giovedì 15 marzo 2012

Provocatore, tu m'hai provocato...

Il provocatore mi guarda provocatorio e aspetta la mia mossa stizzita.
Io ho deciso di non dargliela vinta, convinta che su questo si giochi tutto il divertimento della serata, e continuo a riporre piatti nella lavastoviglie con fare volutamente privo di logica, soprattutto priva della tua, mio caro Provocatore che mi guardi facendo finta di niente ma stai friggendo dentro la tua camicia senza una piega mentre io incastro forzatamente un piatto nel posto dei bicchieri.
Continua a sciorinare i suoi sproloqui (che io adoro ma che continuerò a ricevere alzando gli occhi al cielo), questa volta ce l’ha con il pregiudizio diffuso sui surgelati, sintomo di qualunquismo e poca informazione, ma forse non è questo che vuole dirmi.
Parla con la consueta enfasi, passeggiando avanti e indietro per la stanza e calpestando la copia (la mia copia, neanche questo è casuale, brutta cozza che non sei altro) del Sole 24 Ore che ho lasciato aperta sul tappeto davanti al divano. Il fatto è che mi piace leggere il giornale così, di solito non ci sono Provocatori in preda alla sindrome del Provocatore isterico a camminarci sopra. Ma, dicevo, lui parla ma vuole dire altro.
E’ questo che mi stizzisce, e mi porta a rincalcare piatti e posate innocenti dentro quella lavastoviglie incredula di tanta abbondanza. E’ che non voglio sentire quello che mi devi dire, Provocatore, non ti voglio sentire, hai capito?
Voglio che continui a parlare di surgelati, e poi di distributori automatici, e poi di ripiani del frigorifero o di quello che caspita partorisce la tua mente provocatrice ma non voglio che tu mi dica quello che stai per dirmi.
 Ma i piatti sono finiti, e anche i bicchieri, il giornale è stropicciato per terra e  i tuoi argomenti hanno esaurito il loro contenuto.
Adesso devo proprio andare via, vero?
Torno a casa, dove la lavastoviglie non se lo ricorda nemmeno com’è fatto un piatto visto che li lavo a mano per sentire l’acqua sulle mani, dove nessuno calpesterà il mio giornale e dove potrò riporre le birre su qualunque ripiano del frigo io voglia.
Solo, ricordati una cosa, Provocatore: adesso non potrai prendertela più con me per la temperatura sbagliata del frigo.
Mettece na pezza.

e stavolta non cancello

Scrivo e cancello, riscrivo, leggo e rimango così, fissa su quelle parole che hanno il sapore amaro della delusione, di uno schiaffo sulla faccia all’improvviso.
Alzo le dita sulla tastiera e resto così, sospesa nella promessa di una frase da scrivere per liberare il cuore e la mente, e poi rinuncio, che tanto nessuno leggerà i fiumi di parole che ho scritto in questi giorni, i rigurgiti di un orgoglio che mi porta ad alzare la testa e andare avanti, lasciandomi tutto alle spalle.
Mi devo forzare a scrivere anche il dispiacere che accompagna la mia volontà, ma voglio farlo, perché non regge l’immagine del supereroe che compie imprese fuori dal comune con la semplicità di un soffio di vento, no. A me pesa come una valigia di piombo, questo dispiacere che accompagna ogni passo, perché alla fine ci ho creduto pure io, e mi è piaciuto farlo.
Intorno a me la stanza è silenziosa oggi, le persone lavorano, Laura che mi conosce e mi legge negli occhi mi scrive mail che hanno il sapore dolce dell’amicizia e dio solo sa quanto ne ho bisogno, io che sembro sempre troppo forte per poter chiedere aiuto.
Cosa sei venuto a fare? A dimostrarmi che non sono invincibile? A mettermi in ginocchio colpendo la mia fiducia in un sentimento pulito? Magari non l’hai fatto apposta, ma era questa la tua missione. Chissà la mia qual’era nella tua vita, forse quella di farti prendere una boccata d’ossigeno prima di rituffarti nella palude dalla quale sei uscito.
Resta il fatto che sono qui, stordita e spaesata come una straniera in un paese lontano, ma visto che sono una viaggiatrice, e non una zingara come piace dire a tanti, dicevo, visto che sono una viaggiatrice imparerò presto la lingua di questo posto nuovo, vestirò i loro abiti e mangerò i loro piatti tradizionali e porterò così nuovi colori in questa giornata, fino a renderla solo la coda di un dispiacere.
Io sono il viaggiatore e viaggio,
viaggio per i bassifondi delle città
guardo le stelle venir fuori dal cielo

