domenica 13 novembre 2011
giovedì 10 novembre 2011
Che c'è da ridere?
Su Repubblica fanno vedere la foto e il video di un enorme tapiro depositato di fronte a Palazzo Grazioli. Tutto intorno, una folla di curiosi sghignazzanti per la vistosa ed inequivocabile presa per il culo perpetrata ai danni del governo Berlusconi che sta finalmente affondando.
Finalmente…è davvero pensabile un finalmente di questo tipo? Era questo, che volevamo? Un paese affondato con una ferita oltre i 500 punti di Spread, davanti alla quale tutti inorridiamo, per soffocare subito dopo risatine davanti a quelli di Striscia la Notizia che, come sciacalli dopo un uragano, cavalcano l’onda del populismo strappando facili consensi ad una cittadinanza stordita e in ginocchio.
Lasciamo che sia questo a rappresentarci?
Lui ci ha fatto così tanto male, ferendo mortalmente la nostra dignità?
E un debito che regala a chi si propone di sanarlo un interesse posizionato sul 7% non ci dice niente?
Quale titolo oggi corrisponde un interesse così alto? Forse un titolo azionario, in corrispondenza del rischio che si assume chi lo sottoscrive. Rischio che l’azienda di cui entrano a far parte possa crollare, o semplicemente non produrre fatturato. E noi, modelli broker, ci lanciamo euforici, isterici nel gioco di borse convinti di rischiare l’affarone del secolo.
E l’azienda che finanziamo con le nostre tasse? L’azienda di cui già partecipiamo degli utili, o inutili, viste le condizioni in cui versa oggi, dico, di questa azienda non vogliamo sentirci partecipi?
Cazzo, l’Italia vi sta dicendo che il suo debito vale il 7% di interesse annuo a chiunque voglia credere che questo tunnel abbia una luce che ne indichi l’uscita. Chi deve crederci se non noi?
La BCE? I grandi industriali che intravedono l’affare sapendo che il default dell’Italia è , in realtà, l’evento meno probabile allo stato attuale delle cose?
Quello spread, quell’interesse che i media ci propinano come termometro della malattia dell’Italia, è in realtà il più grosso affare che il nostro paese ci sta offrendo per riscattarci, per riprenderci l’Italia, con gli interessi.
Si chiama BTP.
Si prenota nell’ufficio postale più vicino a voi, e alla fine vi farà ridere molto più del maxi tapiro davanti Palazzo Grazioli.
mercoledì 9 novembre 2011
Una giornata non uggiosa
La strada è buia; anche stasera ho fatto più tardi del previsto al lavoro. Succede sempre che perda il senso del tempo quando sono immersa in qualcosa che mi prende, che mi impegna. Rimane tutto al di fuori, compreso l’azzurro del cielo di oggi che, senza che me ne accorgessi, ha lasciato silenzioso il posto al nero della notte. Una luna piena sfocata da una coltre di foschia, il buio di Via di Vigna Murata, le luci improvvise degli stop di auto e moto al semaforo dell’Ardeatina.
Giulia, gli occhiali sul naso, ti sfiora la mente.
Nelle auto vedo visi stanchi, qualcuno è al telefono, la maggior parte si limita a fissare il traffico. Ci sono due vigili fermi al semaforo che sembrano solo voler complicare un traffico già indisciplinato.
Giulia ci sa fare, Giulia è intelligente, Giulia è qualcosa di più.
Questa è la prima sera che non devo guidare tutta storta per vedere oltre le mille perline di pioggia sul parabrezza dello scooter, stasera la strada mi tiene, non scivola sotto le ruote, mi godo il ritorno a casa.
Alla fine ce l’ho fatta, sono riuscita a chiudere il progetto, ogni cosa al suo posto è lunedì partiamo. Stamattina la mia posta elettronica sembrava un campo di battaglia, una mitragliata di mail una più polemica dell’altra, problemi su problemi, modi diversi di affrontare questioni di lana caprina, un vecchio sapore di muffa che mi torna in bocca.
