venerdì 12 agosto 2011

Il miglior modo di arrivare in cima è arrampicarsi senza pensarci

Jim Morrison

http://www.youtube.com/watch?v=pldftoUbM80

lunedì 8 agosto 2011

Settembre 2010, era una favola. Agosto 2011: si rivela una profezia.

    • Favola semiseria in divenire per un uomo semiserio in divenire (titolo provvisorio)
      C’era una volta (incipit d’obbligo di ogni favola che si rispetti direi) un grande e colorato dinosauro, con due ali enormi, leggere ma resistenti e tutte colorate e iridescenti che quando il dinosauro (che per comodità e simpatia chiameremo Dino) si stagliava contro il sole, riflettevano come un prisma tutti i colori dell’arcobaleno formando meravigliosi disegni sulle nuvole.
      Sicuramente tu, piccolo Sendero, ora ti chiederai: “ma che ci faceva un dinosauro a volare nel cielo così pesante com’è e poi, i dinosauri non sono estinti?”
      Ottima domanda piccolo mio, si vede che sei ben piantato per terra tu, e del resto è proprio per te questa favola, la favola del dinosauro che nessuno poteva vedere, o meglio, non voleva vedere perché gli occhi non vedono ciò che la mente si nega e siccome ci hanno insegnato che i dinosauri sono estinti, che sono mastodontici e pesanti e che le cose pesanti non volano, allora il nostro Dino aveva deciso che tutto questo non sarebbe stato un suo problema , che non si sarebbe fatto schiacciare dal grigio degli uomini che non sanno più alzare gli occhi al cielo e vedere i colori, che anzi avrebbe fatto credere loro quello che volevano, lasciandoli collezionare fossili nei musei e recitando la parte del colosso estinto ad uso e consumo della non-fantasia, quella cosa che chiamano scienza.
      Questa decisone, Dino decise di chiamarla libertà, e decise ancora che la libertà era l’unica cosa che poteva renderlo felice, perché gli permetteva di volare spensierato nel cielo, con la sua vela colorata, le sue ali enormi che volteggiavano nell’aria portate dal vento…solo, perché quando sei libero sei solo, nel senso più felice ed inesplorato del termine.
      Passarono così giorni, mesi anni…secoli a questo punto (tanto i dinosauri abbiamo scoperto che non si estinguono no?) e ogni volta che Dino guardava giù rimaneva stupito da tutte le cose che gli uomini erano stati capaci di inventare, ma non riusciva a spiegarsi il perché di quelle facce sempre tristi, grigie, con lo sguardo basso e fisso sui problemi, sulle procedure, le aspettative,, quelle strane cose che chiamano “sfide” per farsele suonare meglio, per ungere di vasellina quell’enorme palo piantato nel c… oh Sendero questa favola va rivista e corretta prima di potertela leggere piccolo eh?
      Vabbè, torniamo a noi e a Dino che, volando volando, provava dispiacere per quella gente prigioniera che sembrava proprio non voler vedere i colori del mondo, e sempre più spesso si ritrovava a sbirciare l’umanità in cerca di un perché che desse senso a quella vita….
      Finchè…
      La vide.
      La ragazza nel cubo giallo e blu.
      Ma di questo, piccolo Sendero, parleremo la prossima volta, quando la favola tornerà a cercare orecchie che la catturino…
  • Sendero Luminoso
    23 settembre 2010
    Sendero Luminoso
    • il cubo giallo e blu comparve nella felice solitudine di Dino una mattina di autunno, come al solito egli non aveva perso occasione per dispiegare le ali e infatti stava volando su un mare in tempesta perchè nella sua mente non vedeva ne posto ne giorno migliore per vivere...ed il cubo apparve dal nulla sulla spiaggia deserta sferzata dal freddo vento di maestrale che quel giorno soffiava forte.
      "perchè ripiegare le ali" pensò.....e continuò a farsi travolgere dalle onde che con il passare del tempo si facevano sempre più grandi e impetuose.
      "il vento, il mare, la libertà nel senso più puro del termine" pensava forte il mastodonte come se con questo volesse scacciare dalla sua mente quel cubo che aspettava silenzioso sulla spiaggia attirando inevitabilmente la sua attenzione... la curiosità ebbe il sopravvento e Dino si avvicinò circospetto al parallelepipedo che tanto sospettosamente aveva evitato...lasciò le ali aperte nell'avvicinarsi come chi prudentemente porta con se la possibilità di volare via il più in fretta possibile, ma avvicinatosi scoprì che in prossimità del cubo il vento si era affievolito e tenue poteva sentire il calore dallo stesso emanato, ed è qui che si accorse che le pareti del cubo che da lontano sembravano gialle e blu in realtà lasciavano trasparire una figura non perfettamente distinguibile....

