Io sono guarita.
Ma quando ero malata ho fatto in modo di non dimenticare.
Ho scritto.
E ieri ho riletto, tutto.
Ho avuto così la prova che era giusto tracciare ogni singolo passo di quel percorso tutt’altro che facile, fatto di momenti immensi, a volte impercettibili, a volte risonanti come un temporale, in cui ho spostato tutti i miei punti di riferimento per ridefinire me sulla mia strada.
L’avrei dimenticato.
L’avrei seppellito con questo benessere e se qualcuno mi avesse chiesto come ho fatto a cambiare tutto così, o come mi sono sentita avrei fatto spallucce dicendo che in fondo non è cambiato niente, che non ricordo grosse differenze con prima, che forse non stavo poi nemmeno tanto male.
E invece no.
Ho scritto, è tutto qui, sul mio mac, ordinatamente conservato e pronto all’uso.
Perchè va usato, è un dovere morale farlo, perchè un istante dopo aver letto, quello che ho guardato fuori dalla finestra è apparso più luminoso, più colorato, più profumato, più dolce e gustoso che mai.
Ancora una volta, e per sempre, fino alla fine dei miei giorni, è la strada che conta, a prescindere da dove ti porta.
Potrei essere altrove, potrei vivere mille vite, con mille persone e in mille luoghi diversi, ma so che sarei capace delle stesse cose.
E so che questa cosa che mi si rigira nella pancia e sale fino al cuore, mi distende i lineamenti del viso e scaturisce in un sorriso, non è affatto una dettaglio di secondo ordine.
Eccomi qua, tornata, o mai andata via.

martedì 27 settembre 2011

Il mio, personalissimo, downshifting

Quest'estate, in pieno trip da ricerca di risposte esistenziali, mi è capitato tra le mani anche un libro sul downshifting, e da bulimica del libro quale sono, l'ho ingurgitato.
Cos'è il downshifting. E' un approccio alla vita che si fonda sul principio che consumiamo molto più di quello che ci serve e questo ci rende schiavi. Schiavi del nostro lavoro in primis, dal momento che iniziamo a dipenderne non per sopravvivere ma per mantenere quel falso tenore di vita volto a compensare le insoddisfazioni derivanti da un lavoro che non soddisfa, che ruba tempo per la famiglia, le passioni etc.
In base a questo principio è teorizzabile un approccio alternativo che consiste nel rivedere a tavolino i propri consumi e bisogni, quantificarli e in base a questi rivedere anche la propria posizione lavorativa, dal part time al licenziamento.
Il tizio in questione aveva abbandonato del tutto una carriera in azienda e si era messo a scrivere, a partecipare a convegni e a promulgare la filosofia del downshifiting in tutto il mondo. Si era trasferito dalla sua casa di città in una casetta di legno del bosco, dove poteva avere un controllo dei consumi quali riscaldamento, illuminazione etc, completamente autonomi e in parte realizzati grazie ad energie naturali. Si era comprato una barca che noleggiava con lui come skipper, di tanto in tanto arrotondava con qualche lavoretto extra di tipo manuale: riparava cose.
Comprava vestiti ai mercatini, frutta e verdura al mercato dopo un attenta selezione del prezzo, l'insalata rigorosamente a mazzi perché quella in busta è un furto, e conosceva a memoria gli scaffali estremi dei supermercati: quello a terra e quello in alto. Lì, dice, si trovano le stesse cose degli scaffali centrali ad un terzo del prezzo. E potrei andare avanti citando innumerevoli esempi tratti da questo manuale di sopravvivenza del giovane downshifter, ma per quello che voglio dire, basta così.
Tutto giusto, è vero che l'insalata in busta costa quattro volte l'altra, è vero che negli scaffali ad altezza occhi ci sono cose più care e non necessariamente più di qualità, sono vere un sacco di cose, solo che messe tutte insieme così, perseguite con fare salesiano per ritagliare un euro qua e uno là, a me fa tanta tristezza, così tanta che quasi quasi preferisco lavorare come una schiava e poi uscire dall'ufficio e comprarmi un paio di scarpe da 300 euro.
Non posso però negare che nel dowunshifitng c'era qualcosa che mi intrigava, che mi attraeva magneticamente. Ebbene, quel qualcosa è un semplice cambio di punto di vista. Un'inversione dei ruoli: non sei tu, lavoro, che decidi chi sono e come vivo, in base a quanto posso spendere, sono io che decido come voglio vivere, quindi quanto vorrò spendere e quindi quanto ti darò.
Questo è quello che mi ha portato ad elaborare la mia versione di dowunshifitng emotivo.
Da lunedì riprendo a lavorare. Torno in Direzione Generale, nello specifico in una società del gruppo, su una posizione commerciale; quello che piaceva a me in breve.
Cosa è cambiato?
Ricordiamoci che a monte di tutto questo c'era una che si nutriva di pane e carriera e forse sarà più facile capire. Un direttore giovane, donna e che sparava numeri su numeri centrando obiettivi commerciali come fosse il tiro a segno di un luna park. Una che ci pensava la sera a casa a come vendere, a chi vendere, a cosa proporre e come. Una che si portava al mare in spiaggia le comunicazioni interne che non aveva tempo di leggere in ufficio perché era sommersa da appuntamenti con i clienti. Una che lavorava sei giorni a settimana e la domenica pomeriggio già rimetteva in moto il cervello per il lunedì. Sempre la stessa, che si toglieva ogni genere si sfizio, dal massaggio all'acquisto più inutile, per colmare qualcosa dentro.
E mi fermo qui perché sento un rigurgito alla bocca dello stomaco.
Lunedì torno al lavoro, dicevo.
Ho scelto un posto dove non gestisco persone, dove non sono responsabile di strutture. Dove non gestirò più il denaro di nessuno. Continuerò a fare quello che mi piace e che so fare: vendere, supportare le strutture del territorio, pensare strategie commerciali, inventarmi idee accattivanti e, speriamo, vincenti.
Ho scelto un settore che non riguarda più investimenti o gestione del risparmio in genere, ma oggettistica. L'ho scelto perché è un mondo colorato e mi sembra un'ottima motivazione. Sì perché voglio che le mie giornate siano colorate, divertenti, etiche. E ho scelto un posto in cui ricomincio a lavorare cinque giorni a settimana, quattro e mezzo per la precisione con orari assolutamente flessibili. Quando mi hanno detto se avevo qualche domanda da fare ho chiesto se potevo arrivare con comodo la mattina. Ho scelto un posto in cui quando me ne vado mi chiudo tutto alle spalle e non mi porto niente nella mia vita privata, la protagonista assoluta.
Lo stipendio rimane invariato, meno ovviamente la parte variabile legata al raggiungimento degli obiettivi commerciali, ma, potete credermi, gliel'ho lasciata senza il minimo rimpianto. Ci ho guadagnato io su tutta la linea. In cambio mi sono presa un sorriso che non mi abbandona da settimane.
Eccolo il mio downshifting emotivo. Continuo a vivere in città, continuo ad usare la macchina, lo scooter, a fare la spesa dove capita. Ho eliminato quel vuoto dentro, quello che ti rende necessario compensare, perché non ho niente più da compensare.
Ho tutto quello di cui ho bisogno, non mi serve davvero nient'altro.
Non mi servono più soldi, non mi servono più riconoscimenti. Quello che cercavo in quelle cose non era lì, è nelle persone che mi sono accanto adesso, è nella vita che sto conducendo da due mesi, è nel tempo rotondo e pieno che mi avvolge senza più sfuggirmi.
Questo il passo di oggi, domani vedremo.