Ma è andata, ce l’ho fatta. E sono contenta, inutile negarlo. Mi piace vincere, mi piace farlo solo con le mie forze, ancora di più quando sono le parole la mia forza.
Giulia ti accarezza, accarezza la tua mente, Giulia lotta anche per te.
Stasera ho voglia di tornarmene a casa, fa freddo e questo movimento di auto su una strada rattoppata e lucida mi fa sentire il bisogno di camminare scalza sul pavimento di casa mia, di versarmi un bicchiere di quel meraviglioso novello mentre mi preparo qualcosa per cena.
Il semaforo scatta il verde, le auto si muovono, la canzone di Venditti lascia il posto a 50mila è io comincio a cantare a voce alta, sorridendo al pensiero di chi mi sente passando.
Pochi pensieri, isolati e frastagliati, ma sullo stesso sfondo compatto: sono contenta di essere qui, contenta di tutto questo, di ogni prezioso, irripetibile e imprescindibile dettaglio.
Semplicemente, oggi potevo non esserci.
Giulia, gli occhiali sul naso, ti sfiora la mente.
Nelle auto vedo visi stanchi, qualcuno è al telefono, la maggior parte si limita a fissare il traffico. Ci sono due vigili fermi al semaforo che sembrano solo voler complicare un traffico già indisciplinato.
Giulia ci sa fare, Giulia è intelligente, Giulia è qualcosa di più.
Questa è la prima sera che non devo guidare tutta storta per vedere oltre le mille perline di pioggia sul parabrezza dello scooter, stasera la strada mi tiene, non scivola sotto le ruote, mi godo il ritorno a casa.
Alla fine ce l’ho fatta, sono riuscita a chiudere il progetto, ogni cosa al suo posto è lunedì partiamo. Stamattina la mia posta elettronica sembrava un campo di battaglia, una mitragliata di mail una più polemica dell’altra, problemi su problemi, modi diversi di affrontare questioni di lana caprina, un vecchio sapore di muffa che mi torna in bocca.
Ma è andata, ce l’ho fatta. E sono contenta, inutile negarlo. Mi piace vincere, mi piace farlo solo con le mie forze, ancora di più quando sono le parole la mia forza.
Giulia ti accarezza, accarezza la tua mente, Giulia lotta anche per te.
Stasera ho voglia di tornarmene a casa, fa freddo e questo movimento di auto su una strada rattoppata e lucida mi fa sentire il bisogno di camminare scalza sul pavimento di casa mia, di versarmi un bicchiere di quel meraviglioso novello mentre mi preparo qualcosa per cena.
Il semaforo scatta il verde, le auto si muovono, la canzone di Venditti lascia il posto a 50mila è io comincio a cantare a voce alta, sorridendo al pensiero di chi mi sente passando.
Pochi pensieri, isolati e frastagliati, ma sullo stesso sfondo compatto: sono contenta di essere qui, contenta di tutto questo, di ogni prezioso, irripetibile e imprescindibile dettaglio.
Semplicemente, oggi potevo non esserci.
lunedì 7 novembre 2011
Il rapporto perfetto
Ma sì che ti amo, certo che ti amo, come potrei non amarti.
Cheppalle però, non possiamo parlare di altro? Non possiamo litigare per il telecomando come ogni coppia che si rispetti e cristo, perchè non mi lasci piantare uno di quei musi broncetti tutti vocette e mugugni che si risolvono poi in inevitabili “sì, sì oh sì! e adesso fammi i grattini..” perchè dico, mica vorrei rinchiuderti nel tuo momento refrattario e lasciarmi qui nel mio momento cosmico estatico asfittico stitico ah se ti amo.
Ma ti amerei certamente di più se solo tu, se solo tu non avessi quell’aria così paziente con me, come se fossi una bambina da sopportare, educare, tollerare. Insomma cosa vuoi?
Sei così buono con me tu, lo so che non sai dirmi di no, oh no! non dire niente, non è necessario. La verità è che ti senti in competizione con me ma non devi, davvero.