      bellissima Fede sono commosso.....le mie orecchie sono sempre a caccia di queste emozioni. Sei grande!!!!!
  • Federica Albanesi
    24 settembre 2010
    Federica Albanesi
    • Ma fu solo quando la luce calda del tramonto definì più nitidamente i contorni delle ombre che Dino riuscì a cogliere una sagoma femminile, i capelli lunghi che le scivolavano dalle spalle mentre, sospesa nell’aria, sembrava addormentata su una nuvola all’interno del cubo. Dino allora si avvicinò piano, appoggiò il grosso muso preistorico al cubo e vide che sì., proprio di una ragazza si trattava, una strana ragazza che sembrava avere mille anni ma che nel suo sonno angelico conservava intatto un che da bambina.
      Il nostro dinosauro rimase a guardia del sonno di quello strano essere tutta la notte, rimase sempre vigile e di tanto in tanto si affacciava a controllare che tutto fosse tranquillo, che niente turbasse quella quiete. A dire il vero non si sentiva proprio a suo agio, chi era? L’aveva già vista? Aveva già vegliato il suo sonno?
      Tutto questo non gli avrebbe tolto le forze per volare alto l’indomani sopra le onde, oltre le nuvole?
      Lo so, mio piccolo Sendero, che ora starai pensando che questa è la solita, stucchevole storiella romantica in cui ci si annulla per una stupidissima reazione chimica del tutto equivalente ad una scorpacciata di nutella...ma ricordati che è una favola semiseria, che è la tua favola e che si tratta sempre di libertà….
      Ma vedo che i tuoi occhi stasera sono stanchi, e che sei già sulle ali colorate di Dino pronto a librarti nel cielo stellato…
  • Federica Albanesi
    26 settembre 2010
    Federica Albanesi
    • I giorni passarono veloci quando, superato lo stupore misto a timore di quello strano oggetto spiaggiato, Dino riprese a volteggiare libero e spensierato nei suoi cieli, continuando ad inventarsi sempre nuove figure acrobatiche, sfidando le leggi della gravità e della dinamica e divertendosi come un matto. Certi dinosauri hanno questa caratteristica poco studiata infatti, essi producono una strana sostanza che provoca energia positiva, che a volte provoca addirittura fragorose risate e che viene stimolata proprio da queste, autoalimentandosi in sostanza di felicità.
      Ogni tanto il mastodonte guardava giù, dove il cubo era ormai piazzato da una settimana circa e nel quale si intravedeva quella strana figura a sua volta sempre piuttosto indaffarata. Ora parlava con persone, ora era sommersa da libri, altre volte la si vedeva scrivere per ore e alte ancora aveva a che fare con persone, sembrava cercasse di aiutarle a fare qualcosa, e sembrava anche impegnarsi molto nel farlo…
      Soltanto la sera, quando il sole si coricava sull’orizzonte e le stelle alleviavano dolci l’oscurità della notte, la potevi vedere riposare, sempre sospesa a mezz’aria, leggera, gli occhi chiusi e il viso disteso e sognante, spensierato e innocente come solo un bambino sa essere. Non sembrava nemmeno la stessa persona che di giorno impartiva direttive, si prendeva responsabilità, leggeva, scriveva, pensava e non riusciva quasi a respirare…
      Ed era in quel momento che a Dino tornava quella sensazione, come se l’avesse già vista, come se avesse già osservato quel sonno..
      Qualche volta Dino si chiedeva come potesse qualcuno vivere rinchiuso in un cubo, come poteva essere felice senza potersi librare nel cielo?
      Chi l’aveva rinchiusa e perché?
      Eppure lei non sembrava sentirsi prigioniera, non l’aveva mai vista soffrire quelle pareti anzi, a dire il vero sembrava addirittura non vederle. Come se tutto il mondo fosse dentro il cubo, fosse il cubo.