domenica 25 settembre 2011

STOOOOOOPPPPPP!!!!!!!!!!!!!!!!!!

E' evidente che sia così. Per quanto ci giri intorno non posso far finta che ormai questo blog che non è un blog sia in realtà diventato un blog e quindi, mi annoi.
Non che abbia nulla contro i blog, tant'è che ne ho aperto uno, seppur con velleità alternative, ma il punto è proprio questo: mi sono sbragata. Mi è sfuggito di mano il fine ultimo e l'ho ridotto ad un vomitatoio. Uno di quei contenitori di tutto in cui riversi le tue eruzioni interne, su cui ti sfoghi, ti incazzi, su cui contempli le meraviglie inaspettate della vita, due palle. Infatti ha iniziato ad annoiarmi.
Riavvolgiamo il nastro.
REWIND.
Era iniziato tutto da una rapina, dallo scambio tra la mia vita e 80.000 euro e dall'impegno a renderla degna dei giorni da vivere concessi da qualcosa che chiameremo caso.
Sono stati due mesi di rivoluzione interna che non si sapeva bene dove mi avrebbero portato ma che avevano ben chiaro il punto di partenza su cui non avrebbero mai ripiegato: la vita per la carriera. Addio, tutto finito tra noi.
E adesso?
In effetti per un po' non ho potuto parlare di questo perché oggettivamente non avevo informazioni e questo mi metteva in una situazione di sospeso nella quale non mi sento mai a mio agio, motivo per cui ho evitato l'argomento.
Adesso quelle informazioni ci sono.
La rivoluzione si è quindi conclusa. Devo solo valutare cosa e in che misura scrivere qui. E cosa invece riservare per il libro che sto scrivendo. Sì, il libro, ricordate? Era anche per questo che esiste questo non-blog.
Quindi, per ora dico solo che se la definizione di rivoluzione è: evento che sovverte totalmente l'ordine precostituito, dopo il quale niente è più come prima, beh, se accettiamo questa definizione allora sì, questa rivoluzione c'è stata, si è conclusa e una nuova era si è aperta.
Adesso ci penso un po', perché se da un lato continuerò a scrivere di cose e persone che mi circondano (mica vorrò togliermi ogni divertimento eh) dall'altra devo e voglio riprendere il filo di un discorso importante, troppo importante per non essere portato a conclusione in maniera coerente e sincera.
E' la vita di ognuno di noi, e se non si sta attenti il rischio è di vederla naufragare come questo blog, dolcemente magari, o presi da questioni importanti, ma decisamente fuori fuoco.
Mi rifocalizzo, avremo di che parlare, la rivoluzione continua nell'organizzazione di una vita con nuove prospettive e valori diversi a guidare, la pancia come bussola, il cuore come motore. La testa? capitano in seconda.
Avanti tutta quindi e brunetta fottiti!

martedì 20 settembre 2011

Meglio un uovo?