Sono una donna libera, indipendente, autonoma, eh sì, sei un uomo fortunato tu, ma non fare tutti quei rumori con la bocca cristodiundio cosa stai mangiando un pluriball? Devo insegnarti a stare a tavola, se non ti amassi come ti amo.
Cosa? Cosa dici? Aspetta bevi. Cosa vuoi adesso, giocare? Sei cresciuto tesoro non te ne eri accorto? E’ arrivato Jerry Scotti, compra una vocale e gira la ruota, sì, dai.
V-A-F-F-A-N-C-U-L-O.
Sei proprio un bambino, tu.
Cheppalle però, non possiamo parlare di altro? Non possiamo litigare per il telecomando come ogni coppia che si rispetti e cristo, perchè non mi lasci piantare uno di quei musi broncetti tutti vocette e mugugni che si risolvono poi in inevitabili “sì, sì oh sì! e adesso fammi i grattini..” perchè dico, mica vorrei rinchiuderti nel tuo momento refrattario e lasciarmi qui nel mio momento cosmico estatico asfittico stitico ah se ti amo.
Ma ti amerei certamente di più se solo tu, se solo tu non avessi quell’aria così paziente con me, come se fossi una bambina da sopportare, educare, tollerare. Insomma cosa vuoi?
Sei così buono con me tu, lo so che non sai dirmi di no, oh no! non dire niente, non è necessario. La verità è che ti senti in competizione con me ma non devi, davvero.
Sono una donna libera, indipendente, autonoma, eh sì, sei un uomo fortunato tu, ma non fare tutti quei rumori con la bocca cristodiundio cosa stai mangiando un pluriball? Devo insegnarti a stare a tavola, se non ti amassi come ti amo.
Cosa? Cosa dici? Aspetta bevi. Cosa vuoi adesso, giocare? Sei cresciuto tesoro non te ne eri accorto? E’ arrivato Jerry Scotti, compra una vocale e gira la ruota, sì, dai.
V-A-F-F-A-N-C-U-L-O.
Sei proprio un bambino, tu.
sabato 5 novembre 2011
I will
Io scrivo, scrivo e che mi frega se tu pensi che non ha un fine, che non è commerciale, che non porta iscritti a un corso, non trasmette contenuti non dimostra quanto sono fico.
Quello è il tuo scrivere, non il mio.
Se poi da qualche parte è depositato uno scritto, avente valore legale e che mi dimostri che scrivere ha senso solo se produce fatturato o “mi piace” ad una pagina o ancora se mi aumenta le mail di stalking da parte di fan impazzite davanti ad una distesa sconclusionata di parole che io definisco ipnotiche allora (prendo fiato), di grazia, gradirei leggerlo.
Poi però sarei davvero molto triste.
Un paio di giorni fa ho letto quelle righe su un foglio spiegazzato.
I will.
Non riesco a togliermelo dalla mente.
Non poteva parlare di chiunque, parlava di sè. Così distante, parlava anche di me.
I will.
Perchè non puoi non farlo, quando ti accorgi che il guardiano in armatura delle tue emozioni si addormenta solo quando gli racconti una favola, non puoi non farlo, devi scrivere. Addormentarlo, dissolvere la nebbia ed emergere.
Un saluto veloce, troppa gente, solo la tua voce un po’ bassa, quasi soffiata per arrivare giusto al mio orecchio nella folla, non oltre.
Un urto, un libro, piacere Federica, persone e sguardi incrociati distrattamente. Carino qui, bella giornata di sole, ottobre, voglia di camminare, torniamo in Trastevere a piedi sì, avviamoci, ciao a presto! Eccoti qui, sei qui, adesso ti vedo, sempre più familiare.
Vieni verso di me, adesso sì, che vieni verso di me, e ti sento vicino quanto la tua mano che mi attraversa i capelli.
Aggiungiamo propositi alla lista di ciò che faremo quando ci vedremo da soli, un imminente mai.