      I giorni continuarono a scorrere leggeri quindi e Dino ormai si sentiva tranquillo, quella coesistenza non lo turbava, quella presenza non invasiva era diventata una compagnia discreta ma costante, piacevole.
      Finchè un giorno, durante una delle sue capriole, guardando giù vide qualcosa di diverso.
      Nel cubo infatti non c’era il solito tran tran quotidiano, c’era anzi un’insolita immobilità. La ragazza millenaria era ferma immobile davanti ad una delle pareti trasparenti del cubo e guardava fuori. Guardava il cielo. Guardava Dino!
      Sì, guardava proprio in quella direzione!
      Aveva un’espressione seria, molto diversa da quella sorridente e allegra che le aveva visto nei giorni scorsi.
      Sendero, cosa vuoi dirmi con quell’espressione? Piccolo mio, pensa che anche Dino si è sentito come te ora….
      Dino provava una strano disagio. Ebbe paura di quella novità come si teme qualsiasi cosa che possa turbare un equilibrio sottile. Non capì perché. Perché non faceva quello che faceva sempre? Perché guardava nella sua direzione? Ma poi, guardava davvero lui? O semplicemente era assorta in chissà quale pensiero che proiettava fuori dal cubo, come per scacciarlo, allontanarlo da sé, affinchè smettesse di turbarla, la lasciasse in pace…
      Dino non sapeva che fare…così, per un po’, non fece nulla e continuò a volare circospetto, formando larghi cerchi intorno al cubo, cerchi man mano sempre più stretti…
  • Federica Albanesi
    10 ottobre 2010
    Federica Albanesi
    • Ma fu solo quando si trovò di fronte al cubo che Dino si accorse della tristezza infinita che stagnava negli occhi della ragazza del cubo. Oservò meglio, avvicinandosi al cubo e allra vide che nei suoi occhi la tristezza assubse forme diverse, disegnando una storia e raccontando a Dino che una persona cara era andata via, una persona del passato, la nonna tanto amata non c'era più, era volata via.
      Adesso Sendero non sarà difficile per te capire quanto Dino forse sorpreso...come si può essere tristi se qualcuno vola via?! Come si fa a non gioire sapendo che una persona amata si libra nel cielo leggera?
      Non lo so Sendero, non so spiegarti perchè la ragazza nel cubo si sentisse così triste, perchè quel giorno il cubo le sembrava insopportabilmente opprimente e tutto privo di valore...solo..non avrebbe smesso mai di guardare il cielo...
  • Federica Albanesi
    31 ottobre 2010
    Federica Albanesi
    • la favola gialla e blu
      ...e così una mattina il cubo giallo e blu non era più al suo posto, a dire il vero non c'era proprio più..
      Dino era stato via qualche giorno, ad esplorare nuovi cieli alla ricerca di nuove acrobazie, e non aveva nemmeno più pensato alla ragazza nel cubo, non voleva lasciarsi distrarre e turbare da quell'espressione triste che le aveva visto disegnata sul volto l'ultima volta..
      Ma quando tornò in un secondo si rese conto che era tutto come prima, prima prima...prima del cubo, il cubo giallo e blu che sembrava imprigionare una ragazza millenaria.
      Ma tu Sendero lo sai che lei è dovuta volare via, oltre il cubo dentro il quale aveva deciso di sostare perchè...perchè nella vita a volte si vola alto, altre volte basso, e ci sono momenti in cui decidi di fermarti a studiare, a capire, a scegliere...
      Ma non essere triste, perchè Dino avrebbe sempre continuato a vederla svolazzare leggera in quei cieli al di là del suo cielo, quel cielo blu...e giallo...e blu...
  • Federica Albanesi
    10 febbraio