In media stat virtus. Ribadisco che secernere citazioni in latino garantisce quasi sempre un posto di rilievo al tavolo di una discussione, e questo soprattutto ad uso e consumo del mio prossimo capo. La lista dei miei capi si allunga, spero che il soggetto in questione si renda conto che potrebbe diventare un altro capo contento e la finisca co sta manfrina che ormai mi sta solo snervando. Ho bisogno di un capo, ormai non regge più. So di non essere più convincente, per fortuna.
Ma non posso negare che in questi giorni la mia energia abbia subito una fase discendente rispetto allo scorso mese, quando ero pronta a scalare la vetta più alta. E' normale assestamento, mi sono detta. Preoccuparsi significherebbe rientrare in un loop di ansie inutili e dannose. E così non mi sono preoccupata più di tanto, un po' dispiaciuta magari, che sentirsi a mille crea dipendenza.
Qualcosa però mi diceva che dovevo solo aspettare, che ancora una volta ci sarebbe stato un click, uno dei miei per capirci. Quelli che, ormai lo so, la vita ti presenta esattamente, precisamente, esclusivamente, a quel cavolo di momento giusto prima o dopo il quale niente avrebbe lo stesso senso.
E così è.
Piccole cose, come sempre, niente di plateale. Solo la consapevolezza di essere su un cammino di piccoli passi quotidiani, studiati e consapevoli, che non creano scalpore, non alzano polvere, non attirano troppa attenzione ma piano piano ti portano molto lontano.
E' stato il cuore a condurre il gioco in questi giorni, poca testa, cuore difficile da ascoltare quando, come mi sono sentita dire almeno dieci volte in una settimana, si sente il rumore dei miei pensieri.
E così sono rimasta sorpresa, per qualcosa di inaspettato, di bello, che non ho trovato dove credevo che fosse.
E poi ho trovato conferma del fatto che a fare la guerra non vince nessuno, che dietro ogni fucile puntato c'è un essere umano e vale sempre la pena cercare un dialogo, che basta ascoltare a volte.
Ho capito cosa voglio davvero portare nel mio lavoro, ed entro un anno sarò pronta.
Infine, stamattina una telefonata adrenalinica mi ha tirato giù dal letto contagiandomi con il suo entusiasmo, lui che si è anche scusato per averlo fatto, e non sa quanto invece mi abbia fatto bene. Grazie Simone.
Tutto questo su uno sfondo di grane e problemi di ordine pratico che, come sempre, si sovrappongono rendendo tutto complicato. Solo che sono rimasti sullo sfondo, affrontati e in via di soluzione, uno alla volta, che c'è una soluzione per tutto.
Ricordarsi sempre cosa è davvero importante, cosa vuoi da te stesso e cosa sei disposto a dare, questo dà senso ad una giornata, anche alla più normale.
Ci sono momenti, come ieri sera, in cui ti diverti, ti diverti così tanto che ti sembra di essere tornato bambino, e non ti capaciti di come possa essere così dopo una giornata difficile a risolvere problemi. Giornate che si chiudono poi con un'ulteriore, inaspettata gioia, perché, che ci crediate o no, le frittate si possono ricomporre.
Meglio un uovo, decisamente.

mercoledì 31 agosto 2011

Caffè e un biscotto, Darietto e simpatici colloqui

Era un po' che non lo facevo. Era un tipico risveglio trasteverino quello col caffè e un biscotto integrale davanti al mac a scrivere. Quante mattine, con la faccia ancora insonnolita, proprio come adesso, e una giornata intera che si staglia davanti piena di spazio per metterci cose, persone, idee, paure, problemi e soluzioni. Ho passato una delle estati più significative della mia vita così.
L'unica cosa che davvero mi è mancata da morire, nonostante il turbinio di cose, è stata Darietto, il mio cane. Darietto che adesso è qui, sul tappeto ai miei piedi, mi poggia le zampette sulla gamba, mi chiede un biscotto, che i croccantini a colazione gli fanno un po' schifo. Signori si nasce.
Per quasi due mesi Darietto non è stato con me, è rimasto dai miei, in campagna. L'hanno tenuto loro perché hanno capito che non ero in grado di prendermene cura nel modo in cui lui è abituato, con presenza e attenzioni amorevoli e costanti. Ma in quel momento io di presenza e attenzioni non riuscivo ad averne nemmeno per me, completamente frastornata, in balia del ciclone che ha stravolto il mio mondo.
Adesso però è qui con me, di nuovo, da due settimane circa, e lo adoro. Questo canetto è gioia pura, mette in moto la felicità. Anche adesso che siamo tornati a Ciampino, (postaccio orrendo) che tutto si è concluso, anche l'atto finale ha avuto luogo e bisogna ridare senso alle cose.
Settembre sarà questo. Dopo aver distrutto ogni cosa, demolita pezzo per pezzo, adesso ricostruisco, senza fretta, perché devo pensarci bene stavolta, voglio crearmi un posto dove sentirmi a casa. Non importa quanto tempo ci vorrà, voglio sentirmi a casa.
Ma dove eravamo rimasti?
Mi sono dimessa da direttore, ho lasciato l'ufficio e bye bye baby.
In questi giorni sto sostenendo dei colloqui, il primo ieri. Quando ti metti davanti ad un selezionatore dopo essertene andato da un altro posto la cosa che parla di più di te non è il curriculum, o quello che si dice riguardo la tua bravura, no. Parla il fatto che hai lasciato un progetto, un ruolo di responsabilità. Vogliono sapere perché, e non si accontentano di frasi generiche, scavano, vogliono la verità. E tu devi essere bravo a propinargliene una credibile, senza cedimenti, senza paura, una negoziazione sottile in cui il messaggio che deve arrivare dietro le tue educate parole di spiegazione è: ti conviene credermi, dammi retta.
Alla fine è andata così. Tre quarti di colloquio a studiarci, fra domande e risposte, e domande e altre domande per studiare la risposta e alla fine la risposta, quella definitiva, quella convincente. Quella che apre nuove porte.
Staremo a vedere. Fanno il loro lavoro, non posso biasimarli. Posso solo lasciarli fare perché non sanno che non sono loro lo scoglio più grande, che non sono per me i mostri che vorrebbero che vedessi. Ma loro non possono sapere la relazione fra le cose che ho in testa io, nè che questo passaggio è la coda di un'avventura in cui i veri draghi erano molto più grandi, avevano una bocca gigantesca piena di denti acuminati e sputavano fiamme dalla gola. Loro non sanno che per me rappresentano solo una necessaria, e nemmeno troppo fastidiosa trafila per formalizzare e concludere qualcosa di molto, molto più grande.