Vorrei essere sempre quella di un momento così, camminare sulla scia di me. Ci credo davvero che potrei essere sempre leggera, libera, anche bella senza rincorse inutili verso contorni definiti da altri. E vorrei mille di quelle carezze, la mano su un fianco che mi avvicina, la voce che mi gira intorno al collo e tutto perfetto così, col sole fuori e la pancia piena.
I will.
Lo farò, vi prego non tentate di persuadermi ancora che la dietrologia aggiunge spessore, con l’illusione di un apparente dietro...ahahahah! Cosa può aver dietro un davanti di cartapesta?
E il valore del tempo dove lo lasciamo? Ci vuole tempo per costruire le cose, non pezzi di carta, non frasette autocelebrative pubblicate su un sito. Il tempo sì, lento, paziente, veritiero, comprensivo ed elegante, solo dirà chi sei. Ma tu non sei chi sei, tu sei cosa fai, ecco perchè quando sto con te mi annoio.
Lo farò, anche solo per farti dispetto, per sentire i tuoi commenti presuntuosi e vuoti, colmi di pregiudizi.
Quella mano ancora nei miei capelli, i miei capelli ancora da accarezzare, così corti ormai.
La mano che mi avvicina, io mi avvicino, un imminente mai. Come incontrarsi senza poi salutarsi,mai. Questa è verità, sì, qui c’è il tempo e il suo valore reale, cose non bruciate in fretta, ma centellinate e godute.
Dorme, il guardiano dorme, le emozioni salgono su su, mi riportano tutto: il calore, l’anello, il sapore di fragole, il sole fuori e le mie gambe nude sotto il vestito, le calze nella borsa.
Quello è il tuo scrivere, non il mio.
Se poi da qualche parte è depositato uno scritto, avente valore legale e che mi dimostri che scrivere ha senso solo se produce fatturato o “mi piace” ad una pagina o ancora se mi aumenta le mail di stalking da parte di fan impazzite davanti ad una distesa sconclusionata di parole che io definisco ipnotiche allora (prendo fiato), di grazia, gradirei leggerlo.
Poi però sarei davvero molto triste.
Un paio di giorni fa ho letto quelle righe su un foglio spiegazzato.
I will.
Non riesco a togliermelo dalla mente.
Non poteva parlare di chiunque, parlava di sè. Così distante, parlava anche di me.
I will.
Perchè non puoi non farlo, quando ti accorgi che il guardiano in armatura delle tue emozioni si addormenta solo quando gli racconti una favola, non puoi non farlo, devi scrivere. Addormentarlo, dissolvere la nebbia ed emergere.
Un saluto veloce, troppa gente, solo la tua voce un po’ bassa, quasi soffiata per arrivare giusto al mio orecchio nella folla, non oltre.
Un urto, un libro, piacere Federica, persone e sguardi incrociati distrattamente. Carino qui, bella giornata di sole, ottobre, voglia di camminare, torniamo in Trastevere a piedi sì, avviamoci, ciao a presto! Eccoti qui, sei qui, adesso ti vedo, sempre più familiare.
Vieni verso di me, adesso sì, che vieni verso di me, e ti sento vicino quanto la tua mano che mi attraversa i capelli.
Aggiungiamo propositi alla lista di ciò che faremo quando ci vedremo da soli, un imminente mai.
Vorrei essere sempre quella di un momento così, camminare sulla scia di me. Ci credo davvero che potrei essere sempre leggera, libera, anche bella senza rincorse inutili verso contorni definiti da altri. E vorrei mille di quelle carezze, la mano su un fianco che mi avvicina, la voce che mi gira intorno al collo e tutto perfetto così, col sole fuori e la pancia piena.
I will.
Lo farò, vi prego non tentate di persuadermi ancora che la dietrologia aggiunge spessore, con l’illusione di un apparente dietro...ahahahah! Cosa può aver dietro un davanti di cartapesta?
E il valore del tempo dove lo lasciamo? Ci vuole tempo per costruire le cose, non pezzi di carta, non frasette autocelebrative pubblicate su un sito. Il tempo sì, lento, paziente, veritiero, comprensivo ed elegante, solo dirà chi sei. Ma tu non sei chi sei, tu sei cosa fai, ecco perchè quando sto con te mi annoio.