mercoledì 14 marzo 2012

IL MOMENTO FATIDICO

Cammini sul bordo del marciapiede, proprio sul bordo, su quella fascia grigio più chiaro che sembra il risvolto cucito da un sarto. Ti piace mettere i piedi uno davanti all’altro, all’interno della fascia grigia, come se ci fosse il vuoto sotto e tu fossi l’acrobata folle in bilico sul mondo. Il mondo, che nelle tue fantasie si staglierebbe tondo sotto il filo che ti sostiene, oltre un’atmosfera densa e irregolare che offusca la vista e isola dai rumori, anche quelli dei pensieri.
Un piede davanti all’altro, lungo il bordo del marciapiede; un gioco che fai da quando eri bambina, solo uno stupido gioco per non sentirti troppo sola accanto a quel genitore che ti cammina davanti distratto, trascinandosi dietro te e le buste della spesa. Allora c’erano le vetrine di via Cola di Rienzo a suggerire scenari per le tue storie, oggi ci sono quelle di Viale Europa a distoglierti da altre storie. Ma sempre lungo lo stesso marciapiede cerchi di infilare i tuoi passi incerti.
Oggi è un giorno di sole, queste giornate  sono calde e anticipano un’estate imminente, almeno così ti auguri, che davvero non ne puoi più di sentire freddo e chiuderti dentro qualcosa. E’ ora di uscire, è ora di raccogliere le risorse e lottare.
Te lo dici guardandoti riflessa in una vetrina di scarpe, e nemmeno la suola rossa delle tue scarpe preferite adesso riesce a distoglierti da questo pensiero. Devi prepararti  a lottare, ricordati che hai un obiettivo e che devi difenderlo.
E’ facile lasciarsi andare quando tutto fila liscio e quello sembra essere solo un problema degli altri. Tu sei stata fortunata, ancora non hai dovuto  affrontare la situazione seriamente, a dire il vero non te ne sei mai dovuta occupare ancora.
Adesso però sai che è iniziato il conto alla rovescia, non puoi negarlo. Ogni mattina, quando ti guardi allo specchio, sai che quello è un giorno in meno al momento fatidico e ti dici che ce la farai, come ce l’hanno fatta tanti prima di te e che questo, sì, questo ti renderà anche più forte.
Adesso si tratta solo di non farsi trovare impreparati su quella che sarà la tonalità più adatta a te, la più naturale possibile. Perchè anche tu ormai, alla soglia dei 38 anni, stai per iniziare a combattere la tua guerra contro i capelli bianchi.

tratto da: "punti di svolta nella vita di un essere quasi umano su un pianeta quasi neta in un momento del piffero stonato con la custodia rotta"