lunedì 22 agosto 2011

Il punto della situazione


I giorni sono passati, di cose ne sono accadute tante e di parole ne scorrono a fiumi.
Forse non guasta un piccolo punto della situazione.
Punto della situazione è una di quelle terminologie che odio (insieme ad arsura, valore aggiunto e bomboniera riferito ad un'abitazione) perché mi ricordano inutili e lunghe riunioni in ufficio a parlare di niente, ma necessarie a giustificare persone e tempo impiegati in azienda.
Cercherò quindi di rendere questo punto della situazione qualcosa di utile.
Mi soffermerei innanzitutto sul perché esiste questo, che vorrei ricordare, non è un blog, ma un contenitore di idee che solo apparentemente possono non avere senso, in realtà ce l'hanno, eccome.
Alcuni post fanno parte di quello che sarà un libro, sono stralci lanciati nel web per condividere un viaggio e sentire se regala a tutti lo stesso sapore.
Servono anche per farvi conoscere qualcosa di più di Federica e del suo viaggio.
Il viaggio del cambiamento più difficile ed eccitante della vita. Quello che per anni hai solo potuto immaginare nei tuoi sogni più azzardati, quelli che ti lasciano un languore proprio alla bocca dello stomaco, perché sai che non potranno mai entrare nella sfera del realizzabile.
Un cambiamento che se da una parte penso che vorrebbe la maggior parte delle persone, dall'altra non credevo che fossero così in tanti ad aver messo in atto.
Sto parlando di un semplicissimo cambio di lavoro. Anzi no, mi correggo. Parlo di un cambio di modo di lavorare, di concepire il lavoro, il suo rapporto con il tempo e la vita.
Un processo lancinante quando vivi imprigionato in quella gabbia dorata che è un contratto full time a tempo indeterminato, che solo oggi mi rendo conto essere pari ad un ergastolo; fine pena: mai.
Lo insegui per una vita, pensa te.
La società, i media, i politici (quelli che si spacciano come tali) i genitori, tutti ti convincono che se non ce l'hai sei un emarginato, una zavorra sociale.
E così tu sei lì che implori aziende di incarcerarti e buttare via la chiave, che per pane e acqua tu sei pronto a starci tutta la vita a fare qualunque cosa, non importa se hai studiato anni per realizzare una passione, fa niente, facciamo tutto, siamo pronti.
O almeno così crediamo.
A me è successo questo, ma fortunatamente poi è successo anche altro.
Spesso ci vuole un evento esterno  e aleatorio per rimettere tutto in gioco.
Ci vuole l'evento e tu che lo acchiappi al volo e ne cavalchi l'onda, che prima o poi tanto devi buttarti se vuoi metterti in salvo.
Il  mio è stata la rapina del 16 giugno.
Sono riuscita a ricavarmi il tempo di cui avevo bisogno per fare chiarezza nella mia vita e gettare le basi del mio futuro. Per condividere un progetto con le persone che vorrei ne facessero parte e aprirmi una strada verso il mio orizzonte di sempre.
A breve l'ultimo passo: la mia misura di downshifting, la richiesta di un part-time verticale per poter compiere un altro passo in sicurezza, salvaguardando il valore del mio tempo che non voglio più prostituire e mantenendo insieme la mia indipendenza.
L'ultimo passo non sarà semplice. Devono realizzarsi due cambiamenti: uno nella posizione lavorativa (se non faccio più il Direttore cosa mi metteranno a fare?) e uno nella forma del contratto di lavoro (da full a part time, con modalità e durata da concordare). Il tutto avverrà con estrema probabilità in un clima di forte ostilità nei miei confronti, perché è chiaro che il tuo padrone non vede di buon grado che tu, gallina dalle uova d'oro, smetta di covare.
Una volta che il passo lo fai e poi ti guardi indietro, è proprio come dicono, ti sembra tutto lontano, quasi non riesci a credere di averci messo tanto, di aver fatto tanta fatica a decidere, di aver provato tutti quei sensi di colpa, tutta quella paura, quell'ansia, di non aver dormito la notte…eppure è stato proprio così, e sono contenta di averlo scritto perché altrimenti l'avrei dimenticato e invece va ricordato, perché sia patrimonio di tutti, di chiunque voglia darsi l'opportunità di credere che essere felici sia possibile.
Domani il grande passo, domani mattina. Sono nervosa, stanca, ma per fortuna ho un pacchetto pieno di sigarette e la mia voluta solitudine di questa sera.
Fine del punto della situazione.
Prossimi passi: avanti tutta.
Umore: buono.
Vento: per ora in poppa, prepararsi alla bolina, ma siamo armati fino ai denti.
Saluti a tutti

venerdì 19 agosto 2011

Torniamo a noi

Questi giorni  stanno trascorrendo strani. Lontana da Roma, è sembrato allontanarsi tutto. Sembrato.
Ma non ho dimenticato mai, nemmeno per un minuto, cosa mi aspetta al mio ritorno.
Ho voglia di chiudere questa storia, ormai non mi manca niente per farlo: le idee sono chiare, le energie ci sono, sono anche piuttosto stanca di una situazione lasciata in sospeso.
Ricevo telefonate e messaggi di chi si aspetta che torni, di chi mi aspetta, mi incoraggia a riprendere in mano una situazione in cui si sentono lasciati soli in attesa di me che torni nuovamente a guidarli.
Se sono stati attenti hanno imparato. Finchè sono stata al loro fianco ho cercato in ogni modo di renderli indipendenti, di trasmettergli idee al posto di procedure, di condividere con loro lo spirito con cui lavoro, non semplici direttive su cosa fare e come.
Se mi hanno ascoltato, questo sarà il banco di prova.
Io non ho rimpianti, ho dato loro tutto come faccio sempre, in modo onesto e trasparente.
Forse alcune volte mi hanno preso per una pazza idealista, adesso avranno la prova che non è così, che dicevo sul serio.
Le cose, anche quelle che sembrano le più stantie, possono essere cambiate. Cambiano nel momento stesso in cui tu inizi a a guardarle in modo diverso, modificandone la percezione tua e di chi viene a contatto con il tuo modo di gestirle.
Sono soddisfatta del lavoro che ho fatto. Qualcosa avrei potuto farla meglio probabilmente, ma so che ho fatto quello che in quel momento era il mio meglio, senza risparmiarmi.
Ho una incontenibile voglia di andare avanti, per questo adesso sento che devo tornare e mettere la parola fine a tutto quello che ho comunque già lasciato.
Sì ho paura, ma senza la paura non esisterebbe il coraggio e se è vero questo, ho un coraggio da leoni.