venerdì 5 agosto 2011

Io&Darietto

Il mio cucciolo

Nonna Gramigna - 4 agosto 2011

Cento anni a novembre, sì, avete letto bene, mia nonna a novembre compie un secolo. Ieri credevo di no. Credevo che oggi per lei non avrebbe rappresentato un domani. Sì perché giorni fa è caduta e si è rotta un femore, scivolando da un divano sul quale era seduta "in pizzo in pizzo", come al solito, ce l'ha sempre avuto il vizio di sedersi in pizzo alle cose, come se non dovesse occupare troppo spazio, non dovesse disturbare o essere di ingombro.
Eppure, con il suo metro e quaranta di altezza, la sua aria da vecchina delle favole, la vocina dolce che intenerirebbe anche un sasso, mia nonna è la presenza più ingombrante della vita di alcune persone della mia famiglia, mia madre per prima.
Non mi unisco al gruppetto di fan perché me ne sono tirata fuori anni fa, ma anche da questa posizione di spettatrice, non posso non rimanere indifferente alla sudditanza che impone alle persone che le vogliono bene. Classiche, vecchie storie di famiglia.
Stamattina è stata operata. Il chirurgo ci aveva avvertiti: la operiamo perché con la  frattura che ha al femore non potrebbe vivere se non a letto, quindi in una condizione inaccettabile, ma, certo,  a quasi cento anni l'anestesia è un rischio molto grosso, l'operazione non è semplice, non diamo garanzie che esca dalla sala operatoria. Quando parli di una centenne che sta per essere operata e ti dicono una cosa del genere la vivi con una certa serenità, insomma a nessuno è venuto in mente di interrogasi su un'aspettativa di vita. Ammesso che l'operazione vada a buon fine poi, bisognerà tenerla due giorni in terapia intensiva e lì si apre un altro fronte di rischio, ce la farà?
Vabbè la faccio breve: stamattina l'hanno operata, dall'anestesia si è svegliata subito e senza problemi, in terapia intensiva non hanno ritenuto necessario nemmeno mettercela e adesso sta di fronte a me, nel suo letto, che lagna che vuole bere, che ha sete. Mia madre al capezzale, giorno e notte.
Venendo in ospedale poco fa ci pensavo, alla radio hanno trasmesso "Con il nastro rosa" di Lucio Battisti, una canzone che mi ricorda la mia infanzia, perché a mia madre Battisti è sempre piaciuto molto. La strada che porta a Velletri è circondata dal verde degli alberi, sembra un viaggio indietro nel tempo, sei quasi indotto a volare con la mente al passato, a scorrerlo come un film che ti restituisce le immagini salienti di quegli anni lontani.
E allora non posso che considerare che questa vecchia, che me ne ha fatte passare di tutti i colori perché io, in quanto femmina, esattamente come mia madre, non meritavo l'attenzione che invece meritavano i miei fratelli, loro maschi, beh, questa vecchia mi ha reso forte, forte come l'erba cattiva, che si attacca al cemento per vivere, che cresce anche senza cure, perché vuole vivere a tutti i costi. E' un bell'insegnamento, grazie nonna Gramigna.

(Mia nonna si chiama Isolina, Nonna Gramigna è un appellativo della sottoscritta che credo si spieghi da solo.)