Lo farò, anche solo per farti dispetto, per sentire i tuoi commenti presuntuosi e vuoti, colmi di pregiudizi.
Quella mano ancora nei miei capelli, i miei capelli ancora da accarezzare, così corti ormai.
La mano che mi avvicina, io mi avvicino, un imminente mai. Come incontrarsi senza poi salutarsi,mai. Questa è verità, sì, qui c’è il tempo e il suo valore reale, cose non bruciate in fretta, ma centellinate e godute.
Dorme, il guardiano dorme, le emozioni salgono su su, mi riportano tutto: il calore, l’anello, il sapore di fragole, il sole fuori e le mie gambe nude sotto il vestito, le calze nella borsa.
venerdì 28 ottobre 2011
Istinto&Tempo
Sapevo di non sbagliarmi, ma non immaginavo quanto. Sì lo so che è parecchio che non pubblico niente, ma ancora una volta seguire un istinto si è rivelato vincente.
C’è sempre un motivo se uno è portato a fare qualcosa. Facciamoci pace. Basta con questa storia che dobbiamo imporci, darci una disciplina, forzarci a continuare una cosa che si è iniziata solo per il fatto che si è iniziata. Io mi permetterei un letterario “sticazzi” a questo punto. Tanto c’è tutta la vita là fuori per mostrarsi come i perfetti soldatini dell’opportuno e dell’apprezzato, qui se ne può fare serenamente a meno.
E ascoltare.
Che c’era in quel silenzio?
Una prova che richiedeva tempo, un po’ di distrazione, nonchè una leggera assuefazione.
Ce l’eravamo detto no che la libertà non si ferma alla scelta, alla decisione di essere liberi ma che poi va tradotta in pelle, vene e arterie, sennò il sangue non circola e se stagna è un casino.
Io però, che predico bene e razzolo male, ho stagnato. Che bello ricominciare ad avere una vita serena, senza responsabilità schiaccianti e orari da convento. Che bello fare tardi la sera e la mattina arrivare in ufficio quando mi va, con calma e non prima dell’italianissimo caffè al bar col giornale fra le mani e i commenti con gli affezionatissimi dei fratelli Cicogna come me.
Giornate tranquille, piuttosto divertenti, colleghi simpatici e matti come cavalli, capaci di rendere una giornata in ufficio una puntata di Camera Cafè...che vuoi di più, te lo sei meritato bella mia, goditelo.
Sembra tutto così lontano adesso, in fondo che ci è voluto? Niente, o quasi. Una rapina certo ma in fondo a chi fa questo lavoro capita e poi è stato un lungo periodo di vacanza, divertente, allegro, ma sì. Niente di trascendentale, i contorni sfumano, tutto si appiattisce.
“I malati ricordano, i guariti dimenticano”, diceva Jim Morrison.
Io sono guarita.
Ma quando ero malata ho fatto in modo di non dimenticare.
Ho scritto.
E ieri ho riletto, tutto.
Ho avuto così la prova che era giusto tracciare ogni singolo passo di quel percorso tutt’altro che facile, fatto di momenti immensi, a volte impercettibili, a volte risonanti come un temporale, in cui ho spostato tutti i miei punti di riferimento per ridefinire me sulla mia strada.
L’avrei dimenticato.
L’avrei seppellito con questo benessere e se qualcuno mi avesse chiesto come ho fatto a cambiare tutto così, o come mi sono sentita avrei fatto spallucce dicendo che in fondo non è cambiato niente, che non ricordo grosse differenze con prima, che forse non stavo poi nemmeno tanto male.
E invece no.
Ho scritto, è tutto qui, sul mio mac, ordinatamente conservato e pronto all’uso.
Perchè va usato, è un dovere morale farlo, perchè un istante dopo aver letto, quello che ho guardato fuori dalla finestra è apparso più luminoso, più colorato, più profumato, più dolce e gustoso che mai.