giovedì 4 agosto 2011

Cronaca ex post di una rapina alla Post

E' mentre ero sul motorino, stamattina presto, costeggiando un Circo Massimo deserto come può esserlo solo Roma all'alba di agosto, che mi ha raggiunto l'idea. Stavolta mi è arrivata così, davanti a quello spettacolo inedito ed emozionante, la percezione forte del momento che arriva, che adesso sei pronta.
Voglio parlare della rapina che ho subito in ufficio il 16 giugno di quest'anno.
E' dalla giusta distanza che si può parlare con cognizione delle cose.
Quindi adesso va bene.
Era il  16 giugno, per l'appunto, e la mia giornata lavorativa stava terminando con quell'operazione tanto fastidiosa quanto pericolosa che è il caricamento dell'ATM, il bancomat per capirci.
Un'operazione fatta così malvolentieri, per la macchinosità con cui ero costretta a farlo vista la logistica di quell'ufficio, e per la forte rischiosità che questo comportava, che la facevo il meno possibile, caricando quindi l'ATM al massimo ogni volta.
Tu pensi che, non effettuando il caricamento ogni giorno, ma decidendo di volta in volta senza alcuna regolarità nei giorni, nessuno possa immaginare quando avverrà.
Ma quando ti seguono da settimane, studiando ogni tua mossa, osservando chi apre, chi chiude, che giro fa, quanto ci mette e a che ora si inizia a muovere, beh allora arrivano anche a capire che quel giorno uscirai con due cassetti carichi di soldi e sarai sola nella sala pubblico, dopo l'orario di chiusura, con tutto il resto del personale al di là del vetro blindato.
Ed è proprio così che è andata.
Le porte dell'ufficio si aprono improvvisamente mentre io sono lì che armeggio con l'ATM ed entrano due ragazzi, casco jet in testa. Uno rimane sulla porta, monitorando le persone dietro al vetro e intimando loro di non muoversi, che nessuno si farà male. L'altro viene verso di me e, proprio come in una scena di Pulp Fiction, estrae dalla tasca interna della giacca una pistola che, con mezzo giro del braccio in aria, mi punta esattamente sul viso.
Ecco, possiamo fermarci qui per me.
Su quel mezzo giro del braccio e sulla canna della pistola che mi si ferma davanti agli occhi.
C'è stata tutta la mia vita in quel gesto.
Ho pensato "ecco, questo sicuramente è un tossico, uno che non ci sta con la testa, che adesso non capisce più niente e preme il grilletto, lasciandomi qui, stesa a terra in una pozza di sangue. E buonannotte. Bel modo del cazzo di morire. Chi me lo doveva dire a me che finiva così. Che assurdità"
Questo ho pensato, e ricordo perfettamente la sensazione delle mie labbra che si distendevano in un sorrisetto sarcastico, che fregatura. Con la vita davvero non ci puoi scommettere un centesimo, ti leva pure quello. E io che mi preoccupavo delle ferie estive, arrivarci ad agosto.
Dall'istante successivo è cambiato tutto.
Il rapinatore ha parlato e con molta calma mi ha detto di stare tranquilla, di non avere paura perchè lui voleva solo i cassetti con i soldi.
Cosa fai quando qualcuno ha in mano la tua vita e tu sai che la tua salvezza dipende solo dalle sue indicazioni?
Le segui, ovvio. Così ho fatto io: mi sono subito tranquillizzata.
Il resto è scandito da brevissimi momenti che si sono succeduti meccanicamente: lui si prende i cassetti, sale sullo scooter insieme a quell'altro e se ne vanno via.
Io rimango lì, improvvisamente mi accorgo dei dipendenti del mio ufficio dietro al vetro: chi piange, chi telefona, chi mi chiede come sto; una di loro è disperata e continua a ripetere: "no, Federica, no".
Le loro voci mi sembrano arrivare da lontano, nella mia testa è tutto ovattato ora, io sono altrove: sono dove sono rimaste le parole del rapinatore mentre lentamente abbassava la pistola "vogliamo solo i cassetti". Non volevano la mia vita, non se la sono presa. Si sono portati via ottantamila euro ma il bottino più grosso l'hanno lasciato a me.
Mi giro verso il vetro blindato, mi avvicino, busso sul vetro per richiamare l'attenzione della dipendente che continua a piangere e le dico: "Ehi, guarda che la rapina l'hanno fatta a me calmati, è tutto ok", e mi viene da ridere.
Qualcosa di me quel giorno è morta, ma non ne ho alcun rimpianto.