domenica 11 marzo 2012

La classe non è acqua

Il profumo di soffritto si spande per la cucina. Non è un volgare soffritto, è IL soffritto, non fosse altro perchè lo stai cucinando tu, tu che sei così attento ai dettagli, al particolare che fa la differenza e che ci emancipa da facile retrorica spaghettista. Il tuo soffritto, dicevo, unisce un banalissimo spicchio d'aglio a listarelle di spek sapientemente tagliate con opportuna critica (sempre costruttiva) sulla dimensione forse un po' troppo eccessiva. Il tutto, l'aglio e lo spek, unito in un tripudio di olive spremute a freddo dosato con sapiente metodicità perche, ricordatelo Federica, bisogna avere metodo nella vita. Cazzo quanto sono organizzato.
Ora, tesoro, io non so come fare a dirti che ho messo le birre nel cassetto del frigo, quello riservato alla verdura perchè, come mi hai già spiegato, lì c'è una temperatura e un'umidità specifica, adatta alla conservazione delle verdure. Me lo ripeti mentre apri lo sportello del frigo e mi mostri che bello che è, tutto ordinato, tutto disposto secondo una logica di praticità ed estetica che (altro concetto più volte enucleato) l'estetica è importante, fa la differenza, ci vuole cazzo.
Ora mi illumini dicendo che tu le birre le posizioni nel ripiano più basso del frigo perchè lì c'è la temperatura più bassa e allora io mi ricordo di aver messo le birre nel cassetto della verdura perchè quando tu mi hai detto di rimetterle nel posto più in basso nel frigo io ho pensato che più in basso del cassetto delle verdure non c'era niente. E adesso chi te lo spiega?
Ma non serve, il tuo sguardo di sufficiente indulgenza mi dice che hai compreso tutto, a te serve così poco per capire..
Ma sento che il soffritto non soffrigge più, la cena è pronta e io mi avvicino al tavolo, spero di non fare casino versando il vino, buona appetito, Furio.

Manuale di sopravvivenza nel mondo del femminile per ambosessi e cani di piccola taglia - capitolo xyz: c'avessi avuto un bel culo il mondo mi avrebbe sorriso (forse?)

Continuava a specchiarsi da dietro, uno specchietto in mano per vedere la sua immagine di schiena, per intero, davanti allo specchio grande dell’armadio.
Non c’era griffe, non c’era modello, niente che le rimodellasse quel culo sfatto che, a trent’anni appena compiuti, già si ritrovava. E nemmeno da un giorno; era sempre stata una cicciottella, una cicciottella simpatica con quella faccia allegra, gli occhi grandi e il bel sorriso, che con il tempo aveva imparato a modellare in espressioni che dalla tenerezza potessero trasmettere sensualità, qualcosa che agli uomini suggerisse un’attenuante per quel culo.
Non che fosse una cosa enorme eh, che c’è di peggio in giro, e poi a certi maschi piace pure, che la quantità è sempre uno sporco affare a letto, ma fuori, insomma, quando devi vestirti o devi andare in bikini al mare non è semplice, maglie lunghe e un pareo per ogni occasione. Cheppalle. Farebbe prima a mettersi a dieta ma capricciosa com’è non è strutturata per privarsi di niente, vuole tutto lei, ogni riccio un capriccio e quando non lo ottiene si salvi chi può, il grande culo si trasforma in un Katerpillar che non risparmia niente e nessuno si posizioni sulla sua pretenziosa strada.
Le donne grassottelle sono cattive, come quelle basse di De Andrè, con il cuore troppo vicino al buco del culo, il culo appunto, che a queste signorine scatena una sotterranea invidia verso il resto del mondo, espressione diretta della scarsa autostima che non si confesseranno mai, catapultando un’eterna scontentezza ed esigenza di attenzione su ogni essere venga inghiottito dalla loro compulsiva fame di premure, fino a pretendere autentiche prove medievali d’amore, se con la testa di qualcuno su un piatto d’argento tanto meglio, grazie.
Dei vortici bulimici di egoismo che imprigionano, impigliano, lobotomizzano chiunque provi a voler loro bene.
Ma non si può voler bene a questi esseri, perchè loro non se ne vogliono.
Loro si disprezzano, come possono apprezzare qualcuno che ami l’oggetto del loro disprezzo? Non possono farlo e la faranno pagare cara a questi poveri cristi, la loro debolezza.
Ma intanto quel culo sempre lì sta, incorniciato dal vestitino rosa (rosa, pure tu figlia mia che cazzo, un colore più sobrio no eh?) e non c’è verso di nascondere l’emblema della frustrazione al resto del mondo.
Questo è. Si salvi chi può e chi non vuò, cazzi suoi.

Tratto da: “Manuale di sopravvivenza nel mondo del femminile per ambosessi e cani di piccola taglia”

giovedì 16 febbraio 2012

Maria...ti ricordi?