Ancora una volta, e per sempre, fino alla fine dei miei giorni, è la strada che conta, a prescindere da dove ti porta.
Potrei essere altrove, potrei vivere mille vite, con mille persone e in mille luoghi diversi, ma so che sarei capace delle stesse cose.
E so che questa cosa che mi si rigira nella pancia e sale fino al cuore, mi distende i lineamenti del viso e scaturisce in un sorriso, non è affatto una dettaglio di secondo ordine.
Eccomi qua, tornata, o mai andata via.
C’è sempre un motivo se uno è portato a fare qualcosa. Facciamoci pace. Basta con questa storia che dobbiamo imporci, darci una disciplina, forzarci a continuare una cosa che si è iniziata solo per il fatto che si è iniziata. Io mi permetterei un letterario “sticazzi” a questo punto. Tanto c’è tutta la vita là fuori per mostrarsi come i perfetti soldatini dell’opportuno e dell’apprezzato, qui se ne può fare serenamente a meno.
E ascoltare.
Che c’era in quel silenzio?
Una prova che richiedeva tempo, un po’ di distrazione, nonchè una leggera assuefazione.
Ce l’eravamo detto no che la libertà non si ferma alla scelta, alla decisione di essere liberi ma che poi va tradotta in pelle, vene e arterie, sennò il sangue non circola e se stagna è un casino.
Io però, che predico bene e razzolo male, ho stagnato. Che bello ricominciare ad avere una vita serena, senza responsabilità schiaccianti e orari da convento. Che bello fare tardi la sera e la mattina arrivare in ufficio quando mi va, con calma e non prima dell’italianissimo caffè al bar col giornale fra le mani e i commenti con gli affezionatissimi dei fratelli Cicogna come me.
Giornate tranquille, piuttosto divertenti, colleghi simpatici e matti come cavalli, capaci di rendere una giornata in ufficio una puntata di Camera Cafè...che vuoi di più, te lo sei meritato bella mia, goditelo.
Sembra tutto così lontano adesso, in fondo che ci è voluto? Niente, o quasi. Una rapina certo ma in fondo a chi fa questo lavoro capita e poi è stato un lungo periodo di vacanza, divertente, allegro, ma sì. Niente di trascendentale, i contorni sfumano, tutto si appiattisce.
“I malati ricordano, i guariti dimenticano”, diceva Jim Morrison.
Io sono guarita.
Ma quando ero malata ho fatto in modo di non dimenticare.
Ho scritto.
E ieri ho riletto, tutto.
Ho avuto così la prova che era giusto tracciare ogni singolo passo di quel percorso tutt’altro che facile, fatto di momenti immensi, a volte impercettibili, a volte risonanti come un temporale, in cui ho spostato tutti i miei punti di riferimento per ridefinire me sulla mia strada.
L’avrei dimenticato.
L’avrei seppellito con questo benessere e se qualcuno mi avesse chiesto come ho fatto a cambiare tutto così, o come mi sono sentita avrei fatto spallucce dicendo che in fondo non è cambiato niente, che non ricordo grosse differenze con prima, che forse non stavo poi nemmeno tanto male.
E invece no.
Ho scritto, è tutto qui, sul mio mac, ordinatamente conservato e pronto all’uso.
Perchè va usato, è un dovere morale farlo, perchè un istante dopo aver letto, quello che ho guardato fuori dalla finestra è apparso più luminoso, più colorato, più profumato, più dolce e gustoso che mai.
Ancora una volta, e per sempre, fino alla fine dei miei giorni, è la strada che conta, a prescindere da dove ti porta.
Potrei essere altrove, potrei vivere mille vite, con mille persone e in mille luoghi diversi, ma so che sarei capace delle stesse cose.
E so che questa cosa che mi si rigira nella pancia e sale fino al cuore, mi distende i lineamenti del viso e scaturisce in un sorriso, non è affatto una dettaglio di secondo ordine.
Eccomi qua, tornata, o mai andata via.
Iscriviti a:
Post (Atom)