mercoledì 3 agosto 2011

Lettera a uno stalker

Che effetto fa una donna sola ad un uomo? Qualcuno sa dirmelo? Un uomo che si senta abbastanza onesto con se stesso prima che con me, potrebbe spiegarmi cosa prova davanti a una donna che vive da sola?
Quando dico sola, intendo indipendente, anche senza un compagno perché magari semplicemente non ha incontrato qualcuno che le faccia battere nuovamente il cuore forte e quindi, siccome di scopate a perdere non se ne fa niente, preferisce non dare spago a maschi invadenti con la sindrome del supereroe (ehi piccola, ci sono io ora, puoi iniziare a sorridere adesso!)
Una donna normale, che fa la sua vita con la dignità di chi sa di non mancare di rispetto al prossimo, che guarda dove cammina, non pesta i piedi, lavora per se stessa e persegue un ideale di bellezza insito nella vita e quello che può offrire. Con una piccola puntualizzazione: davanti ad ogni offerta si riserva di poter scegliere. Non si sente obbligata a raccogliere tutto quello che trova per strada.
E allora tu che fai? Come ti senti? Cosa ti spinge a diventare oltremodo insistente quando ricevi un inequivocabile "no", come interpreti la lingua italiana quando scavalchi le parole della persona che ti sta facendo capire che nella sua vita non ci puoi stare, che non è interessata, che grazie ma va bene così?
Cosa ti fa sentire di poterti scattare orrende foto porno e inviarmele via mail?
Io non lo so, ma adesso provo a dirti, povero, piccolo stalker, come mi sono sentita io, così potrai farti l'ennesima sega leggendo queste parole.
Mi sono sentita violata, come tu non potrai mai capire perché bisogna avere qualcosa di prezioso da difendere per capire quanto sia inaccettabile il suo abuso. E tu non ce l'hai. Non  puoi avercelo se passi il tuo tempo fotografando un membro inutile che ti restituisce soltanto l'immagine della tua frustrata solitudine.
E allora te lo dico io: fa male, fa rabbia e paura.
Voglio che tu lo sappia. Gioisci della tua bassezza, sentiti qualcuno adesso che hai il tuo minuto di celebrità, fattene un'altra dai, che solo quello puoi fare.
Tu puoi fare solo quello.
Io no.
Io, mio caro stalker, stamattina ti ho denunciato.

martedì 2 agosto 2011

Cosa ha tirato in ballo Maria nella prima notte d'agosto (aoh, è l'una, ndr) prendendo in mano la sua meravigliosa e inutile carta libretto

Sembra che stiamo a fa chissacchè, mentre stiamo solo aspettando una pizza all'Obitorio di Viale Trastevere (ex Viale del Re).
Entrambe sprovviste di contante, abbiamo tentato un prelevamento da uno sportello bancario, io con la mia postamat, Maria con la succitata, inutile, carta libretto.
Al terzo tentativo, abbiamo trovato la banca disponibile al prelievo. La prima aveva una evidente manomissione nella fessura di inserimento della carta,(occhio clinico da direttore) la seconda imprecava un inquietante "allarme malore", alla terza, io ho prelevato, mentre la carta libretto di Maria ha palesato la sua inutilità.
Ed eccoci  all'Obitorio, con un pezzo fumante di filetto di baccalà in bocca e le dita unte sulla tastiera a ricordare le sorelle Disgrazia.
Perché la vita è anche questo, un improvviso riaffiorare di ricordi legati ad un tempo che sembra lontano anni luce ormai, in un esilarante pomeriggio di inverno in un ufficio postale, mentre riordinavo svogliatamente la modulistica in sala pubblico. E' stato allora che una vocina alle spalle mi chiede se potevo darle un'informazione. Mi dica, rispondo girandomi verso una delle due vecchiette smilze e ben vestite che sembravano uscite da una favola dei fratelli Grimm. "Siamo le sorelle Disgrazia e dovemo piglia 'na polizza". Ecco, signora mia, certo che a capirla ci vorrebbe una laurea in lingue,  "Mi sta dicendo che vuole investire del denaro in una polizza? Vuole che la faccia parlare con la signora che se ne occupa?".
"No, no, noi dovemo piglia la polizza, sta qua, sulla libretta"
Ah ecco adesso  è tutto chiaro, basta spiegarsi, " Quindi vuole liquidare una polizza, bene, la accompagno comunque in sala consulenza, mi segua".
"Sì signorì, però le librette so due, una in faccia a me, e l'altra in faccia a tutte e due"
La faccenda si complica.
" E su quale libretta li vuole i soldi?"
"Su quella in faccia a tutte e due"
Solidarietà fra sorelle, penso. Mi affaccio in sala, dove la consulente sta concludendo un appuntamento e le dico: "Olivia qui ci sono le sorelle Disgrazia che devono liquidare una polizza e mandarla su una libretta. Occhio però che le librette sono due, una in faccia ad una sola e l'altra in faccia a entrambe. La polizza la vogliono su quella in faccia a tutte e due".
Olivia mi guarda impassibile come una statua di sale, le sorelle Disgrazia sorridono soddisfatte per vedere compreso e soddisfatto il loro desiderio.
Io me ne torno alla mia modulistica con fare divertito stavolta.
Sono le 2 quasi, la pizza era buonissima, per Trastevere in questo lunedì di agosto a quest'ora girano tipi sospetti e io e Maria ridiamo fino alle lacrime.
Questo ricordo è una tinta forte nelle emozioni della mia esperienza da direttore, quando incontri come questo racchiudevano in un unico sguardo il carattere dell'umanità tutta.
E' la prima volta che ripenso a Poste e rido di cuore.

lunedì 1 agosto 2011

Dietro la iena: miao.