giovedì 4 agosto 2011

Cronaca ex post di una rapina alla Post

E' mentre ero sul motorino, stamattina presto, costeggiando un Circo Massimo deserto come può esserlo solo Roma all'alba di agosto, che mi ha raggiunto l'idea. Stavolta mi è arrivata così, davanti a quello spettacolo inedito ed emozionante, la percezione forte del momento che arriva, che adesso sei pronta.
Voglio parlare della rapina che ho subito in ufficio il 16 giugno di quest'anno.
E' dalla giusta distanza che si può parlare con cognizione delle cose.
Quindi adesso va bene.
Era il  16 giugno, per l'appunto, e la mia giornata lavorativa stava terminando con quell'operazione tanto fastidiosa quanto pericolosa che è il caricamento dell'ATM, il bancomat per capirci.
Un'operazione fatta così malvolentieri, per la macchinosità con cui ero costretta a farlo vista la logistica di quell'ufficio, e per la forte rischiosità che questo comportava, che la facevo il meno possibile, caricando quindi l'ATM al massimo ogni volta.
Tu pensi che, non effettuando il caricamento ogni giorno, ma decidendo di volta in volta senza alcuna regolarità nei giorni, nessuno possa immaginare quando avverrà.
Ma quando ti seguono da settimane, studiando ogni tua mossa, osservando chi apre, chi chiude, che giro fa, quanto ci mette e a che ora si inizia a muovere, beh allora arrivano anche a capire che quel giorno uscirai con due cassetti carichi di soldi e sarai sola nella sala pubblico, dopo l'orario di chiusura, con tutto il resto del personale al di là del vetro blindato.
Ed è proprio così che è andata.
Le porte dell'ufficio si aprono improvvisamente mentre io sono lì che armeggio con l'ATM ed entrano due ragazzi, casco jet in testa. Uno rimane sulla porta, monitorando le persone dietro al vetro e intimando loro di non muoversi, che nessuno si farà male. L'altro viene verso di me e, proprio come in una scena di Pulp Fiction, estrae dalla tasca interna della giacca una pistola che, con mezzo giro del braccio in aria, mi punta esattamente sul viso.
Ecco, possiamo fermarci qui per me.
Su quel mezzo giro del braccio e sulla canna della pistola che mi si ferma davanti agli occhi.
C'è stata tutta la mia vita in quel gesto.
Ho pensato "ecco, questo sicuramente è un tossico, uno che non ci sta con la testa, che adesso non capisce più niente e preme il grilletto, lasciandomi qui, stesa a terra in una pozza di sangue. E buonannotte. Bel modo del cazzo di morire. Chi me lo doveva dire a me che finiva così. Che assurdità"
Questo ho pensato, e ricordo perfettamente la sensazione delle mie labbra che si distendevano in un sorrisetto sarcastico, che fregatura. Con la vita davvero non ci puoi scommettere un centesimo, ti leva pure quello. E io che mi preoccupavo delle ferie estive, arrivarci ad agosto.
Dall'istante successivo è cambiato tutto.
Il rapinatore ha parlato e con molta calma mi ha detto di stare tranquilla, di non avere paura perchè lui voleva solo i cassetti con i soldi.
Cosa fai quando qualcuno ha in mano la tua vita e tu sai che la tua salvezza dipende solo dalle sue indicazioni?
Le segui, ovvio. Così ho fatto io: mi sono subito tranquillizzata.
Il resto è scandito da brevissimi momenti che si sono succeduti meccanicamente: lui si prende i cassetti, sale sullo scooter insieme a quell'altro e se ne vanno via.
Io rimango lì, improvvisamente mi accorgo dei dipendenti del mio ufficio dietro al vetro: chi piange, chi telefona, chi mi chiede come sto; una di loro è disperata e continua a ripetere: "no, Federica, no".
Le loro voci mi sembrano arrivare da lontano, nella mia testa è tutto ovattato ora, io sono altrove: sono dove sono rimaste le parole del rapinatore mentre lentamente abbassava la pistola "vogliamo solo i cassetti". Non volevano la mia vita, non se la sono presa. Si sono portati via ottantamila euro ma il bottino più grosso l'hanno lasciato a me.
Mi giro verso il vetro blindato, mi avvicino, busso sul vetro per richiamare l'attenzione della dipendente che continua a piangere e le dico: "Ehi, guarda che la rapina l'hanno fatta a me calmati, è tutto ok", e mi viene da ridere.
Qualcosa di me quel giorno è morta, ma non ne ho alcun rimpianto.