Ho bisogno di un giorno di sole, uno di quelli in cui, dopo un pranzo pigro al solito posto in Trastevere, ce ne andiamo in giro a raccontarci di quanto è bello sentire arrivare una nuova estate.
Maria te lo ricordi?
Tu sola lo sai, tu sola ci sei stata nei miei risvegli smarriti dopo notti infuocate a combattere draghi preistorici, tuoi i piccoli gesti quotidiani che hanno saputo prendersi cura di me con insalate e risate.
I libri di Vezio, Che Guevara, Titty e Darietto lontano.
L'incontro con Stefano, i miei capelli corti e il funerale di mia nonna...le partenze in scooter senza casco e la paura di morire.
Sono solo immagini sconclusionate di una sconclusionata estate che oggi torna a ricordarmi che emanciparsi dal dolore e dalle sue logiche fa male quanto subirlo, ma a differenza del male che avvolge i rapporti malati, da questo si guarisce, si torna a camminare e poi ti può anche accadere di perderti per i vicoli di Roma con il sole che ti scalda le ossa e ti ricorda che sei sopravvissuta, stai bene.
Le sfumature annebbiano la vista, fanno apparire il nero grigio, e il bianco...grigio.
Noi lo sappiamo Maria, da quella sera delle tue lacrime sul giallo della crema pasticcera di Silvia, al blu forte del mare, le insalate colorate e le bouganville viola dei muri di Trastevere. A me piacciono i colori perchè la vita può essere molto più semplice della spazzatura emotiva che ci trasciniamo dietro a causa di rapporti malati. E quindi, fanculo a chi non sa emozionarsi, a chi non ride, a chi non piange, a chi non si innamora, a chi non legge e non ascolta musica. Fanculo al grigio.

mercoledì 1 febbraio 2012

The passenger



I am the passenger and I ride and I ride
I ride through the city's backsides
I see the stars come out of the sky


Ma guarda chi si rivede...ciao tu, come va? Quante notti ci hanno separato, avvolte in sonni ristoratori, anestetici, consolatori e infine troppo leggeri per sostenere una stanchezza che non realizza, se non parzialmente. Ma che rischia di tradire quanto detto quel giorno. Il giorno in cui ho trovato il coraggio di non farmi comprare da quattro soldi sporchi di meschinità e scorrettezza e me ne sono andata al mare, senza sapere che ne sarebbe stato di me, cosa sarebbe accaduto, piena soltanto di una libertà discreta e inevitabile, che illuminava la strada sotto di me come il cielo stellato con i naviganti infiniti.
Una serata piena di stelle sulla spiaggia, con persone chiassose e divertenti, superstiti di un’estate in città alla ricerca di brevi evasioni ai margini del grigio quotidiano.
Io tra di loro, con il viso disteso e poca voglia di parlare. Dentro di me una deflagrazione. L’avevo fatto davvero? Quella cosa impronunciabile che era stato così difficile dapprima anche solo pensare, inesprimibile a parole senza incontrare espressioni di disappunto e preoccupazione in chi mi ascoltava e infine compiuta, che ognuno ha il suo destino e quando la tua strada ti chiama, rispondere è solo questione di tempo.
Sono passati cinque mesi da quel giorno, pieni di cose leggere e ricostituenti. Io ho ricominciato a dormire, a lavorare, a uscire, fare sesso e anche shopping. Ho smesso di scrivere, più o meno, che non si smette di respirare per quanto interessante sia un’apnea.
Una dolce, necessaria deriva.
E adesso, di nuovo non dormo ascoltando i battiti del mio cuore che si sveglia di soprassalto la notte come se la mia gabbia toracica fosse troppo angusta per il suo espandersi generoso, sì generoso, ancora una volta generoso con me. Ci vuole una spinta esagerata per pulsare sangue e rimettere in circolo energie, attivare i sensi, tutti e 6 per fiutare il vento che torna a soffiare gitano portando il mio nome con sè.
Ora, pochi forse sanno, leggendo queste nuove righe anticipatrici, che a quel vento risponderò  ancora una volta “sì”.