Ho bisogno di voi che leggete, per favore, siate gentili con me.
Lasciatemi le vostre impressioni, belle o meno belle non importa, sono emozioni, comunque. Quindi sono importanti, fondamentali per me che sto riversando le mie senza troppi filtri per condividerle.
Non lo voglio un mondo in cui ognuno si tiene le proprie emozioni dentro, chiuse sottochiave e impermeabili a tutto, anche alle persone che più dovrebbero esserci vicine e vorrebbero amarci.
Basta.
 Io non ci credo che si debba nascondere il proprio cuore, anzi credo che se apri la porta prima ti senti nudo, scoperto, poi però ti accorgi che quello che entra non è un vento gelido, ma una brina leggera, che accarezza e ingentilisce.
Quindi, se vi va, se c'è qualcosa che le mie parole vi hanno suscitato e volete farmelo sapere....scrivete.
Anche alla mia mail personale.
Io sarò felice di leggere, tutto.

Federica

domenica 31 luglio 2011

Hinc sunt leones

http://www.youtube.com/watch?v=N8xVf_X-Ou0

Esiste una linea molto sottile che separa un'intenzione da un'azione concreta.
E' talmente sottile che sembra quasi impercettibile il suo superamento.
Tutt'altro.
E' un piccolo,  distinguibilissimo click. Non puoi sbagliarti. Può essere una parola, il tasto di invio di una mail, una porta chiusa, un "sì".
Un breve attimo che ti porta al di là di quella linea immaginaria, che ti sposta dal potenziale all'effettivo, al reale.
Benvenuto nella tua vita.
Ora ci sei, anche se volessi tornare indietro, non troveresti ciò che hai lasciato perché ogni azione produce reazioni, lascia segni. E questa è la prima azione della tua vita, l'ultima di ciò che eri ieri.
Wellcome to the moon…..

La mia azione ha concluso una sequenza che mi ero prefissata per rendere il 25 luglio il mio giorno della Liberazione.
Ho quindi deciso che come prima cosa sarei andata a firmare la mia lettera di promozione, e poi avrei messo in atto la mia rinuncia all'incarico, dopodiché sarei andata dall'estetista a coccolarmi un po'. Infine, come ultima cosa, avrei inviato due fax e una raccomandata. I due fax, uno all'ufficio e uno alla Filiale, anticipavano ciò che con la raccomandata comunicavo in originale alla Filiale: finisce qui la mia vita da direttore.
Il mio click è stato il tasto "invio" del fax.

Alea iact est

25 luglio 2011
Tra un paio d'ore sarà il momento. Il momento in cui metterò una firma su un foglio che mi corrisponde economicamente l'impegno e gli sforzi degli ultimi sei mesi, e mi apre le porte della libertà.
Non so se, visto il gesto che sto per compiere, agosto sarà un mese di tranquillità, ma so che comunque godrò della libertà mentale che ti dà l'aver preso una decisione e aver compiuto il primo passo per realizzarla.
Me ne sto andando.
Sto realizzando qualcosa che mi sembrava ardito anche solo pensare. Fino a un mese fa.
In poco tempo la vita ha letteralmente sussultato, mandando all'aria tutti i suoi elementi fissi. proprio come una scacchiera con i pezzi disposti ordinatamente, con i loro rispettivi ruoli, poteri, possibilità di movimento, che venga improvvisamente sobbalzata via facendo volare in aria tutta la sua accurata disposizione.
Stop, fermo immagine.
Ecco, io mi sento esattamente a questo punto. Tutti i pezzi sospesi in aria pronti a ricadere assumendo ancora non so bene quale assetto.
Vedremo.
Saremo pronti a creare una nuova strategia e a muovere.
26 luglio 2011
I pezzi sono tornati al loro posto.
Mi fermo e rileggo questa prima frase mattutina, la tazzina del caffè in mano, c'è qualcosa che non mi torna.
Stamattina me ne serve parecchio di caffè per carburare dopo la sbronza di ieri sera, ma non se ne poteva proprio fare a meno, era necessaria. Bisognava festeggiare la prima serata della mia vita.
La prima serata della vita che mi sono scelta e che adesso perseguirò con tutte le mie energie.
Un nuovo assetto, una nuova situazione, che genera strategie mai sperimentate in precedenza, nuove prove, nuovi successi, qualche fallimento si sicuro, speriamo non troppi.
Ecco che c'era che non quadrava.
I pezzi non sono ri-tornati al loro posto.
I pezzi si sono disposti sulla scacchiera, e io gioco col bianco.

Io, in persona

http://www.youtube.com/watch?v=6yXRGdZdonM

Mi chiamo Federica Albanesi, ho 37 anni, vivo a Roma e sto per cambiare lavoro.
Eh no però. Così ci ho già messo il finale, l'happy ending di cui parlavamo prima, quella cosa così legata al concetto di attesa. Io il mio finale devo ancora scriverlo. E non sarà una scrittura semplice, probabilmente nemmeno tanto immediata. Credo anzi che ogni parola utilizzata per lastricare il sentiero del finale sarà frutto di una scelta meticolosa e accurata, a tratti anche un po' dolorosa (speriamo solo un po').

sabato 30 luglio 2011

Trasferita da Vezio

Uno dei pretesti che mi assecondano nel rimandare la realizzazione di una decisione, per quanto chiara nella mia testa, è la pigrizia del dovermi mettere in moto, del dover pur iniziare da qualche parte. E così rimando, rinvio, temporeggio e mi impigrisco di più. In questo meraviglioso processo di autosabotaggio, la televisione gioca senza dubbio un ruolo di primo piano. Inizio la mattina, aperti gli occhi, rapido punto della situazione, propositi, che dovrebbero in realtà essere intenzioni e…click, ok, prima però un corroborante caffè e qualche notizia dal mondo, tanto per non restare tagliata fuori.
Preciso che in questi giorni sono a casa dal lavoro già da quasi un mese ormai, ma su questo punto tornerò in seguito per approfondirlo e spiegare quanto spesso da un problema nasca un'opportunità.
Quindi: caffè, tv, e poi…tv. Sì, perché quando non sai che strada prendere ti senti stanco, quando pensi di saperlo ma non sai da dove cominciare ti senti stanco, quando hai paura di non riuscire ti senti stanco. E cosa c'è di più riposante, annichilente, distraente di una serie di programmi in televisione, specialmente nella televisione estiva di prima mattina?
Ecco come volano le giornate: in un attimo, tra un dibattito e un sonnellino sul divano, si è fatta l'ora di pranzo e mezza giornata è stata semplicemente soffiata via dal nulla.
Alla maggior parte delle persone non piace la vita che fanno, eppure non riescono a sganciarsene. Io sono una di quelle. Spero presto di potermi esprimere in termini di "io sono stata" una di quelle, ma per il momento non posso farlo perché conosco fin troppo bene quel coro di voci che, sul ciglio del burrone che ti chiama al cambiamento, ti ricordano suadenti quanto tutto sommato tu, con un posto fisso e uno stipendio che altri ti invidiano, con il tuo contratto full time a tempo indeterminato come quadro dell'azienda più grande di Italia, sia in una condizione comoda, serena, che ti consente una stabilità economica fatta di cene, vacanze e quello shopping compulsivo tipico di quei giorni lì, del tutto femminili. Cambiamo canale, vediamo cosa c'è sulla tv a pagamento, già, la tv a pagamento, altro piccolo benefit di noi lavoratori a tempo pieno.
La televisione mi ha drogato più di qualunque cosa io abbia assunto o fumato negli anni.
E' nella fase di down postuma di un trip catodico che ho avuto l'illuminazione che dovevo fare qualcosa per venirne fuori.
Ho quindi cavalcato l'onda del senso di nausea a stanchezza associato alla mia casa dominata dalla tv e dai suoi pretesti, e ho afferrato al volo l'offerta di Maria di trasferirmi per qualche giorno nella casa che era sua e di suo marito Vezio, solo di Vezio dopo la loro separazione, della gatta Titti ora che Vezio non c'è più.
Con la scusa quindi di aiutarla a mettere ordine nelle montagne di libri presenti in casa, mi sono trasferita rigorosamente "in" Trastevere (il Trasteverino doc non dice "a" Trastevere) sperando che il cambio d'aria mi avrebbe aiutato a ritrovare le energie per affrontare la mia vita.
Confesso di non essermi ritrovata priva di un certo sconcerto, (l'assonanza qui vuole sottolineare la quasi comicità del fatto) nel notare che mancava la tv.
La parte educata e razionale del mio cervello si è giustificata dicendomi: "come farai ad addormentarti la sera? Tu che sei abituata a farti cullare da Marzullo?".
La parte più istintiva, sincera e cafona di me ha semplicemente imprecato, sentendosi messa con le spalle al muro, privata di ogni alibi.
Ed ecco come ho scoperto quanto possono essere lunghe e piene di cose le giornate.
Approfittando dell'estesa e variegata offerta di libri proposta dalla casa, ho iniziato a leggere un meraviglioso libro scritto dal padre di Ernesto Guevara, in cui racconta la storia del Che, suo figlio. Prosegue così questo filone di letture che mi sta regalando un'estate a confronto con le menti culturalmente più rivoluzionarie di tutti i tempi, iniziato con Jim Morrison, proseguito con il movimento musicale degli anni Sessanta ruotante intorno a Woodstock e ai personaggi che hanno attraversato quell'evento magico e adesso con il Che.
Ho ritrovato quel senso meraviglioso di immersione totale in un libro, di confidenza con la parola scritta, con la parola pensata, con il ragionamento, il confronto, l'intuizione, l'idea.
Toccare e sfogliare questa montagna di libri sedimentati negli anni di vita in questa casa, le cui stratificazioni, proprio come un ammasso roccioso, testimoniano epoche, gusti, interessi ed eventi, mi ha restituito la percezione dello scorrere del tempo, della sua ineluttabilità, del suo valore inestimabile, destinato a rivalutarsi all'infinito, ma nella mente e nel cuore di chi lo ricorderà, non certo nel tuo che l'hai lasciato scorrere via e che non potrai riaverlo indietro.
E adesso sono qui, da quattro giorni, senza televisione.
Leggo, scrivo e mi sento bene, quasi sempre.
Il mio progetto di rivoluzione ha preso forma, l'idea si è composta ed è stata condivisa con le persone che vorrei parte del progetto.
Ne ho parlato con la mia famiglia, sopportando il silenzio di mio padre per tutta la durata del mio discorso. Discorso al quale ho tentato di infondere la mia determinazione e visione, ma dal quale temevo che lui avrebbe tratto solo il messaggio che questa pazza sconsiderata di sua figlia pensa di lasciare un posto sicuro per fare un salto nel vuoto.
A parte il fatto che non è così, che il salto nel vuoto lo lascio fare a qualcun altro, ma comunque quello che conta è che mi sbagliavo, perché prima che questo silenzio mi schiacciasse del tutto, le sue parole mi hanno trasmesso e confermato, ancora una volta, tutta la fiducia e l'approvazione di cui avevo bisogno.
Voglio essere sincera fino in fondo, non so quanto sarei stata forte senza la loro approvazione. A 37 anni, per me il parere dei miei genitori ha un peso considerevole, forse perché rientrano tra le poche persone che stimo profondamente, e la cui esperienza di vita per me abbia un valore reale.
Fatto sta che anche la seconda è stata ingranata, adesso è il momento di camminare, di mettersi all'opera.
Il tempo ritrovato, il suo valore riscoperto, il suo dilatarsi prezioso, non una goccia sprecata, lo voglio considerare un apprezzato regalo da parte di Maria e Vezio.